giovedì 16 gennaio 2025

#FAVOLE & RACCONTI / Autoritarismo, un avverbio e un aggettivo (Massimo Ferrario)

Un episodio di tanti anni fa, che più volte ho raccontato nelle aule formative a manager con i quali mi accadeva di parlare di leadership, riguarda mio figlio, che all’epoca era in quinta elementare.

Primavera. La scuola – rigorosamente pubblica - lancia l’iniziativa dei ‘3 giorni azzurri’. Tutte le classi, a turno, sono invitate a visitare la Liguria, per conoscere la vita di mare e dell’entroterra di Ponente: incontreranno i pescatori e riscopriranno i vecchi mestieri artigianali, ad esempio i ceramisti delle Albissole. Quasi tutti i genitori aderiscono in massa, tassandosi anche per chi non potrebbe partecipare per ragioni economiche. I bambini sono felici: è la prima volta che faranno l’esperienza di una gita insieme, per giunta dormendo due notti in un albergo della costa. L’assistenza è garantita dalle maestre della scuola che seguiranno gli alunni e da operatrici che troveranno sul posto.

I pullman partono con i bambini in festa, mentre un po’ di sana, sottile apprensione stuzzica i genitori fino al ritorno: in fondo si tratta di una prima volta, i figli sono piccoli e l’evento che li tocca è anche un segno che i bambini - ahimé, ma per fortuna - stanno diventando grandi.

I ‘tre giorni azzurri’ volano e il pullman è già di ritorno. Io, una volta tanto sono a Milano libero da impegni, e riesco a fare il padre. Vado a prendere Luca all’arrivo. Lui e gli altri suoi amichetti sciamano a terra con i loro zainetti. Baci e abbracci. Contentezza, ma anche un po’ di malinconia: la bella avventura è finita. Solite domande di noi adulti: com’è andata? 

Luca è più che soddisfatto: dice che sono stati tre giorni molto belli. Tuttavia. Tuttavia c’è un ma che intravvedo – intuisco - dietro la faccia sorridente. Al momento evito di indagare. Poi, a casa, a pranzo, con discrezione torno sull’argomento e cerco di capire. «Allora, davvero tutto bene?» Dalle (non) risposte ho la conferma che esiste qualche ombra. Insisto, senza dare la sensazione di volere instaurare un interrogatorio. Lui continua a tergiversare. Poi, alla fine, si lascia andare: «Ma sì, tutto benissimo. A parte l’operatrice che ci ha seguito per i tre giorni». Il mio silenzio è di paziente attesa. Lui riprende a divagare: ha molte cose da raccontare, non smette di essere eccitato dall’esperienza. Io rinforzo le sue valutazioni positive su tutto quanto gli è capitato, poi ritorno all’operatrice. «Dicevi che l’operatrice non era il massimo?». Lui annuisce, deciso. «Ma cosa faceva per esserti così antipatica?». «Non era antipatica solo con me: lo era con tutti.» Si zittisce: sta rimuginando. «Sì, perché… insomma… era…». Non gli viene la parola. «Era…?». «Era… non lo so… ecco: era inutilmente severa».

Sono trascorsi oltre trent’anni. Continuo a considerare l’espressione condensata in quell’'inutilmente severa', riferita all’autorità dell’operatrice, come la massima sintesi, quanto mai preziosa, di uno dei tanti seminari manageriale allora di moda. Quando ci si chiudeva in un’aula per tre giorni solo per riflettere sulla leadership: le sue caratteristiche di fondo, come favorirla, quali stili, le dinamiche positive e negative di capi e collaboratori. Quel ragazzino, che casualmente era mio figlio, è la conferma che i bambini – tutti – spesso arrivano all’essenza delle cose prima di noi adulti. Ciò che rifiutano, da un adulto che non sa esprimere leadership, non è la ‘severità’. E’ la severità ‘inutile’: gratuita, senza ragione, affermata solo in funzione di chi la esercita e non di chi ne è destinatario. Noi sedicenti ‘grandi’ abbiamo bisogno di sedicenti guru per capire il concetto di ‘autorevolezza’. Loro hanno chiaro, almeno fin dalle scuole elementari, in cosa consiste l’‘autoritarismo’. E sono capaci, solo con un avverbio e un aggettivo, di 'scolpirne' la definizione come nessun esperto farebbe.

*** Massimo Ferrario, Autoritarismo, un avverbio e un aggettivo, 'Mixtura' (masferrario.blogspot.com), 16 gennaio 2025


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