Quando si muore le ombre si assiepano
un po’ più in qua, affondano dense negli anni
ultimi mentre nella mente tu ritorni quella
di sempre. Così non sei più la forchetta
impugnata al contrario, non sei
il giro di passi a vuoto nella casa
scordata né l’immensa paura annidata
negli occhi, più non sei la fatica piccola
nel tenersi aggrappata ancora a qualcosa.
Sei la voce mansueta nel citofono
nella visita del fine settimana:
“Chi è? Chi è?”, “Siamo noi, nonna, apri”.
Sei lo stupore buono in attesa
in cima alle scale.
*** Giovanna Cristina VIVINETTO, 1994, 'LimesLettere', 5 gennaio 2019, qui
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