Dove andremo a finire? Non lo sappiamo, naturalmente. Quello che sappiamo è che le nostre società hanno vissuto negli ultimi decenni delle trasformazioni gigantesche, in parte precedenti e in parte collegate alle migrazioni, che hanno visto crescere enormemente il loro livello di pluralismo culturale e religioso.
E i cambiamenti quantitativi, oltre una certa soglia, diventano cambiamenti qualitativi. Non si tratta più allora della stessa società, solo un po’ più plurale di prima: ma, di fatto, di un’altra società, che della pluralità fa una caratteristica fondativa. Nessuno ce l’ha detto prima, e può legittimamente non piacerci, così come possiamo avere nostalgia per una società diversa: ma, di fatto, questo cambiamento ha già raggiunto la soglia dell’irreversibilità – il mondo non sarà mai più come prima, la globalizzazione e le possibilità di mobilità, favorite dall’evolversi delle tecnologie (incluse quelle di trasporto, sempre più rapide ed economiche), non sono reversibili. Il che non significa, naturalmente, che non si possano porre limiti, sia esterni che interni, ad un’ulteriore pluralizzazione: che, comunque, continuerà a produrre i suoi effetti.
Questo fenomeno non era stato previsto. Le nostre costituzioni non ne parlano e per certi versi non lo regolano. Ma oggi c’è, è accaduto. È normale che produca anche controtendenze, incomprensioni, rifiuti, come accade; nello stesso tempo, come pure accade, di fatto coinvolge segmenti sempre più ampi delle società, che ne trovano svariate forme di beneficio. E, naturalmente, va esso stesso regolato.
Non esistono tuttavia modelli di riferimento di successo. Sia i modelli multiculturalisti (come quello anglosassone e, in passato, olandese) che quelli basati sull’integrazione individuale (come era quello francese), sia i paesi che offrivano percorsi di cittadinizzazione – anche formale – facili (basati sullo jus soli: Francia, Gran Bretagna) che quelli che prevedevano percorsi difficili o impossibili (basati sullo jus sanguinis, come la Germania), hanno mostrato problemi e difetti anche gravi: non a caso tutti i modelli sono oggi in discussione e in fase di ripensamento, nelle più svariate direzioni.
Serviranno forme di sperimentazione, come già accade a livello locale, di municipalità. Occorrerà andare avanti per un po’ per tentativi ed errori. Mantenendo fermi i principi fondativi (l’inalienabilità dei diritti, l’universalità della loro applicazione all’interno della società), ma trovando forme efficaci di coinvolgimento, di dialogo, e al contempo di controllo – evitando tuttavia forme di conflitto generalizzato tra gruppi contrapposti, o che vengono volutamente contrapposti.
*** Stefano ALLIEVI e Gianpiero DALLA ZUANNA, economisti, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull'immigrazione, 'Laterza, 2016
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