Russia e Ucraina: ambedue i fronti contrapposti inseguono la ‘vittoria’.
I russi si apprestano a chiamare ‘vittoria’ la strage collettiva di un popolo intero e la desertificazione di un paese sovrano che contava oltre 40 milioni di abitanti.
Gli ucraini insistono a immaginare ‘vittoria’ il suicidio collettivo di una nazione, già in gran parte realizzato, che è logica e ineluttabile conseguenza di quell’impossibile obiettivo di salvare la Patria dai massacratori russi senza ricerca di un negoziato 'imposto' da mediatori internazionali. Risultato: migliaia di civili torturati, stuprati e assassinati e milioni di profughi in fuga per l’Europa.
L’unica vittoria è quella della 'neolingua' in versione XXI secolo.
Che chiama ‘operazione speciale’ una ‘guerra di aggressione e conquista’ e vede una prossima ‘vittoria’ in una ‘sconfitta epocale’ per tutti: per la Russia, che sarà messa al bando per anni dal mondo internazionale delle grandi diplomazie; per l’Ucraina, che già oggi vede la devastazione del suo territorio e la distruzione del suo essere comunità; per il mondo intero, e in particolare per quello in via di sviluppo, che soffrirà gli effetti perversi della recessione quando non della fame.
Ma lo schifo vero è il tifo di chi, da fuori campo, ai vertici di paesi e istituzioni che per fare i propri interessi in realtà si rivelano sempre più disinteressate alla convivenza del mondo, dice di volere la pace mentre invia armi perché continui la guerra, riempiendosi la bocca di retorica patriottarda che incita le vittime a vincere di fatto morendo sempre di più e gridando ossessivamente alla difesa di quei principi oggi violati che da sempre in passato ha violato.
Sono gli stessi attori incapaci (o, peggio, intenzionalmente indifferenti) a fare in modo che i belligeranti, di fronte a proposte oggi inesistenti, ma da costruire creativamente in chiave vantaggiosa per entrambe le parti da mediatori internazionali credibili, siano spinti, quasi costretti, ad una pace negoziata. Non l'hanno fatto quando era possibile farlo, subito dopo l'avvio della guerra (ripetere che la Russia deve smettere le ostilità e ritirarsi dai confini ucraini non è una proposta di pace), e oggi ogni tavolo è più lontano, incastrati tutti come siamo nell'imbuto di un conflitto armato che pare procedere in automatico e a oltranza.
La verità è che negoziare viene chiamato utopia e fare la guerra viene chiamato pragmatismo.
Potrebbero anche avere qualche ragione, sul piano dei puri risultati, se il tavolo da gioco fosse ancora quello in vigore fino agli inizi dell'altro secolo: in cui qualcuno, con la forza bruta delle lance o dei carrarmati, poteva vincere in misura maggiore di chi poteva perdere.
Ma siamo nel 2022 e anche restando nei limiti di una guerra convenzionale, con il coinvolgimento crescente della popolazione civile nelle operazioni di macelleria bellica, ormai scontato già dalla seconda guerra mondiale (Dresda e Hiroshima insegnano), tutti muoiono e nessuno vince se non aggiorniamo la visione del mondo.
Sarebbe, questo sì, l'unico pragmatismo vincente. Capire che nessuno vince: che abbiamo già perso e che, più proseguiamo a non capire, anche se non moriamo, più perdiamo.
Loro, noi, tutti.
*** Massimo Ferrario, Chiamare ‘vittoria’ una ‘disfatta epocale’, per 'Mixtura'
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