Non mi sono mai riconosciuto nella definizione di pacifista. E non mi ci riconosco neppure oggi. Prima di tutto perché ho una immediata ambivalenza verso le definizioni. So che servono e anch'io le uso: per capire il mondo. Ma so pure che a usarle con facilità e senza consapevolezza si è spinti fuori strada: perché ogni definizione lascia fuori ciò che non definisce. E per fortuna.
L'altro giorno un amico di vecchia data, all'inizio di una di quelle discussioni su Russia-Ucraina che oggi rischiano di spaccare amicizie e famiglie, mi ha detto: Be', certo, tu sei un pacifista... La battuta era bonaria, ma il sottotesto (neppure tanto sotto) assai meno. Da sempre, ma soprattutto oggi, il bellicismo, più o meno esibito con orgoglio spavaldo, squalifica, dall'alto dei suoi elmetti soprattutto indossati sui divani di casa nelle chiacchiere salottiere, chi si sottrae alla logica delle armi. Naturalmente, chi insulta i pacifisti, si affretta sempre a dichiararsi per la pace e a precisare che i mitra non gli piacciono, ma in certi casi non se ne può fare a meno. Insomma: guerra no, ma alla fine sì. Com'è ovvio, sempre rattristandosi molto per il mondo che purtroppo va così e turandosi il naso per una scelta che mai farebbero se non costretti dal solito Cattivo-Mostro-Criminale di turno.
Ho colto l'occasione, con l'amico, per spiegargli la mia posizione.
Non amo gli ismi: anche quelli che contengono scelte verso le quali potrei sentirmi più ideologicamente consonante. Perché ogni ismo è un assoluto: un troppo che stroppia. Pecca di fondamentalismo (appunto...!): usa soltanto lo zoom e dimentica il grandangolo. Anche per questo non mi ha mai affascinato l'etichetta di pacifismo e, conseguentemente, di pacifista. Certo, ho sempre creduto, e ancor più oggi sono convinto, che il negoziato è il modo per risolvere i conflitti. Però ho sempre pensato, e non smetto di pensarlo, che in alcuni casi, anche la guerra può giustificarsi. Ad esempio, sono esistite, e possono esistere tuttora, guerre di liberazione. Però valgono alcune considerazioni: che ieri ricorrevano spesso e oggi, immersi come siamo in un'interdipendenza cui nulla sfugge, mancano o si ritrovano, nei fatti concreti, sempre meno.
Ne enumero due che ritengo di fondamentale e eguale di importanza.
1) La guerra deve essere localizzata e confinata, in modo che non si allarghi e non impatti su largo raggio: una guerra regionale, cioè, non deve avere il potenziale di diventare mondiale. 2) La guerra deve essere limitata allo scontro tra militari: le morti di civili devono essere minimizzate.
Fino a tutto l'800 le guerre erano così. Le due guerre mondiali hanno costituito un'innovazione. Perversa, ovviamente: si stima che oltre 16 milioni di morti siano stati causati dalla 1^ guerra mondiale e quasi 70 milioni di morti siano quelli della 2^ guerra mondiale. Tra i morti, specie per il 2^ conflitto, difficile calcolare i civili, ma sicuramente sono stati milioni. Dal dopoguerra, le centinaia di guerre locali in giro per il mondo hanno prodotto morti à gogo e oggi si calcola che il 90% dei morti da guerre siano civili.
Già questo dovrebbe metterci in guardia: gli argomenti per perseguire ad ogni costo la pace, negando la possibilità di guerra ad ogni conflitto tra Paesi, dovrebbero essere più che persuasivi. Ma, come sappiamo, un altro dato si aggiunge. Ed è - dovrebbe essere - quello decisivo: la bomba atomica è l'arma che fu sperimentata, dagli Usa, sul finire della 2^ guerra mondiale (Hiroshima, 166mila morti civili e Nagasaki, 80mila morti civili). Oggi l'arsenale nucleare disponibile (oltre 13mila armi, di cui Usa e Russia detengono il 90%), non è in grado di far saltare il Pianeta, ma può distruggere, con pochi clic in pochi secondi, pigiati su pochi pulsanti attivabili da poche persone, la vita di ogni umano sul pianeta.
Questo è il fatto nuovo con cui ogni discorso oggi deve fare i conti: parlare di guerra, dopo il 1946, significa parlare di un potenziale di guerra atomica fino a ieri inesistente.
Lo sappiamo e lo ripetiamo. Però ce lo dimentichiamo.
Ricordarlo ancora una volta non è fare della ideologia deteriore: è prendere atto della realtà. Quella che amano tanto coloro che si definiscono pragmatici, insultando chi ritengono non lo sia mai abbastanza.
Il punto quindi non sono le 'anime belle': sono le 'anime razionali'. Sono le seconde che mancano: subito accomunate alle prime e squalificate come fossero portatori di peste.
In questo contesto, vincolato dalle condizioni strutturali che rendono l'oggi completamente diverso dallo ieri, non si può continuare a parlare di 'vincere-contro': né mettendo in campo le armi (perché si può arrivare alla distruzione del mondo), né imponendo una negoziazione al tavolo diplomatico che ammetta solo una controparte perdente (perché nessuno può subire l'umiliazione di una sconfitta).
L'unica bussola comportamentale oggi possibile è il 'vincere-insieme': che, ovviamente, come dicono anche i sacri testi cui tutti a parole dichiarano di ispirarsi nelle contrattazioni d'affari efficaci, prevede quel concedere reciproco senza il quale viene a cadere ogni compromesso sano e produttivo.
Ancora una volta: non è buonismo, ma analisi logica e consequenziale dello stato in cui il mondo si trova nel 2022. O si è capaci di produrre un reciproco vantaggioso win-win (l’espressione ‘inventata’ dagli anglosassoni, che poi però inneggiano ai missili), oppure si finisce lose-lose. Solo che il lose-lose di oggi non riguarda solo le parti belligeranti, ma tutti gli umani del Pianeta.
Sono banale, lo so. E anche un po' ripetitivo.
Eppure, un pizzico di realismo che riattivi i cervelli, se ancora esistono, aiuterebbe a capire la realtà del nuovo secolo. Invece, la guerra ucraina è diventata una guerra per procura di Usa contro Russia: le dichiarazioni di Biden sono lì a dimostrarlo e l'ultima affermazione Nato, che boccia la proposta di Zelensky di una possibile concessione della Crimea a Putin per dare inizio a un negoziato di pace, dovrebbe cancellare ogni eventuale dubbio residuo.
E' una sfida all'ok Corral Biden-Putin, sulla pelle degli ucraini, appositamente 'pompati' alla 'bella morte' dal primo (come se già le vittime non avessero dato abbondante prova di essere automotivate al suicidio). Solo che in palio non c'è la vittoria di due bulli sul mondo, ma il mondo stesso.
L'ottusa avventatezza di chi si sfida a chi ha il missile più lungo o di chi tifa per la vittoria di una delle parti continuando a mostrificare l'altra e la masochistica stupidità di chi sta a guardare pensando che tanto il problema non è suo, senza immaginare e perseguire tavoli che costringano a negoziare chi deve negoziare, dimostrano una volta di più che noi umani non apparteniamo alla specie dei sapiens sapiens. E neppure dei sapiens.
Non se lo meritano i nostri nipotini, costretti a subire decisioni altrui che ipotecano il loro futuro, forse la loro stessa vita, tuttavia noi sedicenti adulti, come umani, ci meritiamo il sipario.
*** Massimo Ferrario, Anime belle? No, anime razionali, per 'Mixtura'
In Mixtura ark #Spilli di M. Ferrario qui
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