Mi sono autoimposto di non consolarmi ricorrendo all’insulsa nozione di “invidia sociale” che i benestanti amano scaricare addosso a chi sta peggio di loro. Troppo comodo. Vero è che sono spesso i conservatori più retrivi a farne un uso smodato; perché con il pretesto dell’invidia sociale s’illudono di poter liquidare anche la realtà della lotta di classe o, se preferite, del conflitto sociale, ridimensionandola a mera frustrazione psicologica di chi è destinato a star sotto: l’invidia, appunto.
Mi cascarono le braccia quando perfino Walter Veltroni, giovane promessa del Pci di Berlinguer, divenuto segretario del Partito democratico, nel suo discorso programmatico al Lingotto di Torino fece sua la raccomandazione di guardarsi dal pericolo dell’“invidia sociale”. I benpensanti lo apprezzarono e i ricchi se ne sentirono rassicurati: l’impegno per la giustizia sociale d’ora in poi doveva contemperarsi nella dovuta moderazione.
Trovo, semmai, che l’invidia sociale sia una categoria concettuale più adatta ai siti di pettegolezzi, dove prevale il gergo romanesco per cui i critici del pensiero dominante anziché invidiosi vengono più volentieri definiti “rosiconi”.
*** Gad LERNER, 1954, giornalista, saggista, conduttore tv, L'infedele, Feltrinelli, 2020
Arend van DAM, 1945
disegnatore olandese
In Mixtura i contributi di Gad Lerner qui
In Mixtura ark #Mosquito qui
Nessun commento:
Posta un commento