C’era una volta una bambina di nome Emma che viveva in una piccola città. Era curiosa, sempre informata su quello che accadeva nel mondo, leggeva libri e giornali, non si perdeva un telegiornale.
Un giorno, Emma riconobbe per strada un politico che frequentava spesso gli studi televisivi: era un tipo alto e imponente, con un vestito elegante, un sorriso smagliante, una parlantina sciolta.
Emma era affascinata: gli sembrava una persona molto importante e potente. Si avvicinò al politico e gli chiese: "Signore, come si fa a diventare potenti?"
Il politico sorrise. "Mi sembri una bambina intraprendente. Davvero vuoi sapere la verità?".
"Certo, non voglio più essere trattata da bambina cui si raccontano le favole."
"Allora ti dico come stanno le cose, ma non svelare a nessuno il segreto. Per diventare potenti, bisogna essere bravi a manipolare le persone, facendo in modo che queste facciano il più possibile quello che tu vuoi. Però...".
"Però?"
"Però ciò che ti ho appena detto vale per noi uomini. Le donne, per quanto si possano sforzare, non ce la faranno mai a raggiungere vere posizioni di potere."
"Perché?"
"Perché gli uomini sono più potenti delle donne."
Emma rimase impressionata dalla franchezza dell'uomo. Giurò a sé stessa che sarebbe diventata presidente del consiglio: più potente del politico che aveva appena incontrato. E da quel momento si impegnò con tutte le sue forze in questa sfida con sé stessa.
Dopo molti anni di pratica politica Emma fondò un suo partito personale. Poi fu eletta deputata. Poi fu nominata ministro. E finalmente divenne presidente del consiglio.
Un giorno Emma, che si sentiva particolarmente oppressa dalle infinite incombenze che la perseguitavano e aveva il bisogno impellente di riservarsi almeno una briciola di tempo di libertà, si accordò con i poliziotti della scorta: che la controllassero da lontano e la lasciassero gironzolare sola, almeno per qualche minuto, tra i vialetti di un parco pubblico. Desiderava respirare l'aria pulita dell'inizio di primavera, fuori dall’aria viziata e dagli affanni del Palazzo.
Si avvicinò a una bambina, che giocava con una bambola. Le assomigliava: si ricordò di quando aveva incontrato il politico che l'aveva sfidata a diventare quello che era diventata.
"Come ti chiami", le chiese.
“Emma”.
“Ti chiami come me, sai?”
La bambina la guardò, senza dire nulla. Poi domandò: "Vuoi giocare con me?".
"Vorrei. Ma non posso. Devo lavorare".
"Sempre così, voi grandi: dovete lavorare e non avete mai tempo per giocare con noi bambini...” Poi aggiunse: “Ma tu che mestiere fai?"
Emma sorrise. “Un mestiere importante, ma difficile da spiegare. Per farlo ci ho speso la vita”.
“Sarai contenta, allora.”
Emma ripensò a quando, da piccola, fece la domanda su come si diventa potenti. Ora era campionessa nell'arte di manipolare la gente e raccontare frottole. Guardò la bambina e fu conquistata dalla sua innocenza: si rivide. Per una volta decise di essere sincera.
"No. Sono la donna potente che volevo essere. Non potrei dirlo, ma non sono contenta. Ma tu sai chi sono?".
Emma, per nulla imbarazzata, rispose: "Non ti ho mai visto. Ma mi hai appena detto che non sei contenta del lavoro che fai. Se sei una donna potente, perché non lo cambi, allora?".
*** Massimo Ferrario, Si chiamavano Emma, ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 24gen24. Testo creativo liberamente ispirato a uno spunto tratto da un racconto elaborato su specifica richiesta da Bard-Google, chatbot di intelligenza artificiale generativa, interrogato il 18gen24
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