– Perché qualcuno dovrebbe confessare cose che non ha commesso, se non ha subito violenza?
– Una delle tante stranezze relative al mondo delle indagini è che spesso le cose vanno contro il senso comune. A confessare reati non commessi sono soprattutto le persone giovani. Sono più malleabili, e hanno meno percezione del futuro e delle conseguenze delle loro azioni.
– In che senso?
– Per esempio: è più facile che sia un ragazzo a guidare in modo pericoloso che non un adulto. Questo, naturalmente, non significa che tanti adulti non guidino in modo pericolosissimo, ma statisticamente è più frequente che lo facciano i ragazzi. Sono meno consapevoli dei limiti della vita, dell’esistenza di eventi irreparabili.
– E dunque?
– Un interrogatorio in questura o in una caserma può essere un’esperienza estrema. Se non sei un pregiudicato, uno che ha l’abitudine a certe cose, non hai idea di cosa stia succedendo: non sai quando ti lasceranno andare; non sai se ti lasceranno andare. Hai la sensazione di essere in balia di un potere superiore, incontrollabile e insindacabile. In simili condizioni non è necessaria la violenza perché una persona poco strutturata dica ciò che i detentori di quel potere vogliono che dica. Gli vien fatto credere di non avere altra scelta, e cedere, ammettere, procura un sollievo immediato in una situazione di enorme stress. Confessando sai che questa pressione terribile si interromperà. È come quando hai un forte mal di testa: vuoi solo che ti passi.
*** Gianrico CAROFIGLIO, 1961, scrittore, La versione di Fenoglio, Rizzoli, 2019
https://it.wikipedia.org/wiki/Gianrico_Carofiglio
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