C’era una volta - ma c’è anche adesso e ci sarà anche domani, almeno finché l’universo sarà universo -, una coppia assai legata: i cui due soggetti non possono vivere uno senza l’altro.
La loro caratteristica è che non stanno in coppia, pur essendo a pieno titolo coppia.
Una coppia indissolubile.
Forse una coppia così fedele e felice proprio perché i due non vivono insieme, ma separatamente: in spazi e tempi che mai si sovrappongono.
Non sappiamo se è il desiderio reciproco che li attira e li unisce, pur lasciandoli sempre separati, ma quello che pare certo far funzionare questa coppia è l’attesa.
Sì, i due sanno attendersi.
E sanno che la loro attesa è feconda: perché capace di far accadere le cose.
Lui si chiama Sole e lei si chiama Luna.
Da sempre Sole, per poter esistere, aspetta Luna.
Da sempre Luna, per poter esistere, aspetta Sole.
Un’ovvietà per nulla scontata: è grazie al loro saper aspettare che si aprono e chiudono le giornate, si susseguono la luce e il buio, la vita si mantiene in vita.
* * *
Fu come un lampo che squarciò il velo di una consapevolezza fino a quel momento velata, opaca, smemorata.
L’uomo e la donna che fecero questa esperienza non vivevano insieme. Ma in momenti diversi, in punti diversi della Terra, accadde che un giorno, finalmente, ambedue si distrassero dai mille impegni quotidiani in cui avevano sprofondato testa e cuore - fino al punto che non avevano più né testa, né cuore, né per sé, né per gli altri - e alzarono gli occhi al cielo. Fu un movimento improvviso, casuale, da tempo dimenticato. E l’uomo e la donna videro ciò che altre volte era loro capitato di vedere, ma senza che avessero mai visto ciò che in quel momento vedevano.
Lui non seppe mai come avvenne. Lei non seppe mai come avvenne. Ma ambedue seppero che avvenne. E questo li aprì a una visione che trasformò entrambi.
Per la prima volta infatti lui aveva visto il sole che tramontava e la luna che, in attesa, cominciava ad accendersi nel cielo scuro. E lei aveva visto la luna che lentamente impallidiva mentre il sole, in attesa, lanciava i primi chiarori dell’alba.
Nulla di nuovo, naturalmente: è la storia della Terra che si ripete, con precisione e magari anche con un po’ di noiosità, nell’universo.
Ma fu così che, loro, impararono l’attesa.
E impararono che il fare è vita, ma che il fare-fare-fare non è la vita.
E che si può lavorare anche ogni tanto facendo pausa e guardando il cielo. Per scoprire la magica armonia di un Sole e di una Luna che si concedono l’uno all’altra, all’esistenza ora dell’uno ora dell’altra, sapendosi attendere. Con pazienza. Con rispetto. Senza invadere tempi e spazi dell’altro.
E soprattutto evitando di affogare in quel ‘darsi da fare’ sempre più confuso, compulsivo e frenetico, che, nel suo sovrapporsi continuamente a cose e persone, ha perso il significato originario di un agire meditato e orientato. Un agire capace di ‘fare anima’: che dà ‘anima all’anima’ e lascia umani gli umani.
*** Massimo FERRARIO, Saper aspettare, racconto ispirato a un testo di MasFerrario diffuso in twitter, 21 settembre 2013, per 'Mixtura', rubrica 'Favole&Racconti'.
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