mercoledì 8 giugno 2016

#LIBRI PREZIOSI / "Futuro interiore", di Michela Murgia (recensione di M. Ferrario)

Michela MURGIA, "Futuro interiore", Einaudi, 2016
pagine 84, € 12,00, ebook € 7,99
Per (ri)meditare
Un saggio molto breve, ma intenso: neppure due ore, che filano via senza che te ne accorgi. E sono stimoli che danno anima a un pensare corposo, su questioni cruciali del presente e del futuro, sostenuto da una scrittura chiara e rigorosa, mai pesante, sempre piacevole anche nella sua forma espressiva ricca ed elaborata: la conferma che si può mantenere un taglio 'alto', senza perdersi in un linguaggio criptico, facendosi capire e seguire anche da chi, pur non frequentando il sociologese, non per questo vuole rinunciare a farsi toccare, e interrogare, da temi che riguardano il nostro vivere in società.

Conosco e apprezzo Michela Murgia come scrittrice di storie. Qui invece appare come autrice di un saggio: un genere da lei poco frequentato, se si escludono i frammenti di riflessioni d'occasione, anche di peso (vedi, ad esempio, un intervento sulla gravidanza surrogata, recentemente comparso pure in una rivista), dipanate con una certa regolarità sui social network. 

Direi che questa nuova veste di saggista dà abbondantemente quel che promette e aggiunge qualità al suo mestiere di intellettuale seria e impegnata anche sul piano socio-politico. 

Il libro si sviluppa, lungo tre capitoli, attorno a tre questioni che paiono assai diverse, ma sono attraversate da un minimo comune denominatore: identità e integrazione; bellezza e progettazione urbanistica; potere gerarchico, empowerment  e potere condiviso. Li unisce un'idea forte, ben condensata da Michela Murgia stessa nell'introduzione: «la convinzione ostinata che non ci siano colpe del passato né pesi del presente che esimano dal prenderci la responsabilità di sognare il futuro».

Pagine da leggere, ma soprattutto da meditare: come sempre accade quando senti il bisogno di avere una matita a fianco per sottolineare i passi salienti che scolpiscono dei concetti e sanamente provocano una 'ruminazione' intellettuale che va oltre l'immediato della lettura.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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Tutti coloro che sui social media, al bancone del bar, ai comizi in provincia o a tavola con gli amici ripetono come un mantra che «chi viene qui deve adeguarsi alle nostre usanze» stanno declinando con varia consapevolezza proprio l’idea che in Europa esiste un’identità statica riconoscibile, un originale culturale che non può essere messo in discussione da ogni diversità che ci accosta. 
Questo concetto monolitico di identità è pregiudiziale e in quanto tale è molto difficile da scalfire anche con l’evidenza. A smentirlo basterebbe in fondo considerare il fatto che quello che definiamo «il nostro patrimonio culturale» è il figlio bastardo di mille letti, risultato di un processo di incroci culturali, geografici, economici, etnici, volontari o forzati a cui nei secoli siamo stati esposti; ma non è per nulla detto che chi è stato generato in quel letto voglia conoscere la sua genealogia in modo cosí dettagliato. Essere nati dalla parte fortunata della storia e della geografia per molti rappresenta già un ottimo motivo per non studiarle. (Michela Murgia, "Futuro interiore", Einaudi, 2016)

L’identità collettiva è un costrutto immaginario; fondare una comunità politica su di essa innesca continui processi di disconoscimento dell’altro, perché nessun cittadino reale possiede in toto i marcatori culturali che gli consentirebbero di essere perfettamente identico al modello dell’inesistente cittadino ideale. Se il filtro della legittimazione civile fosse davvero quello dell’identità culturale, nessuno sarebbe mai abbastanza italiano, francese, inglese, tedesco o altro da scampare alla dialettica della negazione, quella che ti fa guardare l’altro pensando: «lui non è uno di noi». Laddove l’identità sorge per distinguere, e quindi per dividere, l’appartenenza è invece uno strumento costruttivo, che integra le fratture e permette di riconsiderare le differenze reciproche come un valore collettivo. È nel riconoscimento delle appartenenze, e non dell’identità, che può fondarsi il concetto di comunità in senso morale, cioè pienamente umano. (Michela Murgia, "Futuro interiore", Einaudi, 2016)

Chi nasce nella bellezza crescerà convinto di meritarsi un mondo bello e sarà difficile persuaderlo ad accontentarsi di qualcosa di meno. (Michela Murgia, "Futuro interiore", Einaudi, 2016)

Passeggiando per i centri storici dei paesi medievali, prendendo un gelato in una piazza barocca o chiacchierando all’ombra di un colonnato rinascimentale ci si ricorda poco che tutta quell’armonia è stata concepita in periodi storici in cui probabilmente non avremmo voluto vivere, espressione di sistemi violenti e non democratici segnati da fortissime diseguaglianze economiche e sociali. Di quale modo di stare insieme è figlia l’idea di bellezza che definiamo classica? Le chiese barocche, i monumenti al trionfo con le fattezze dei vincitori, le fontane scolpite, le torri svettanti, i castelli medievali, i giardini a labirinto e le tombe imponenti da quale idea di mondo sono stati generati? 
Quell’eredità urbanistica è una contraddizione permanente e una sfida alla nostra idea di bellezza come espressione di armonia sociale: la linea tracciata da quei progetti corrisponde a una lunga sequenza di monarchie, papati, oligarchie finanziarie e mercantili, aristocrazie con esercito e anche, sul finale della nostra storia recente, dittature. Dietro ogni chiesa c’è l’orgoglio di un pontefice, dietro ogni monumento al vincitore ci sono anni di guerra per il potere, dietro a ogni castello c’è una gerarchia di padroni e servi. Alla base di tutto quello che chiamiamo «meraviglia architettonica» si intravede con chiarezza la concezione violenta di una strutturale disuguaglianza sociale. La cosiddetta bellezza classica non è la gemma che fiorisce all’estremità di un sistema di convivenza armonico, ma è frutto dell’imperio di pochi mantenuto con la forza del ferro laico o del simbolo religioso. Prenderla a modello senza tenere conto di questo dato significa agire senza consapevolezza in scelte che hanno invece un’enorme valenza collettiva. (Michela Murgia, "Futuro interiore", Einaudi, 2016)
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2 commenti:

  1. Ho iniziato a leggerlo e credo di poter affermare, dopo le prime 30 pagine, che condivido quanto espresso nella recensione. Aggiungo che avevo già assaggiato Murgia nei panni di saggista leggendo Ave Mary, libro che consiglio, come del resto tutti quelli scritti da lei.

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  2. Grazie di essere intervenuto...;-)
    (e, naturalmente, lo direi anche se il tuo commento fosse in dissenso con quanto scritto da me...(!))

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