Metà mattina.
Un piccolo bar del centro-città, un locale storico: arredamento in legno, travi a vista, pochi tavoli, clima piacevole e accogliente.
Famoso soprattutto per le prime colazioni: per la varietà e la qualità di cornetti e pasticceria di produzione artigianale, oltre che per la cortesia e l'attenzione al servizio del proprietario.
Al bancone un signore distinto, di età avanzata, in giacca e cravatta, probabilmente da qualche anno in pensione, sta bevendo un caffè, mentre sfoglia un quotidiano e si gusta un cannolo.
Entra un giovane: elegante, tutto firmato e perfettino.
Il proprietario, da lontano, lo inquadra.
Gli ricorda un passato di neppure troppi anni fa. Dal quale si era sfilato per tempo, quando per fortuna gli era nata la voglia di provare a sognare un locale tutto suo: e aveva lasciato una promettente carriera in un mondo che proprio non sopportava.
Il tipo sembra uscito da una sfilata di moda.
Un vestito inappuntabile, fresco e color carta da zucchero, adatto al caldo estivo, pochette al taschino e mocassini di gran marca, tutto rigorosamente intonato, una ventiquattrore di lusso da managerino in carriera interamente dedito a efficienza e velocità.
Non è certo il primo di una serie di personaggi di questo genere che ogni tanto entrano al bar. Stavolta però, e non sa perché, il barista subisce pensieri automatici: non deve neppure far viaggiare troppo la fantasia. Recupera frammenti di un ambiente che pensava di aver rimosso e si immagina il giovin signore pronto a tuffarsi, appena uscito dal bar, magari come art director, dentro un meeting in ital-english: forse per un briefing di una campagna di advertising, o per un brain-storming tra product manager e copywriter per trovare l'headline più adatto al nuovo brand appena partorito.
Il giovane ha fretta, guarda in continuazione l'iwatch al polso, poi scorre ossessivamente lo smartphone, si infila gli auricolari, apre whatsapp e inizia a digitare.
Quindi, in modo ineducato, passa con decisione davanti una signora che sta per fare la sua ordinazione.
Senza salutare, né chiedere per favore, urla al barista:
«Un marocchino. E un cornetto al pistacchio».
Il barista si costringe ad essere gentile: finge di non notare la maleducazione del tipo.
E sottovoce chiede scusa lui alla signora per quei modi sgarbati: la conosce, ogni mattina è affezionata al suo latte caldo macchiato, non c'è neppure più bisogno che glielo ordini, lo sta già preparando.
Senza distogliere l'attenzione dalla macchina del caffè, finisce di scaldare il latte per la cliente e glielo serve nel solito bicchiere alto di vetro che lei predilige, mettendogli accanto, su un piattino, un mini-dolcetto sfornato da poche ore.
Si china e le sussurra:
«Offre la ditta, signora».
Intanto, a voce alta e con la massima cortesia, dà le informazioni al giovane che è fermo alla fine del bancone e sta chiamando un numero telefonico.
«Mi spiace signore, i cornetti al pistacchio sono terminati. Stamattina abbiamo avuto una richiesta inusuale. Ci sono cornetti alla crema, al cioccolato o alla marmellata. Per la marmellata, abbiamo albicocche, fichi, fragole, ciliegie, uva, ribes, arancia, prugne, more, frutti di bosco, mirtilli, lampone. Oppure ci sono cornetti vuoti. E anche integrali».
Il tipo rampantino, abituato al multitasking, esibisce una faccia seccata.
«Ok, allora un cappuccino tiepido. E un cornetto al pistacchio».
Il barista sorride: scuote la testa e incrocia lo sguardo del signore distinto che sta leggendo il giornale. Uno scambio di intesa silenziosa.
Percorre il bancone e raggiunge il giovane.
Attende che questi incroci i suoi occhi, staccando almeno un auricolare.
«Scusi, signore. Le dicevo che i cornetti al pistacchio, purtroppo, sono finiti.»
Il giovane, sempre più seccato, alza gli occhi al cielo.
Si corregge.
«Va bene, allora ripiego su un te. E un cornetto al pistacchio.»
Il barista fissa il giovane: si sente preso in giro.
E' spazientito, ma cerca di controllarsi.
«Signore, non so come ripeterglielo. Non ne ho più di cornetti al pistacchio. Mi spiace, deve ripiegare su altri cornetti»
Gli indica tre vassoi sul banco.
«Ecco, qui può scegliere. Cornetti di tutti i tipi. E ci sono i cartellini: per genere di ripieno, integrali, vuoti. Come li preferisce».
Il managerino sbuffa.
Seccatissimo, commenta:
«Sappia che è la prima e ultima volta che metto piede in questo bar. Se questa è l'attenzione che voi avete verso i clienti, non avrete vita lunga. Io mi occupo di marketing e me ne intendo. Ha mai sentito parlare di ascolto dei bisogni dei consumatori? E poi vi lamentate che c'è la crisi. Vado più avanti: per fortuna c'è la libera concorrenza e non ci siete solo voi in centro-città».
Raggiunge la porta in un baleno.
E' già fuori.
Il barista avrebbe avuto voglia di rispondergli per le rime. Ma a parte che non ne ha avuto il tempo, perché il tizio se n'è andato come una furia, è stato giusto lasciar correre: ogni tanto capita gente strana e se si dovesse litigare con tutti...
Cerca conforto presso il signore distinto.
Che ha seguito tutta la vicenda, ha posato il giornale e ora lo guarda in faccia con aria complice e comprensiva.
Il pensionato esibisce un sorriso all'angolo della bocca.
Sospira.
«Certo che chi fa il suo mestiere deve avere tanta pazienza con certi tipi...».
Il barista si consola.
Essere capiti gli fa passare la rabbia che ha in corpo.
E poi, pensa, ci sono quelli che ti ripetono ancora che il 'cliente ha sempre ragione'...
E quel tipino si spacciava pure per uno che si intende di marketing... uno che sa ascoltare...
Il signore distinto, quasi avesse ascoltato il frullato di pensieri nella testa del barista, scuote il capo.
«Che mondo», lamenta sconsolato, quasi parlando a se stesso.
Sarebbe tentato di menzionare Cicerone e di fare la solita battuta, stucchevole, sui 'tempora' e sui 'mores'. Ma poi, ne è convinto, avrebbe dovuto tradurre: il latino non è più di moda e lui ha lo stereotipo che i baristi sono sempre e solo dei baristi che ignorano chi sia Cicerone e i tempi e i costumi della sua epoca. Se ne facesse cenno, il barista, che alla maturità aveva tradotto proprio Cicerone, gli direbbe che i 'tempora' e i 'mores' cambiano nel tempo, ma in fondo sono sempre simili in tutte le epoche. E la ragione è che gli uomini, se non tutti, almeno certi poveretti, non cambiano mai.
Il pensionato decide che anche per oggi il caffè di metà mattina è consumato: ripiega il giornale e lo ripone nell'apposito posto vicino al bancone per la consultazione di altri clienti.
Poi, prima di andarsene, restando dietro il banco, ma avvicinando il viso al barista come per una confidenza, conclude soddisfatto:
«Guardi, davvero, non so come lei abbia fatto a trattenersi. Io non ci sarei riuscito. Se fossi stato al suo posto avrei preso l'intero cabaret di cornetti e glieli avrei tirati addosso, a quel tizio insopportabile. Anzi, no, avrei fatto una cosa più mirata: visto che quel damerino continuava a chiedere cornetti al pistacchio, prima gli avrei chiesto di venirmi vicino e poi gli avrei spremuto e spalmato addosso, su tutto il suo bell'abito immacolato, tutti i cornetti al pistacchio del vassoio».
*** Massimo Ferrario, Il barista e i cornetti al pistacchio, per Mixtura - Riscrittura creativa di una storiella famosa diffusa in internet.
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