Si chiamava Vincente. Perché non arretrava mai.
Neppure quando era sulla strada sbagliata.
Diceva che basta ‘pensare positivo’ per essere sulla strada 'giusta'.
Ma la strada continuava a rivelarsi sbagliata e un giorno cominciarono a chiamarlo Perdente.
Lui un po’ non se ne accorse e un po’ decise di non accorgersene.
Perseverante, stava sempre là.
Fisso. Fissato.
A battere la sua strada: quella che, ne era sicuro, non poteva che essere giusta.
Anche se, oggettivamente, quella 'strada giusta' era a fondo cieco e non portava da nessuna parte. E il muro, alla fine, non era un'opinione, ma il retro di un palazzo.
Sì, ripeteva a se stesso: basta insistere. Basta non perdere energia. Basta non cedere al pessimismo.
Per lui, il motto ‘volere è potere’ era il dogma fondamentale di una religione. Meglio: di una Fede.
Qualcuno, timidamente, più volte gliene aveva dimostrato la falsità. Con esempi concreti, lo aveva ammonito: per ‘potere’ non basta ‘volere’.
Ma lui, Vincente, aveva sempre risposto con l’insulto: quella era la scusa degli impotenti. Dei falliti. Dei perdenti.
Lui era, e si chiamava, Vincente.
Se lo cerchi, anche adesso lo trovi là: sulla strada a fondo cieco.
Tu chiamalo e ti risponde: però solo se lo chiami Vincente.
Allora, ti esibisce il sorriso di plastica stampato sulle labbra, a mo’ di paresi: nell’ultimo corso gli hanno insegnato che il sorriso, anche se finto (soprattutto se finto?), aiuta a propiziare il destino favorevole.
Ad assicurare la Vittoria.
Gliel’hanno garantito consulenti che vanno per la maggiore.
Che, non a caso, si dicono Formatori Vincenti.
*** Massimo Ferrario, Vincente, per 'Mixtura’
In Mixtura ark #Favole&Racconti di M. Ferrario qui
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