gli occhi puntando in basso.
Io li ho abbassati – anche!
Passante, fermati!
Leggi – di ranuncoli
e di papaveri colto un mazzetto
– che io mi chiamavo Marina
e quanti anni avevo.
Non credere che qui sia – una tomba,
che io ti apparirò minacciando…
A me stessa troppo piaceva
ridere quando non si può!
E il sangue affluiva alla pelle,
e i miei riccioli s’arrotolavano…
Anch’io esistevo, passante!
Passante, fermati!
Strappa uno stelo selvatico per te
e una bacca – subito dopo.
Niente è più grosso e più dolce
d’una fragola di cimitero.
Solo non stare così tetro,
la testa chinata sul petto.
Con leggerezza pensami,
con leggerezza dimenticami.
Come t’investe il raggio di sole!
Sei tutto in un polverìo dorato…
E che almeno però non ti turbi
la mia voce di sottoterra.
*** Marina Ivanovna CVETAEVA, 1892-1941, poetessa russa, Cammini a me somigliante, Koktebel, 3 maggio 1913, traduzione di Pietro Antonio Zveteremich, da Marina Ivanovna Cvetaeva, Poesie, Feltrinelli, Milano, 1979, in 'poeisainrete.com', 15 dicembre 2019, qui
Commento di 'poesiainrete.com': Inviando, nel marzo 1914, questa e altre poesie a un conoscente, la Cvetaeva scriveva: « … Io non credo nell’esistenza di Dio e della vita ultraterrena. Di qui la disperazione, il terrore della vecchiaia e della morte. Assoluta impossibilità di natura di pregare e di sottomettermi. Amore folle per la vita: febbrile, delirante sete di vivere». qui
In Mixtura i contributi di Marina Cvetaeva qui
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