e possiamo alcuni trascurarne:
il mondano, l’apatico e quello commerciale,
il triviale (le bettole aperte tutta la notte),
e il bambinesco – ma non quello del bambino
per cui la candelina è una stella e l’angelo
dorato ad ali tese in cima all’albero
non è ornamento soltanto, ma è un angelo.
Guarda il bambino all’albero di Natale:
fate che in lui continui questo spirito
del Prodigio, evento e non pretesto;
sicché il fulgente rapimento, il fascino
di quando lo scoprì la prima volta,
le sorprese, delizia dei suoi nuovi
possessi (ognuno col suo proprio odore).
l’attesa dell’anatra e del tacchino
e il previsto stupore quando apparvero,
sicché la deferenza e la gaiezza
non dimentichi nell’età adulta
nella grigia abitudine, nel logorio, nel tedio,
nel sapere la morte, nel conoscere
d’esser fallito,
o nella devozione del convertito
che può guastarsi d’una vanità
che spiace a Dio e offende i bambini
(e qui io ricordo pure con dolcezza
Santa Lucia, la sua canzone e la corona di fuoco);
sicché prima della fine, al Natale ottantesimo
(intendendo per tale quello ultimo)
l’emozione degli anni accumulata
nella memoria si raccolga in una
grande gioia che sia grande timore,
come nell’occasione che discese
il timore nell’anima di tutti:
perché il principio ci farà ricordare della fine
e il primo avvento del secondo avvento.
*** Thomas Stearns ELIOT, 1888-1965, poeta, saggista, critico letterario, drammaturgo statunitense naturalizzato inglese, premio Nobel per la letteratura nel 1948, La coltivazione degli alberi di Natale, da Antologia dei poeti del 900, traduzione di Giovanni Giudici, in 'GraphoMania', 25 dicembre 2013, qui
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