Più che essere un libro, per me la lettura impossibile da dimenticare è un capitolo di un’opera di Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov. Il capitolo si intitola Il grande inquisitore.
Perché è un libro, meglio un capitolo, che non posso dimenticare? Perché tratta, con una intelligenza, una profondità, un acume e un’arte a mio parere difficilmente superabili il tema del rapporto tra la persona e la scelta, vale a dire tra la persona e la capacità di essere libera. Che, a mio parere, è il tema dell’essere umano, intorno al quale si sono affannate menti raffinate, da Erodoto a Nietzsche (per citarne solo due), senza mai arrivare, a mio parere, alla profondità dello scrittore russo. Egli pone una domanda essenziale attraverso il racconto immaginario del confronto tra Cristo, ritornato sulla terra a seguito delle invocazioni del popolo, e, appunto, il Grande inquisitore, colui che apparentemente lo rappresentava sulla terra ma che ne tradiva l’idea. È l’essere umano così meschino da rappresentare per lui la scelta tra il bene e il male il più grande dei tormenti, per liberarlo dal quale è necessario che lo si governi come se fosse un bambino, e cioè che lo si liberi dalla sua libertà? Oppure è degno, capace di esercitare il libero arbitrio? Dalla risposta a questa domanda, che Dostoevskij pone guardando all’intimo dell’uomo, alle sue caratteristiche profonde, dipende il sistema organizzativo della società, lo spazio riconoscibile ai singoli entro il quale effettuare le proprie scelte. Cioè la libertà di ciascuno, anche la nostra, la mia.
*** Gherardo COLOMBO, 1946, ex magistrato, Le domande essenziali che pone “Il grande inquisitore” di Dostoevskij, 'illibraio.it', 20 maggio 2016, qui
In Mixtura altri 2 contributi di Gherardo Colombo qui (compresa una mia recensione al libro Lettera a un figlio su Mani Pulite, Garzanti, 2015)
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