(...) I bambini chiedono “come?” e “perché?”. Non fanno domande solo per chiacchierare instaurando una relazione affettiva con gli adulti, ma per capire. Fanno domande da scienziato (perché l’acqua è bagnata? Come fanno i pesci a respirare nell’acqua? Perché i miei cracker non parlano?). Fanno domande da filosofo (perché il nonno è nel cielo? Perché ci sono le persone cattive?). Fanno domande da sociologo, da psicologo o da economista (perché devi andare a lavorare? Perché non ho un fratellino?).
Dopo i quattro anni la quantità di domande poste decresce in modo rapido e significativo (guardate il grafico: è piuttosto impressionante). Le madri tirano un sospiro di sollievo e tutto sembra tornare alla normalità. Dovremmo però chiedercelo, come mai la propensione a domandare cominci a decrescere con l’accesso alla formazione scolastica, per spegnersi progressivamente nel corso di tutti gli anni di scuola.
E no, non credo che questo succeda perché le domande da porre si esauriscono.
A questo punto mi tocca raccontarvi un piccolo fatto personale, accaduto alcuni anni fa, ma non troppi. Mio figlio è entrato da pochi giorni nella scuola media e mi convoca la professoressa di italiano. Mi dice che sì, il ragazzino è sveglio e beneducato, ma disturba in classe e devo porre un limite.
Mentre già mi costruisco nella mente una ramanzina di quelle toste, per fortuna pongo a mia volta un quesito: “Scusi, ma in che modo il ragazzo disturba in classe?”. “Cara signora”, mi sento rispondere, “suo figlio è insopportabile: non smette mai di fare domande, perfino quando sto interrogando qualcun altro”.
Amen. (...)
*** Annamaria TESTA, esperta di comunicazione, Perché dovremmo fare più domande?, 'internazionale.it'. 8 giugno 2017.
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