Tzu-lu, Tsêng Hsi, Jan Yu e Kung-hsi Hua sedevano attendendo al Maestro.
Confucio disse:
— Benché io sia di un giorno più vecchio di voi, non consideratemi tale (e parlate liberamente). Poiché vi lasciano in disparte, voi dite: non mi conoscono. Se qualcuno vi conoscesse, che fareste?
Precipitosamente Tzu-lu rispose:
— Se a Yu (a me) venisse affidato il governo di un regno da mille carri da guerra, stretto in mezzo a grandi stati, oppresso da eserciti nemici e devastato dalla carestia, in tre mesi potrebbe ridonargli il coraggio e fargli conoscere la diritta via.
Confucio sorrise e disse:
— E tu, Chiu, che dici?
— In un territorio di sessanta settanta li di lato, o anche di cinquanta sessanta — rispose Jan Yu — se a Chiu (a me) gliene dessero il governo, prima di tre anni renderebbe il popolo ricco, ma per quel che riguarda i riti e la musica aspetterebbe un saggio.
— E tu, Ch’ih, che dici?
— Io non dico d’esserne capace — rispose Kung-hsi Hua — ma vorrei imparare. Nei servizi nel tempio degli antenati, nelle udienze (imperiali) e nelle assemblee, indossando l’abito e il berretto di cerimonia, vorrei essere un piccolo assistente.
— E tu, Tien, che cosa dici? Quello smise di toccare la sua arpa e, mentre le corde ancora risuonavano, la pose da un canto e si alzò.
— I miei desideri — disse — sono differenti da quelli dei miei condiscepoli.
— Che male c’è? — osservò Confucio. — Ognuno esprime la sua aspirazione.
— Alla fine della primavera — disse Tsêng Hsi — quando ci si veste completamente di abiti primaverili, in compagnia di cinque o sei giovani e sei o sette ragazzi, vorrei bagnarmi le mani nel fiume I (per scacciare i cattivi influssi), godere la brezza presso l’altare dei sacrifici per la pioggia e poi far ritorno cantando.
Confucio sospirò profondamente e disse:
— Sono d’accordo con Tien.
Quando gli altri si ritirarono, Tsêng Hsi rimase indietro e domandò:
— Che ne pensi delle parole dei miei tre condiscepoli?
— Ognuno ha espresso la propria aspirazione — rispose Confucio — ecco tutto.
— Perché, o Maestro, hai sorriso di Yu?
— Con i riti si governa un regno. Le sue non erano parole di modestia. Per questo ho sorriso.
— E Chiu non ha parlato di regno?
— Si è mai visto un territorio di sessanta settanta li di lato, o anche di cinquanta sessanta, che non sia un regno?
— E Ch’ih — chiese ancora l’altro — non ha parlato di regno?
— Il tempio degli antenati, le udienze (imperiali) e le assemblee, a chi competono se non ai principi feudatari? Se Ch’ih si è fatto piccolo, chi si fa grande?
*** CONFUCIO, 551-479 a.C., filosofo cinese, I dialoghi di Confucio, 278, traduzione dal cinese di Franco Tomassini, Utet editore, edizione digitale, 2015
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