In comunicazione funziona così: ciò che sembra è. Può dar fastidio, può innervosire, ma le percezioni sono la materia minima ineliminabile da cui non si può prescindere. Se si dimentica questa realtà, se la si rifiuta, se ci si appella ad altri fattori (ad esempio: "gli utenti dovrebbero approfondire”) si esce dal campo della comunicazione e si entra in altri terreni - ad esempio quello educativo o legislativo - dove è lecito esigere il superamento delle impressioni, ma solo perché i destinatari sono in un esplicito rapporto asimmetrico con la fonte (studenti di fronte a un insegnante o cittadini di fronte alla legge).
In comunicazione non è possibile. Perché, piaccia o no, si deve sempre partire dalla percezione dell’altro. Per questo dico: ciò che sembra è. Se la percezione dell’altro è diversa da come io ritengo dovrebbe essere, non posso limitarmi a dire che è cattiva, buona, mediocre, devo piuttosto dedicarmi a conoscerla e prenderne atto perché contiene il codice che mi permetterà di capirlo e di farmi capire da lui. O mi inserisco in quel modo di vedere la realtà e riesco a farmi percepire da quegli occhi, con le loro caratteristiche, oppure sono destinato a non comunicare.
*** Bruno MASTROIANNI, filosofo, esperto di comunicazione, Breve elogio delle percezioni (visto che ormai tutti ne parlano male), 'facebook', 16 gennaio 2018, qui
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