martedì 30 giugno 2015
#MOSQUITO / Dedicarsi, una virtù astratta (Richard Sennett)
Trasposto nell’ambito familiare, il ‘basta con il lungo termine’ significa continuare a muoversi, non dedicarsi in profondità a qualcosa e non fare sacrifici. Sull’aereo, Rico all’improvviso scoppiò in un: «Non puoi immaginare quanto mi sento stupido quando dico ai miei figli che è importante dedicarsi a qualcosa. Per loro si tratta di una virtù astratta: non la vedono da nessuna parte».
*** Richard SENNETT, 1943, sociologo, saggista, scrittore statunitense, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, 1998, Feltrinelli, Milano, 1999.
#SPILLI / O porti almeno una soluzione, oppure... (Massimo Ferrario)
(dal web, via linkedin)
Ho dubbi profondi che l'autore sia Confucio, cui peraltro la rete è solita attribuire di tutto (insieme con Oscar Wilde, ad esempio, o con Albert Einstein).
Ma per quanto abbia cercato, anche se non ho trovato conferme, neppure ho trovato prove della sua falsa attribuzione.
Quel che è certo è che la citazione, nella versione non firmata, gira ed è molto nota: viene appesa ai muri degli uffici o messa in bella vista, a mo' di intimidazione del visitatore, sopra le scrivanie dei capi.
Con le poche righe che seguono, tento di spiegare perché trovo la frase violenta e cretina. Anche se so che probabilmente proprio per questo il successo non glielo toglie nessuno.
(1) - Breve premessa. Già gli aut-aut appartengono ai modi sbrigativi e ricattatori che non vogliono lasciare scampo. In effetti, ci sono casi in cui non c'è scampo. Ma in genere, quando si ricorre all'aut-aut, lo scampo non c'è perché si è deciso che non ci sia: tertium non datur, si sottintende. Invece, nel 99% delle situazioni, il terzo esiste. E anche il quarto e il quinto. E poi, spesso, è più realistico l'et-et per descrivere e comprendere una realtà che è sempre intrinsecamente problematica e contraddittoria (ossimorica, si potrebbe dire).
(2) - Il merito della frase. Non sempre chi non porta soluzioni non le vuole e costituisce un problema per il problema (è parte del problema, dice la frase).
Può essere che, almeno per il momento, non sia capace di trovare la soluzione, pur non risparmiando ogni sforzo per riuscire a venirne a capo.
Oppure può essere che la soluzione, al suo livello di conoscenza del problema, non sia 'visibile', e, almeno per cominciare a intravvederla, lui abbia bisogno di informazioni che stanno altrove: magari proprio presso quel capo che lo incolpa di non essere il solutore che neppure lui è capace di essere.
Oppure può essere che il contributo, nel processo in corso di esame del problema, sia un'analisi (anche profonda, critica, 'problematica' appunto) incapace di risolvere, ma utile per meglio inquadrare il problema stesso: e magari, in questo contesto, chi non porta soluzioni, porta però la sua critica e le sue domande. Fondamentali per arrivare alla soluzione: sempre se si ha l'intelligenza e la pazienza di accettare e valorizzare critica e domande.
(3) - Il mito del tempo. La frenesia pragmatica che affronta e decide in quattro e quattro otto è il mito del tempo. E non importa se poi il risultato del quattro più quattro quasi mai fa otto: conta l'atto, veloce, semplificatorio, immediato. E soprattutto 'spensierato': perché il pensiero frena, ritarda, intralcia. Disturba. E 'fa pensare'. E poi i nodi vanno tagliati: sempre, subito. Con drastica virilità. Lo scioglimento richiede tempo e pazienza: due virtù se mai femminee (dunque poco amate pure dalle donne in similmaschio in arrembaggio crescente); due virtù troppo discrete e in ombra, che non fanno spettacolo e perciò non si prestano a quella costruzione quotidiana della reputazione di 'vincenti' cui la maggior parte di noi oggi ambisce: nella vita, nel lavoro.
Perché, naturalmente, tanto per riprendere l'aut-aut che 'piace alla gente che piace', o sei vincente, o sei perdente.
Cioè devi decidere: o esistere, o non essere nessuno.
*** Massimo Ferrario, O porti almeno una soluzione, oppure..., per Mixtura
LIBRI PIACIUTI / Tempi glaciali, di Fred Vargas (recensione di M. Ferrario)
Fred VARGAS, Tempi glaciali, 2015, Einaudi, 2015
pagine 442, € 20,00, ebook € 9,99
traduzione di Margherita Botto
Ancora un romanzo che spiazza: anche il lettore abituato alla incredibile abilità di Fred Vargas nel costruire trame affascinanti e intricate non può che restare avvinto e sorpreso.
La vicenda è complessa e anche complicata: si snoda per oltre quattrocento pagine, fra Parigi, l'Islanda e una strana Associazione di adepti della Rivoluzione Francese, più o meno innamorati di Robespierre. Il tutto percorso (tenuto insieme?) da sei omicidi che paiono inspiegabili fino alla fine.
Ma al di là della trama, che sa alimentare un tensione sempre all'apice e che si sviluppa in modo apparentemente divagante e disordinato finché ogni tassello, anche il minimo e più trascurabile, finisce nell'incastro giusto, ciò che contribuisce a far gustare il racconto è la descrizione dello strambo gruppo dell'Anticrimine pilotato dal commissario Adamsberg: un'accolita di personaggi meno 'sgangherati' di quanto a prima vista sembrino, ma certo ognuno sorprendente e in qualche modo fuori norma rispetto a quanto tradizionalmente ci si attende da pubblici funzionari dell'ordine.
Ancora più simpaticamente disallineato e quanto mai intrigante, come sempre nella serie di racconti in cui è protagonista, si conferma Adamsberg: anche stavolta il suo 'spalare le nuvole' (è l'approccio investigativo, tra il sognatore e l'intuitivo, che gli attribuiscono i collaboratori, con ammirazione, ma talvolta anche con qualche sentimento di irritazione) e il suo lasciarsi andare alle sensazioni del momento che fanno fermentare gli abbozzi di pensieri ('come fossero girini') che poi definiscono i pensieri compiuti sui fatti osservati (con la capacità incredibile di vedere ciò che nessun altro sa vedere e di collegare dati che sembrano dispersi e frammentati), costituiscono il metodo di lavoro che porta alla soluzione del caso.
Ma al di là della trama, che sa alimentare un tensione sempre all'apice e che si sviluppa in modo apparentemente divagante e disordinato finché ogni tassello, anche il minimo e più trascurabile, finisce nell'incastro giusto, ciò che contribuisce a far gustare il racconto è la descrizione dello strambo gruppo dell'Anticrimine pilotato dal commissario Adamsberg: un'accolita di personaggi meno 'sgangherati' di quanto a prima vista sembrino, ma certo ognuno sorprendente e in qualche modo fuori norma rispetto a quanto tradizionalmente ci si attende da pubblici funzionari dell'ordine.
Ancora più simpaticamente disallineato e quanto mai intrigante, come sempre nella serie di racconti in cui è protagonista, si conferma Adamsberg: anche stavolta il suo 'spalare le nuvole' (è l'approccio investigativo, tra il sognatore e l'intuitivo, che gli attribuiscono i collaboratori, con ammirazione, ma talvolta anche con qualche sentimento di irritazione) e il suo lasciarsi andare alle sensazioni del momento che fanno fermentare gli abbozzi di pensieri ('come fossero girini') che poi definiscono i pensieri compiuti sui fatti osservati (con la capacità incredibile di vedere ciò che nessun altro sa vedere e di collegare dati che sembrano dispersi e frammentati), costituiscono il metodo di lavoro che porta alla soluzione del caso.
E il lettore, per tutto il tempo, non fatica a credersi 'lì' con questo commissario 'casuale' ma mai distratto, come fosse un partecipante, in questo caso invisibile, paziente e silenzioso, della sua squadra: segue con trepidazione quei fermenti di riflessioni 'in fieri' con cui Adamsberg cerca di ordinare gli avvenimenti, trovando loro un senso, mentre la vicenda cresce in diretta, in ogni sua piega, e la storia-fiume va per rivoli che solo dopo si scoprono non secondari.
Sono pagine che sanno unire un'affabulazione eccezionale (la varietà degli eventi, mai lineari e spesso inaspettati, incolla alla sedia) con un linguaggio curato, sempre fluido, abile nel giocare con un'ironia leggera e intelligente.
Insomma, se si ama l'enigma fatto di azione, ingegnosamente costruita e brillantemente raccontata, piacere e tensione sono assicurati.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
«
Conosceva Adamsberg da abbastanza tempo per sapere che, nel suo caso, la parola «riflettere» non aveva alcun significato. Adamsberg non rifletteva, non si sedeva da solo a un tavolo, impugnando una matita, non si concentrava davanti a una finestra, non ricapitolava i fatti su un tabellone, con frecce e cifre, non appoggiava il mento su una mano. Vagolava, camminava senza far rumore, ciondolava da un ufficio all’altro, commentava, andava avanti e indietro a passi lenti, ma nessuno l’aveva mai visto riflettere. Sembrava un pesce alla deriva. No, un pesce non va alla deriva, un pesce persegue il proprio obiettivo. Adamsberg faceva pensare piuttosto a una spugna, sballottata dalle correnti. Ma quali correnti? Del resto, alcuni dicevano che quando il suo vago sguardo bruno diventava ancora piú sfocato era come se avesse gli occhi pieni di alghe. Apparteneva piú al mare che alla terra. (Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
Allora ci ho pensato su molto, sette volte e non una di piú. – Sette volte, – ripeté Adamsberg. Come si poteva contare il numero dei propri pensieri? – E non cinque e non venti. Mio padre diceva che bisogna pensarci su sette volte prima di agire, non di meno, altrimenti fai qualche stupidaggine, ma soprattutto non di piú, altrimenti cominci a girare in tondo. E a furia di girare in tondo affondi nella terra come una vite. E dopo non c’è più verso di muoverti. Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
Adamsberg posò piano piano la forchetta, come faceva sempre quando un’idea che non era ancora tale, un embrione di idea, un girino, affiorava languidamente alla coscienza. In quei momenti, lo sapeva, non bisognava fare nessun rumore perché il girino era pronto a rituffarsi e scomparire per sempre. Ma un girino si affacciava con la sua testa informe alla superficie delle acque mica per niente. E se intendeva solo divertirsi, be’, lo avrebbe ributtato dentro. Intanto, e senza abbozzare un gesto, Adamsberg aspettava che il girino si avvicinasse un po’ di più e cominciasse a trasformarsi in ranocchio. (Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
«
Conosceva Adamsberg da abbastanza tempo per sapere che, nel suo caso, la parola «riflettere» non aveva alcun significato. Adamsberg non rifletteva, non si sedeva da solo a un tavolo, impugnando una matita, non si concentrava davanti a una finestra, non ricapitolava i fatti su un tabellone, con frecce e cifre, non appoggiava il mento su una mano. Vagolava, camminava senza far rumore, ciondolava da un ufficio all’altro, commentava, andava avanti e indietro a passi lenti, ma nessuno l’aveva mai visto riflettere. Sembrava un pesce alla deriva. No, un pesce non va alla deriva, un pesce persegue il proprio obiettivo. Adamsberg faceva pensare piuttosto a una spugna, sballottata dalle correnti. Ma quali correnti? Del resto, alcuni dicevano che quando il suo vago sguardo bruno diventava ancora piú sfocato era come se avesse gli occhi pieni di alghe. Apparteneva piú al mare che alla terra. (Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
Allora ci ho pensato su molto, sette volte e non una di piú. – Sette volte, – ripeté Adamsberg. Come si poteva contare il numero dei propri pensieri? – E non cinque e non venti. Mio padre diceva che bisogna pensarci su sette volte prima di agire, non di meno, altrimenti fai qualche stupidaggine, ma soprattutto non di piú, altrimenti cominci a girare in tondo. E a furia di girare in tondo affondi nella terra come una vite. E dopo non c’è più verso di muoverti. Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
Adamsberg posò piano piano la forchetta, come faceva sempre quando un’idea che non era ancora tale, un embrione di idea, un girino, affiorava languidamente alla coscienza. In quei momenti, lo sapeva, non bisognava fare nessun rumore perché il girino era pronto a rituffarsi e scomparire per sempre. Ma un girino si affacciava con la sua testa informe alla superficie delle acque mica per niente. E se intendeva solo divertirsi, be’, lo avrebbe ributtato dentro. Intanto, e senza abbozzare un gesto, Adamsberg aspettava che il girino si avvicinasse un po’ di più e cominciasse a trasformarsi in ranocchio. (Fred Vargas, Tempi glaciali, Einaudi, 2015)
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#MOSQUITO / Innovazione, minacciata dalla precarietà del lavoro (M. West, C. Fletcher, J. Toplis)
Fra le maggiori minacce all’innovazione ci sono la precarietà del posto di lavoro e l’impressione di correre dei rischi nella propria attività. (...) Quando gli individui si sentono minacciati tendono a reagire in maniera difensiva e poco immaginativa. (...) Si attengono a routine sperimentate e collaudate anziché cercare di affrontare in maniera nuova il loro ambiente. (...) Perciò è generalmente più probabile che corrano dei rischi e sperimentino nuovi modi di procedere nelle situazioni in cui si sentono relativamente al sicuro da minacce.
Il presente rapporto suggerisce quindi che alla rivoluzione nella struttura del management realizzata negli anni Ottanta si aggiunga negli anni Novanta e nel prossimo secolo un’altra rivoluzione che incrementi (...) la sicurezza psicologica sul lavoro e il sostegno pratico allo sviluppo e alla realizzazione di metodi di procedere nuovi e più sofisticati.
*** Michael WEST, Clive FLETCHER e John TOPLIS, psicologi inglesi, Fostering Innovation: A Psychological Perspective, British Psychological Society, Leicester, 1994, citato da Guy Claxton, Il cervello lepre e la mente tartaruga, 1997, Mondadori, 1998.
#LINK / Dalla parte dei Greci, subito (Christian Raimo)
(...) È la proposta di intervento presentata dal premier greco Alexis Tspiras all’Eurogruppo qualche giorno fa e corretta con vari tagli e sottolineature in rosso da Christine Lagarde, Jeroen Dijsselbloem e altri.
È un testo significativo. Segna una strategia che un premio Nobel per l’economia come Paul Krugman non si fa scrupolo a definire non solo ricattatoria ma semplicemente folle. (...)
Tsipras ha pensato di non avere il mandato popolare per trattare ancora, e ha indetto un referendum per domenica prossima, il 5 luglio, con un discorso molto bello, che finisce con parole che non riguardano solo la Grecia. «In questi tempi difficili, tutti noi dobbiamo ricordare che l’Europa è la casa comune di tutti i suoi popoli. Che in Europa non ci sono padroni e ospiti. La Grecia è, e rimarrà, parte integrante dell’Europa, e l’Europa parte integrante della Grecia. Ma un’Europa senza democrazia sarà un’Europa senza identità e senza una bussola. Chiedo a tutti voi di agire con unità nazionale e compostezza, e di prendere una decisione degna. Per noi, per le generazioni future, per la storia greca. Per la sovranità e la dignità del nostro paese.»
Perché non ci sembra che questa sia una fondamentale battaglia democratica? Perché non siamo allibiti e furiosi di fronte a un’oligarchia che chiede la demolizione dei diritti sociali e del welfare di un paese? Perché non ci indigniamo di fronte agli articoli che spiegano come cautelarci per le nostre vacanze se abbiamo prenotato quindici giorni a Mykonos? Perché non troviamo rivoltanti copertine come questa che titolano “Case da comprare e vacanze di lusso: le occasioni di un paese in saldo”? Perché non occupiamo la sede dell’Unione europea, come hanno fatto qualche giorno fa, come gesto di solidarietà, attivisti e sindacalisti a Dublino? (...)
*** Christian RAIMO, giornalista e scrittore, Dalla parte dei Greci, subito, 'internazionale.it', 29 giugno 2015.
LINK all'articolo integrale qui
#RITAGLI #LINK / Contro gli imbecilli e le bufale del web (Umberto Eco)
Mi sono molto divertito con la storia degli imbecilli del web. Per chi non l’ha seguita, è apparso on line e su alcuni giornali che nel corso di una cosiddetta “lectio magistralis” a Torino avrei detto che il web è pieno di imbecilli. È falso. La “lectio” era su tutt’altro argomento, ma questo ci dice come tra giornali e web le notizie circolino e si deformino.
La faccenda degli imbecilli è venuta fuori in una conferenza stampa successiva nel corso della quale, rispondendo a non so più quale domanda, avevo fatto un’osservazione di puro buon senso. Ammettendo che su sette miliardi di abitanti del pianeta ci sia una dose inevitabile di imbecilli, moltissimi di costoro una volta comunicavano le loro farneticazioni agli intimi o agli amici del bar - e così le loro opinioni rimanevano limitate a una cerchia ristretta. Ora una consistente quantità di queste persone ha la possibilità di esprimere le proprie opinioni sui social networks. Pertanto queste opinioni raggiungono udienze altissime, e si confondono con tante altre espresse da persone ragionevoli.
Si noti che nella mia nozione di imbecille non c’erano connotazioni razzistiche. Nessuno è imbecille di professione (tranne eccezioni) ma una persona che è un ottimo droghiere, un ottimo chirurgo, un ottimo impiegato di banca può, su argomenti su cui non è competente, o su cui non ha ragionato abbastanza, dire delle stupidaggini. Anche perché le reazioni sul web sono fatte a caldo, senza che si abbia avuto il tempo di riflettere.
È giusto che la rete permetta di esprimersi anche a chi non dice cose sensate, però l’eccesso di sciocchezze intasa le linee. (...)
Come filtrare? Ciascuno di noi è capace di filtrare quando consulta siti che riguardano temi di sua competenza, ma io per esempio proverei imbarazzo a stabilire se un sito sulla teoria delle stringhe mi dica cose corrette o meno. Nemmeno la scuola può educare al filtraggio perché anche gli insegnanti si trovano nelle mie stesse condizioni, e un professore di greco può trovarsi indifeso di fronte a un sito che parla di teoria delle catastrofi, o anche solo della guerra dei trent’anni.
Rimane una sola soluzione. I giornali sono spesso succubi della rete, perché ne raccolgono notizie e talora leggende, dando quindi voce al loro maggiore concorrente - e facendolo sono sempre in ritardo su Internet. Dovrebbero invece dedicare almeno due pagine ogni giorno all’analisi di siti web (così come si fanno recensioni di libri o di film) indicando quelli virtuosi e segnalando quelli che veicolano bufale o imprecisioni. Sarebbe un immenso servizio reso al pubblico e forse anche un motivo per cui molti navigatori in rete, che hanno iniziato a snobbare i giornali, tornino a scorrerli ogni giorno. (...)
*** Umberto ECO, 1932, semiologo, filosofo, saggista, scrittore, Un appello alla stampa responsabile, 'L'Espresso', 26 giugno 2015
LINK, articolo integrale qui
lunedì 29 giugno 2015
#SPILLI / Viva l'Io (M. Ferrario)
(dal web, via linkedin)
So che rischio di passare per il solito 'criticone', ma concedetemi due righe.
Spiego perché trovo questa frase, che in 'linkedin' ha suscitato molta approvazione, sottilmente pericolosa e fuorviante.
Ci vedo infatti, peraltro in linea coi tempi, un focus su un IO a tutte maiuscole, individualista e autoreferenziale, che è un inno al non preoccuparsi d'altro (e degli altri).
Gli altri esistono solo in funzione dell'Io:
* vivi per chi 'ti' ama (e chissenefrega degli altri);
* affronta chi 'ti' sfida (e non ti preoccupare degli altri);
* ignora chi non 'ti' merita (cioè chi non è allineato con te).
E' un messaggio non subliminale, ma (a me sembra) chiaro ed evidente.
Che peraltro rinforza (a me pare), anche se per qualcuno è a sua insaputa, i nostri comportamenti sempre più 'naturalmente' centrati sul nostro ombelico.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
#SENZA_TAGLI / Jobs Act Expo 2015, il Grande Fratello (Alessandro Robecchi)
Roba da Orwell, neolingua e Grande Fratello. Nome e cognome: Jobs act, quella legge sul lavoro detta in inglese per fregare i gonzi e scritta da Confindustria per “superare” (sic) lo Statuto dei Lavoratori. Ciambella riuscita (con la fiducia, ovviamente), ma con molti buchi. E qualche autogol. I solerti salariati della propaganda renzista non facevano in tempo a sbandierare un comunicato del ministero del lavoro (18 giugno) che rassicurava, e troncava, e sopiva, che venivano impietosamente sbugiardati il giorno dopo dal garante della Privacy, che ammoniva sul rischio di “indebita profilazione delle persone che lavorano”. In italiano: il controllo elettronico della vita dei lavoratori. Insomma, fate attenzione, siate gentili, si valuti, si vigili… le solite belle parole, ma rimane il fatto che il Jobs act consente controlli capillari: una festa per le aziende, piccole e grandi (...).
Che poi, a ben guardare, il Jobs atc liberalizza, sì. Liberalizza, per l’esattezza, comportamenti di enorme scorrettezza padronale. Come la proposta del marzo scorso di Fincantieri, che pretendeva di inserire microchip negli scarponi degli operai, poi accantonata grazie alle proteste Fiom. O come accade (anche ora, mentre leggete) nel suggestivo scenario di Expo, dove i lavoratori forniti da Manpower devono avere una app nel cellulare (collegata alla mail fornita all’assunzione, cioè alla mail personale) che permette di controllarne minuto per minuto, tramite wi-fi e gps, gli spostamenti. E non solo, come sospettano NidiL Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp, perché sarebbe tecnicamente possibile anche il monitoraggio delle memorie dei telefonini e delle mail private. Forse è questo che si intende con “Expo, un modello per il Paese”: più controlli per tutti.
*** Alessandro ROBECCHI, giornalista, scrittore, Jobs Act Expo 2015, il Grnde Fratello, blog 'alessandrorobecchi', qui, 'Il Fatto Quotidiano', 28 giugno 2015
#RITAGLI #LINK / Top manager, se si è leader (Dick Costolo)
[D: Lei è amato dentro Twitter, stimato dagli utenti. Ma criticato da Wall Street. All’annuncio delle dimissioni, il titolo è salito fino al 10%. Bizzarro, no?]
Quando sei a capo di un’azienda, devi batterti contro forze esterne che spingono verso il breve termine. Ogni 90 giorni, ogni 90 giorni, ogni 90 giorni... Ma esistono forze interne che inducono a pensare a lungo termine, invece. Un leader deve opporsi alle prime forze e spingere la squadra a pensare strategicamente. (...)
[D: Qualcosa che rimpiange di questi anni?]
Non una cosa sola. Molte. Ma i leader devono ammettere gli errori. Tanto chi lavora con te li vede comunque: i capi sono trasparenti. Un capo non deve impedire gli errori dei sottoposti, deve correggerli. Se cerca di impedirli, la struttura rallenta. La gente inizia a chiedere permessi perché non vuole grane. (...)
[D: A parte qualche eccezione europea (Skype, Spotify), i protagonisti della tech-industry arrivano dall’America. Perché?]
Perché negli Usa fallire non è considerata una cosa cattiva. Guardi Steve Jobs: cacciato da Apple, oggi ritenuto una delle grandi menti della storia. Il fallimento non vuol dire espulsione né punizione. Questo aiuta gli imprenditori a correre rischi. Tante buone idee, all’inizio, sembrano cattive idee. In America l’abbiamo capito. Altri Paesi, come la Cina e l’India, ci stanno arrivando. La cultura del fallimento eccitante porterà a un riequilibrio nel mondo: vedrete.
*** Dick COSTOLO, in uscita da Ceo di Twitter, intervistato da Beppe Severgnini, "Così un pulsante cambierà Twitter. In un attimo i messaggi migliori", 'Corriere della Sera', 27 giugno 2015
LINK, articolo integrale qui
#VIDEO / Le parole del tempo (Domenico De Masi)
Domenico DE MASI, 1938
sociologo, docente emerito della Università La Sapienza di Roma
Tag, le parole del tempo, conversazione con Paolo Fallai, Terza Pagina
video, 8min46
Una conversazione con il giornalista Paolo Fallai sull'ultimo libro di Domenico De Masi (Rizzoli, 2015).
Sullo stesso libro, in Mixtura, la mia recensione qui (mf)
#SENZA_TAGLI / Decapitazioni in nome del Corano (Farian Sabahi)
«Quando incontrate in battaglia quei che rifiutan la Fede, colpite il collo, finché li avrete ridotti a vostra mercé, poi stringete bene i ceppi: dopo, o fate loro la grazia oppure chiedete il prezzo del riscatto» (47, 4). E ancora «Percuotete il collo e spezzate ogni dito!» (8, 12). Così recitano due versi coranici usati dai jihadisti che si prendono la libertà di sostituire colpire e percuotere con decapitare. Ulteriore fonte è, nella biografia del Profeta, la spedizione contro i Banu Qurayzah che si erano alleati ai suoi nemici: «Maometto fece scavare un fossato sulla piazza del mercato, si sedette sull’orlo, fece chiamare Ali e Zubayr e diede ordine di prendere le spade, sgozzare uno dopo l’altro gli Ebrei e buttarli nella fossa».
Se i riferimenti teologici possono fornire una giustificazione, in realtà l’ispirazione concreta per i jihadisti viene dalle decapitazioni nelle pubbliche piazza dell’Arabia Saudita, dove è la pena per omicidio, violenza carnale, traffico di droghe, rapina, apostasia, relazioni sessuali illecite. Il mestiere di boia si trasmette di padre in figlio ma di questi tempi si fanno gli straordinari (88 decapitazioni lo scorso anno) e quindi il ministero del pubblico impiego ha diffuso un annuncio: «Otto boia cercansi. Non servono competenze né studi». Il salario non è indicato, ma pare che per ogni testa mozzata il boia di Stato riceva, oltre allo stipendio, un bonus di mille dollari.
*** Farian SABAHI, 1967, giornalista, 1967, giornalista, scrittrice, giornalista, docente, esperta di problemi del Medio Oriente, Quelle decapitazioni in nome del Corano, 'Corriere della Sera', 27 giugno 2015
Sempre in Mixtura, 1 altro contributo (video) di Farian Sabahi qui
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#RITAGLI / Grecia, il referendum è l'unica forma legittima (Luciano Canfora)
Il referendum è lo strumento della sovranità popolare, che veniva utilizzato nell’età antica. Chi lo critica si mette dalla parte degli oligarchi. (...)
[D: Si può ricorrere al referendum per una questione così importante come l’accettazione del piano Ue sulla Grecia?]
«Non solo si può, ma si deve. Nella storia d’Italia ci sono un paio di referendum che ci hanno segnato per sempre: quello per la Repubblica del 1946 e quello per il divorzio del 1974. E invece ora tutti si mettono a dare lezioni alla Grecia. Ma sono lezioncine in contrasto con l’idea di sovranità popolare. Sono reazioni oligarchiche».
[D: Chiamare il popolo a decidere, non è un modo per abdicare alle proprie responsabilità politiche?]
«No, tutt’altro. Se il concetto di sovranità popolare ha un senso, rimettersi al popolo è l’unica forma legittima».
[D: Siamo di fronte ad una crisi delle democrazie rappresentative?]
«Il modello della delega è logoro. Il referendum è un correttivo, un modo per restituire voce al cittadino comune. E’ una grande conquista, insieme al suffragio universale sicuramente una delle più grandi del Novecento. D’altra parte Jean-Jacques Rousseau diceva che il popolo inglese è libero soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento, ma appena questi sono eletti ridiventa schiavo.
[D: In momenti delicati, non è rischioso affidarsi alla pancia degli elettori?]
«Chi pensa questo non ha fiducia nel popolo sovrano. In realtà la democrazia s’impara praticandola e non continuando a tenere il cittadino comune sotto tutela».
*** Luciano CANFORA, 1942, filologo classico, storico e saggista italiano, intervistato da Raffaella De Santis, Canfora: «Il referendum strumento antico e democratico quanto la Grecia», 'la Repubblica', 28 giugno 2015
LINK, articolo integrale qui
domenica 28 giugno 2015
#VIGNETTE / Altan, Ebert, Magnasciutti, Biani, Staino, Vauro, Ellekappa
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#SPILLI / Gli spot che piacciono (M. Ferrario)
(dal web, fonte e autore ignoto)
E' il vecchio menefrego dei nostri padri.
'Nobilitato' (si fa per dire) dalla sabbia che scotta e dalla corsa verso il mare: che fa tanto romanticismo magari pure ecologico.
Non è il nuovo che avanza. E' il vecchio che è restato. (mf)
#LINK / Grecia-Grexit, un articolo più attuale che mai (Luca Padovano)
«Il governo di occupazione di Tsolakoglu ha letteralmente azzerato ogni possibilità di sopravvivenza per quanto mi riguarda. Dipendevo da una modesta pensione che mi sono pagato in 35 anni di lavoro (senza alcun sostegno statale).
Vista la mia età avanzata, non ho modo di reagire in modo attivo – ma se un mio concittadino greco afferrasse un Kalashnikov, sarei pronto a stare al suo fianco. Non vedo altra soluzione che una fine onorevole prima di iniziare a rovistare i cassonetti in cerca di cibo.
Sono certo che un giorno la gioventù senza futuro prenderà le armi e impiccherà a testa in giù i traditori della nazione, come gli italiani fecero con Mussolini a Piazzale Loreto a Milano nel 1945. »
Dimitris, farmacista, aveva 77 anni e si è sparato un colpo in testa, nascosto dietro un albero, il 4 aprile 2012, Piazza Syntagma, Atene. (...)
Ma perché c’è qualcosa di profondamente immorale e tragicamente sbagliato, che urta le coscienze e umilia l’intelletto, quando un vecchio farmacista viene spinto fino a desiderare di prendere le armi, prima di rivolgere l’arma contro se stesso, lasciando ai figli l’esortazione alla rivolta. Che si è passato il segno e qualcosa si dovrà pur fare, per rimettere le cose a posto.
E soprattutto perché Dimitris, con quelle poche righe e con il suo gesto estremo, ci ha ricordato l’essenza intima e dolente del potere formidabile di noi 99%, che è quello dell’ape che muore quando punge e non lo fa perché pensa di uccidere o ferire, ma semplicemente per consuetudine quotidiana alla dignità e al coraggio. (...)
*** Luca PADOVANO (@asinomorto), La Pasqua di Dimitris Christoulas, lpado.blog, 7 aprile 2012
LINK, articolo integrale qui
#SGUARDI POIETICI / Sentimenti (M. Ferrario)
G. Beco, fotografo egiziano, 'beco-g.com'
Un’immagine
forse
mielosa melensa retorica.
Kitsch.
Eppure.
Dipende.
Dipende da quanto ci è diventato stucchevole
un sentimento
che potrebbe
ancora
essere un sentimento.
Se lo sentissimo.
Se sentissimo tutti i sentimenti
che non sentiamo più.
*** Massimo Ferrario, settembre 2014, per Mixtura.
#MOSQUITO / Organizzazione, 'empowered' e 'empowering' (Donata Francescato)
Una organizzazione è empowered quando riesce a ‘leggere’ il più accuratamente possibile i processi di cambiamento in corso nei contesti locali, regionali, nazionali e internazionali in cui opera. Questa ‘lettura’ dei territori permette di cogliere opportunità ed individuare possibili minacce, a cui far fronte tramite mutamenti strategici e organizzativi interni da un lato; e dall’altro individuando partner con cui fare rete per raggiungere obiettivi non ottenibili singolarmente.
Una organizzazione è empowered quando riesce a fare questo lavoro di analisi glocale per comprendere come alcuni cambiamenti in atto a livello internazionale, intrecciati a specifiche problematiche nazionali e locali, possono incidere sul proprio futuro.
Diviene una organizzazione anche empowering quando riesce a coinvolgere i propri membri in questo processo di acquisizione di competenze, aumentando le loro capacità individuali e collettive di incidere sulle decisioni organizzative e la loro motivazione ad attuare quanto deciso.
*** Donata FRANCESCATO, psicologa, docente di psicologia di comunità all'università La Sapienza di Roma, saggista, intervistata da Raffaele Felaco, ‘La professione di psicologo’, giugno 2009.
#VIDEO / Perché è importante fare compromessi in amore (Alain De Botton)
Alain DE BOTTON
Perché è importante fare compromessi in amore
internazionale.it, 26 giugno 2015
video, 2min30
Una coppia festeggia la prima settimana nel nuovo appartamento. Ma qualcosa va storto. Nessuno dei due è disposto a cedere nulla all’altro. Ma fare compromessi è fondamentale in una relazione.
Il video di Alain de Botton (dalla presentazione del video)
° ° °
Sempre in Mixtura, altri 7 contributi di Alain de Botton qui
#LINK / Gender, il sindaco che grida al lupo (Chiara Lalli)
«Si chiede di voler raccogliere i libri “gender”, genitore 1 e genitore 2, consegnati durante l’anno scolastico e prepararli al fine del ritiro che avverrà al più presto da parte di un incaricato. Con i migliori saluti».
Questo è il testo della circolare inviata il 24 giugno al personale docente di asili nido e scuole dell’infanzia dal neosindaco di Venezia Luigi Brugnaro (PG. N. 282873), che mantiene così le promesse della campagna elettorale.
È l’ultima vicenda nel dominio del “gender” e si potrebbe liquidare chiedendosi solo cosa diavolo sono i libri “gender” e ricordando che la storia del “genitore 1” e “genitore 2” è una delle più ostinate e colossali scemenze degli ultimi mesi. Questa dicitura non ha mai avuto a che fare con i libri, ma con i moduli di iscrizione scolastica: la proposta originaria era, banalmente, di usare la parola “genitore” invece di madre e padre come termine più ampio e comprensivo e per includere, per esempio, i figli di genitori single. Ma alla conferenza stampa di presentazione un giornalista ha “tradotto” il contenuto della proposta in genitore 1 e genitore 2 e non è stato più possibile rimediare (genitore non è un insulto, e non lo sarebbe nemmeno “genitore 1” o “genitore 2”, ma la dicitura mai esistita è diventata, nelle menti dei timorati del “gender”, un modo per offendere e insultare le famiglie e i sacri ruoli genitoriali).
Vale però forse la pena aggiungere un paio di considerazioni. (...)
*** Chiara LALLI, bioeticista, Il sindaco che a scuola grida al lupo contro il gender, 'internazionale.it', 26 giugno 2015
LINK articolo integrale qui
sabato 27 giugno 2015
#MOSQUITO / Sentimenti, solo far conoscere la mia storia (D. Stone, B. Patton, S. Heen)
Dare atto dei sentimenti è decisivo per qualsiasi rapporto, in particolare in quelli che in certi casi vengono definiti ‘conflitti insanabili’. In una circostanza il solo fatto di riconoscere i sentimenti è servito a trasformare una comunità locale lacerata dalle tensioni razziali.
Un gruppo di agenti di polizia, dirigenti politici, operatori economici e semplici abitanti di quartiere si riunisce per discutere una serie di incidenti verificatisi negli ultimi tempi tra poliziotti e membri della minoranza etnica del paese.
Quando, in seguito, gli chiedono se pensa di aver fatto cambiare idea almeno a qualcuno, un sedicenne nero in lacrime risponde: «Voi non capite. Io non voglio far cambiare idea a nessuno. Voglio solo far conoscere la mia storia. Non volevo sentirmi dire che tutto va bene e nemmeno che è colpa loro, né farmi raccontare che anche la loro storia è altrettanto terribile. Volevo raccontare la mia storia, comunicare quello che provo. Perché piango, allora? Perché adesso so: di me gliene importa quanto basta da starmi a sentire».
*** Douglas STONE, Bruce PATTON e Sheila HEEN, statunitensi, docenti all’Harvard Law School e all’Harvard Negotiation Project, Conversazioni difficili, 1999, Baldini & Castoldi, Milano, 2000.
Sempre nel blog Mixtura, di D. Stone, B. Patton, S. Heen, 1 altro contributo qui
#VIDEO #POLITICA / Servono politici che si sentano europei (Gianfranco Pasquino)
Gianfranco PASQUINO, 1942
politologo allievo di Norberto Bobbio e Giovanni Sartori
Servono politici che si sentano anzitutto europei, da La sfida europea, 2014
di Giorgio Giovannetti, Treccani Channel
video, 4min16
Come sta mutando la rappresentanza delle idee e degli interessi?
E' vero che con internet tutto cambia e che andiamo verso la democrazia digitale?
E che cosa resta della politica se dalle piazze si passa al web?
Quali saranno i soggetti che faranno la politica nell'Europa che verrà?
A queste domande cerca di rispondere Gianfranco Pasquino. (da Treccani Channel)
#FAVOLE & RACCONTI / La partita della vita (M. Ferrario)
Grande Vecchio aveva fatto di tutto per evitare l’incontro.
Dalle poche cose che gli erano state anticipate, sapeva che, se avesse accettato, avrebbe dovuto assumersi una grande e terribile responsabilità nei confronti di almeno due persone. Per questo, aveva più volte fatto giungere il messaggio al Marchese della Valle che non se la sentiva, che era meglio se suo figlio si rivolgeva ad altri, «che lui non era il saggio che tutti dicevano, era soltanto un vecchio che cercava di vivere tra le montagne, in pace con la vita, con il cielo e con la terra, in attesa di ricongiungersi, quando il destino avesse voluto, ma ormai sempre più a breve, con lo spirito del tutto… »
Ma il Marchese della Valle aveva insistito, incurante delle sue resistenze.
#MOSQUITO / Personalità, fedeltà alla propria legge (Carl Gustav Jung)
... lo sviluppo della personalità, dalle sue tendenze ‘in nuce’ fino alla completa consapevolezza, è al tempo stesso un dono e una disgrazia: la sua prima conseguenza è il consapevole e inevitabile distacco dell’individuo dalla dimensione indifferenziata e inconsapevole della massa. Ciò significa ‘isolamento’, e non c’è una parola più confortante per definire questa condizione. Neanche il più riuscito adattamento, neanche il più felice inserimento nel proprio ambiente, né la famiglia, né la società, né la posizione possono salvare da questo destino. Lo sviluppo della personalità è una fortuna che si può pagare solo a caro prezzo. Chi parla tanto dello sviluppo della personalità, pensa pochissimo alle conseguenze, che bastano a destare il più profondo sgomento in spiriti indubbiamente più deboli.
Sviluppo della personalità però significa ben più che un semplice timore di eventuali parti mostruosi o paura dell’isolamento, significa anche: ‘fedeltà alla propria legge’. Invece del termine ‘fedeltà’ (Treue), preferirei qui usare la parola greca utilizzata nel Nuovo Testamento, cioè ‘pistis’, che viene erroneamente tradotta ‘fede’ (Glaube). In realtà però significa fiducia, fiduciosa lealtà. La fedeltà alla propria legge è una fiducia in quella legge, una leale perseveranza e una fiduciosa speranza, un atteggiamento, quindi, simile a quello dell’uomo religioso di fronte a Dio.
*** Carl Gustav JUNG, 1875-1961, medico, psichiatra svizzero, fondatore della psicologia analitica, Il divenire della personalità, 1934, Opere, 17, Lo sviluppo della personalità, 1972, Bollati Boringhieri, Torino, 1991
https://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Gustav_Jung
https://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Gustav_Jung
#MUSICHE & TESTI / Bimbo dal sonno leggero (Cristina Donà)
Cristina DONA', 1967, cantautrice
Bimbo dal sonno leggero
dall'album Torno a casa a piedi, 2011
video, 4min23
segnalazione di Valerio Bianchi
Bimbo dal sonno leggero dovresti dimenticare
tutte le vite passate ed i rancori per tua madre.
Certo che ci credo ti vorresti addormentare
ma i rumori del mondo non ti lasciano tregua.
Senti le voci nei campi, ascolti le confessioni
di giovani soldati, sentinelle dei ponti.
Sulla stessa riva restiamo a guardare la notte che scende.
Sulla stessa riva torniamo per ogni stella che si accende.
Bimbo dal sonno di vetro facile da frantumare
portami dov’era la tua casa di ieri.
Certo che lo so anch’io dovrei dimenticare
tutte le colpe passate ed i rancori per mia madre.
Sulla stessa riva restiamo a guardare la luna nascente.
Sulla stessa riva torniamo per ogni stella che si spegne.
Su Cristina Donà
https://it.wikipedia.org/wiki/Cristina_Don%C3%A0
venerdì 26 giugno 2015
#SPILLI / Amerikanate, la felicità in tre mosse (M. Ferrario)
Già in altre occasioni mi sono espresso: ma l'insistenza con cui registro il fenomeno è tale che reintervengo.
L'immagine qui sopra è l'ennesimo esempio di semplicismo deteriore, imperversante sul web, sull'onda delle peggiori amerikanate che piacciono tanto a certo beotismo mentale crescente.
Un po' di frecce qui e là, sì-no-sì, e oplà, se non sei felice, puoi diventarlo.
E (implicito) se non lo diventi, ti colpevolizzo perché non sei capace di diventarlo.
Infatti lo schemino è a prova di stupido: basta una mossa e anche un topolino, nella gabbietta di laboratorio, riuscirebbe a imbroccare il percorso.
E basta volerla, naturalmente, la felicità: se no (sottinteso), sei proprio più cretino di un topolino.
Carl Gustav Jung ha scritto: «Il motto 'volere è potere' è la superstizione dell’uomo moderno».
Lo so, vista l'ignoranza dei troppi professionisti della felicità, molti potrebbero ripetere la domandina sprezzante che piace anche ai politicanti alla moda: 'Jung, chi'?
Ma si può anche fare a meno di conoscere Jung per capire che 'volere è potere' si chiama onnipotenza.
E una minima infarinatura psicologica (ma basterebbe il 'buon senso', se ancora lo conoscessimo) dovrebbe farci capire che il circuito onnipotenza-impotenza è un classico che non ha nulla a che fare con la realtà (in psicologese, entrambe le 'posizioni' sono dette de-realistiche).
Non solo. E' pure un circolo pericoloso: perché, se si instaura, come tutti i circoli viziosi, è poi assai difficile da rompere.
Non possiamo mai tutto.
Anche se possiamo (quasi sempre, eppure non sempre) qualcosa.
Ecco, in due proposizioni in grassetto, una sintesi che mi parrebbe meglio rispecchiare i dati 'oggettivi' del mondo in cui siamo stati 'gettati'.
Due righe che ci assegnano la 'giusta' porzione di responsabilità, senza che ci spingano a colludere con la nostra voglia (titillata anche per ragioni di business) di farci credere capaci di (poter/dover) controllare ogni cosa: magari per meglio predisporci a pagare l'obolo per il solito libro di auto-aiuto che risolve tutto in dieci mosse o per l'ennesimo percorso di self-empowerment consolatorio che ci renderà il sorriso beotamente sempre fisso sulle labbra.
E sempre a proposito dello schemino fuorviante di cui in immagine, aggiungo due note veloci:
(1) - La felicità va nominata con rispetto, perché è una parola 'grossa': non è uno stato (stabile, continuo) ed è una 'grazia' che ti accade quando si ha la fortuna di toccarla, per un attimo, in un equilibrio quasi magico. Una grazia terrena, non divina. Ma che se mai ha la divinità intrinseca al tutto in cui abitiamo: quel tutto che ci sovrasta e che possiamo sperimentare come limite se solo riusciamo a far tacere la nostra hybris. Ed è una grazia che in parte possiamo 'propiziare', non certo progettare né programmare.
Perché 'lei', se è vera felicità, forse viene, certo va.
E non esiste formula para-amerikana di nessun sedicente coach che te la assicura.
(2) - La realtà non è fatta solo di dimensioni in nostro potere e non basta cambiare prospettiva o pensiero per cambiare la 'durezza' di ciò che sta fuori di noi. Anche se qualche volta il cambio di occhi è utile per disporsi diversamente rispetto al contesto, ciò che muta, in questo caso, è la relazione, non il contesto. E per cambiare il contesto dobbiamo agire 'sul' contesto (talvolta, se possibile, anche 'col' contesto, specie se costituito da persone). Perché 'noi' non siamo il contesto, ma ne siamo semplicemente una (piccolissima) parte.
Banalità.
Ma lo psicologismo (che mima la psicologia, prendendo il suo posto: e la mima perché riduce ad una unica e malintesa psicologia tutti i problemi complessi del mondo, pure quelli che esigono 'tutte le altre' chiavi di lettura) piace di più della psicologia.
Forse perché (un po') siamo masochisti (godiamo nell'essere colpevolizzati) e (un po' troppo) aspiriamo all'onnipotenza (vogliamo credere di potere anche ciò che non possiamo e di avere sempre il controllo su tutto).
E poi (ultimo ma non ultimo) ci siamo convinti, per una malintesa propaganda che viene da oltre oceano, che abbiamo il diritto alla felicità perché (si dice) sempre là, oltreoceano, «è scritto in Costituzione».
E' tanto un diritto che è diventato un dovere.
E guai se non riusciamo a 'impossessarci' della felicità.
Ma in Costituzione Usa, all'art. 1, è scritto: «A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità».
Cioè: la vita e la libertà sono un diritto di per sé. Invece, per quanto riguarda la felicità, il diritto è al suo perseguimento.
Mi pare chiara la distinzione: diritto a perseguire è cosa diversa dal diritto ad avere.
Lo capirebbe anche un topolino.
*** Massimo Ferrario, Amerikanate, la felicità in tre mosse, per Mixtura
In Mixtura ark #Spilli di Massimo Ferrario qui
° ° °
Sempre in questo blog, altri miei contributi sul tema:* Felicità coatta e pensiero positivo, 18 gennaio 2015, qui
* Pensiero positivo e pensiero cretino, 14 febbraio 2015, qui
* Leadership, 8 marzo 2015, qui
* Ormai siamo al non-pensiero, 11 aprile 2015, qui
Inoltre, sempre nel blog, 1 contributo di Pier Aldo Rovatti
* Pensiero positivo e pensiero critico, 8 aprile 2015, qui
E 1 contributo di Carla Fiorentini
* Ancora sul pensiero positivo, 24 aprile 2015, qui
#MOSQUITO / Nativi americani, il consenso doveva essere unanime (Rudolf Kaiser)
... il principio tradizionale nella cultura degli indiani del Nordamerica è stato sempre quello del consenso, cioè quello della composizione delle diverse opinioni politiche. Per questo motivo, chi non poteva o non voleva condividere l’opinione che si andava delineando dopo lunghe discussioni, abbandonava la seduta prima della votazione, per consentire così una decisione unanime.
*** Rudolf KAISER, 1927, tedesco, docente di anglistica all’università di Hilesheim, studioso dei nativi del Nordamerica, Dio dorme nella pietra, 1990, Red edizioni, Como, 1992.
#PAROLE DESUETE / Ravanare
Ravanare
Verbo intransitivo, usato nelle regioni settentrionali, di origine incerta
(a) - forse dal tardo latino re-a(d)-vannare: vagliare, scuotere il vaglio, derivato di vannus, vaglio.
(b) - forse da ravaneto: nelle cave di marmo o di pietra, luogo in pendenza dove si accumulano i detriti
(c) - forse da raunare, radunare, raggruppare
In senso stretto: rovistare qua e là, frugare disordinatamente e creando disordine alla ricerca di qualcosa in mezzo ad altri oggetti:
In senso esteso: darsi da fare non curandosi del disturbo che si arreca agli altri.
In senso figurato: rimuginare.
Nel gergo giovanile: andare in cerca di partner.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
Verbo intransitivo, usato nelle regioni settentrionali, di origine incerta
(a) - forse dal tardo latino re-a(d)-vannare: vagliare, scuotere il vaglio, derivato di vannus, vaglio.
(b) - forse da ravaneto: nelle cave di marmo o di pietra, luogo in pendenza dove si accumulano i detriti
(c) - forse da raunare, radunare, raggruppare
In senso stretto: rovistare qua e là, frugare disordinatamente e creando disordine alla ricerca di qualcosa in mezzo ad altri oggetti:
In senso esteso: darsi da fare non curandosi del disturbo che si arreca agli altri.
In senso figurato: rimuginare.
Nel gergo giovanile: andare in cerca di partner.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
#LIBRI PIACIUTI / La ragazza del treno, di Paula Hawkins (Recensione di M. Ferrario)
Paula HAWKINS, La ragazza del treno, 2015, Piemme Edizioni, 2015
300 pagine, € 19.50, ebook € 9,99
Un buon debutto, una buona storia: tesa e indecifrabile fino alle pagine finali.
Una scrittura secca, nervosa, senza fronzoli. Che ti aggancia e non ti molla.
Ottimo l'artificio, non nuovo ma sempre d'effetto, del racconto in prima persona che volta a volta dà occhi e sentimenti, con un diario dettagliato dei fatti in corso che pone il lettore in presa diretta, alle figure principali della vicenda: Rachel, la protagonista, e le altre due donne chiave, Megan e Anna.
Unico neo, a mio avviso, nonostante la relativa brevità del romanzo (circa 300 pagine), una certa prolissità e ridondanza nella descrizione dei problemi psicologici delle tre protagoniste: una asciuttezza maggiore avrebbe giovato a mantenere concentrazione sulla trama, rendendola ancora più veloce e dinamica, senza che ne perdesse lo scavo, efficace ma nella sostanza spesso insistito e quindi ripetitivo, dei caratteri, tutti problematici e per certi versi inquietanti.
Colpisce comunque la conclusione; e anche alla luce di questa appare notevole l'abilità dell'autrice nel tenere in tensione il gioco sino al suo sorprendente scioglimento.
Insomma, una lettura che offre qualche ora di coinvolgimento che non lascia indifferenti: una storia inventata, ma che potrebbe essere vera, ben costruita sulla psicologia, anche contorta, ma proprio per ciò affascinante, che può caratterizzare l'essere umano. Ne sono esempio, come già detto, le tre donne, ma non vanno dimenticati i maschi della trama: vividamente presenti e significativi nello sviluppo della storia, anche se raccontati in modo più indiretto e, apparentemente, più sullo sfondo.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
° ° °
«
Il mio lavoro mi piaceva, ma non avevo una carriera brillante; anche se l’avessi avuta, sappiamo bene che le donne sono valutate soltanto in base a due parametri: il loro aspetto fisico e il loro essere madri. Io non sono bella e non posso avere figli. Quindi sono un essere del tutto inutile. Ma non è per questo motivo che sono sprofondata nell’alcolismo. E non posso nemmeno incolpare i miei genitori, la mia infanzia, un parente che ha abusato di me o una qualche terribile tragedia. È stata solo colpa mia. Alzare il gomito mi è sempre piaciuto, però ero diventata più triste, e la tristezza è noiosa, sia per le persone che ne soffrono sia per quelle che le frequentano. Da bevitrice mi sono trasformata in alcolista, ovvero nella persona più noiosa del mondo. (Paula Hawkins, La ragazza del treno, Pieme, 2015)
Sentirsi vuoto: lo capisco perfettamente. Comincio a credere che non esista una soluzione. L’ho imparato dalla psicoterapia: i buchi della vita non si chiudono più. Devi crescere intorno a loro, come le radici che affondano nel cemento, e devi rimodellarti intorno alle crepe. Lo so bene, ma non lo dico, non ancora. (Paula Hawkins, La ragazza del treno, Pieme, 2015)
»
#VIDEO / Il Giardino dei Talenti (Davide Dattoli)
Davide DATTOLI, imprenditore, Ceo e Co-founder di Talent Garden
Il Giardino dei Talenti
TedxMilano, 18 aprile 2015
video, 14min30
Il racconto di un'esperienza innovativa di successo: che racconta di tanti giovani talenti che hanno avuto successo.
A conferma che anche in Italia, anche 'restando' in Italia e non fuggendo all'estero, si può.
Ed è così che si sono moltiplicati tanti 'campus' di innovazione. (mf)
#MOSQUITO / Collaboratori, la sindrome dell'accondiscendenza (Vittoriono Andreoli)
La sindrome del dipendente accondiscendente riguarda quanti accettano tutto passivamente ed ese-guono senza criticare perché non concepiscono la critica. Sul posto di lavoro non si interrogano su cosa stanno facendo né sulla possibilità eventuale di non farlo. Sentono il bisogno di annullarsi nella speranza di ricevere così una gratificazione, un riconoscimento. In realtà è una regressione: si rinuncia ai desideri, alle idee, alla responsabilità, alle prerogative dell’età adulta per tornare a uno stato infantile. La totale dipendenza implica infatti come contraltare le gratificazioni del padrone-mamma: protezione e sicurezza. Si sa che ci verrà sempre detto cosa fare, si sa che gli altri penseranno a noi e per noi: adattandosi a questo modello si risparmiano energie. Criticare è faticoso: chi critica sta male perché rileva una differenza tra ciò che è e ciò che vorrebbe. E affrontare questo conflitto costa molto più che lasciarsi andare alla regressione.
Questo modello, per cosi dire giapponese, sembra inaccettabile, ma non è il peggiore: gli individui passivi sono in fondo buoni amministratori della loro energia psicologica! Eseguire mantenendo la lucidità critica o eseguire senza porsi domande sono due modi diversi di gestire la propria esistenza. Il primo è più maturo, adulto e creativo, ma implica costi umani alti, tra cui stress e disagi conseguenti. Il secondo regala serenità ma comporta il rischio dell’appiattimento. La scelta dipende dalla propria capacità di gestire la conflittualità: qualcuno preferisce evitarla; qualcun altro sente di esiste-re solo se l’affronta.
*** Vittorino ANDREOLI, 1940, psichiatra, saggista e scrittore, citato da Luca e Laura Varvelli, Saper negoziare, Il Sole 24 ore, Milano, 2003-2004.
Sempre nel blog Mixtura, 1 altro contributo (video) di Vittorino Andreoli qui
giovedì 25 giugno 2015
#MOSQUITO / Disciplina, senza non c'è libertà (Stephen R. Covey)
La maggior parte delle persone associa la disciplina all’assenza di libertà. “Il dovere uccide la spontaneità”. “Non c’è libertà nell’espressione ‘devo”. “Voglio fare ciò che voglio. Questa è libertà”.
Di fatto è vero l’opposto. Solo chi si dà una disciplina è davvero libero. Chi non lo fa è schiavo dell’umore, degli appetiti e delle passioni.
Sapete suonare il piano? Io no. Non ho la libertà di suonare il piano. Non mi sono mai impegnato dandomi la disciplina di studiarlo.
*** Stephen R. COVEY, 1932-2012, saggista, consulente di direzione e formatore statunitense, L’ottava regola, 2004, FrancoAngeli, Milano, 2005.
Sempre nel blog Mixtura, altri 2 contributi di Stephen R. Covey qui
#PUBBLICITA' VINTAGE / Amaro Montenegro, Birra Poretti, Cera Brillante, Cacao Talmone, Cesenatico
Amaro Montenegro
° ° °
Birra Poretti
° ° °
Cera Brillante
° ° °
Cacao Talmone
° ° °
#SGUARDI POIETICI / Cerco parole (M. Ferrario)
Cerco parole
asciutte di sole e morbide d’ombra,
per dire il sogno impossibile:
desistere, finalmente,
solo
lasciarsi succedere.
*** Massimo Ferrario, Cerco parole, agosto 2000, inedito, per Mixtura
asciutte di sole e morbide d’ombra,
per dire il sogno impossibile:
desistere, finalmente,
solo
lasciarsi succedere.
*** Massimo Ferrario, Cerco parole, agosto 2000, inedito, per Mixtura
#MOSQUITO / Insegnare, non c'è tempo (Alberto Manguel)
L’insegnamento è un processo lento e difficile: due aggettivi che nella nostra epoca vengono considerati come difetti e non qualità da elogiare. Oggi sembra quasi impossibile convincere qualcuno dei meriti della lentezza e dello sforzo deliberato.
*** Alberto MANGUEL, 1948, scrittore argentino naturalizzato canadese, Pinocchio ha imparato a leggere, ‘Internazionale’, 30 dicembre 2003, tradotto dal mensile messicano ‘Letras Libres’ con il titolo Cómo Pinocho apprendío a leer.
#VIDEO / Lettera a Papa Francesco (Farian Sabahi)
Farian SABAHI, 1967,
giornalista, scrittrice, giornalista, docente, esperta di problemi del Medio Orinete
Lettera a Papa Francesco
TedxMilano, 18 aprile 2015
video, 15min47
La storia di una donna cattolica che subisce violenza quotidiana da un marito cattolico.
E alla fine si decide a separarsi e a denunciare il marito.
Mentre il parroco, dal quale il marito ogni domenica andava a confessarsi, assolveva il marito. E tuttora condanna la moglie per aver distrutto il matrimonio. (mf)
#PAROLE DESUETE / Sciafilo
Sciafilo
aggettivo, dal greco skia, ombra, e filo, amante
Si dice di animali, ma soprattutto di vegetali (come molte essenze del sottobosco) che presentano sciafilia, cioè prediligono l'ombra e gli ambienti poco illuminati.
Sinonimo di eliofobo, che non ama il sole e la luce.
(a) - Tra gli animali sciafili, citiamo il corallo rosso (Corallum Rubrium): che cresce sempre in ambienti poco illuminati, come grotte o anfratti sommersi.
(b) - Tra i vegetali, citiamo la comune acetosella dei boschi (Oxalis Acetosella): che durante le ore più calde d'estate ripiega le foglioline per ripararsi dai raggi del sole.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
Corallum Rubrium
Oxalis Acetosella (foto di Enrico Blasutto)
mercoledì 24 giugno 2015
#MOSQUITO / Papalagi, l'uomo bianco e il tempo (Tuiavii di Tiavea)
Non ho mai capito bene questa cosa e penso appunto che si tratti di una grave malattia. “Il tempo mi sfugge!” “Il tempo corre come un puledro impazzito!” “Dammi un po’ di tempo!” Questi sono i lamenti più abituali che si sentono dall’uomo bianco. Io dico che deve essere una strana sorta di malattia; perché, anche supponendo che l’uomo bianco abbia voglia di fare una cosa, che il suo cuore lo desideri veramente, per esempio che voglia andare al sole o sul fiume con una canoa o voglia amare la sua fanciulla, così si rovina ogni gioia, tormentandosi con il pensiero: “Non ho tempo di essere contento”. Il tempo è lì, con tutta la buona volontà, lui non lo vede. Nomina mille cose che gli portano via il tempo, se ne sta immusonito e lamentoso al suo lavoro che non ha alcuna voglia di fare, che non gli dà gioia e al quale nessuno lo costringe se non se stesso (…)
Che cosa ne fa alla fine il Papalagi del suo tempo? (…)
Io credo che il tempo gli sfugga come una serpe sfugge da una mano bagnata, proprio perché lui cerca di tenerlo così stretto. Non gli lascia modo di riprendersi. Gli sta appresso e gli dà letteralmente la caccia con le mani tese, non gli concede alcuna sosta perché possa stendersi al sole. Il tempo deve essergli sempre accanto, deve dirgli e cantargli qualcosa. Ma il tempo è silenzioso e ama la pace e la calma e lo stare distesi su una stuoia. Il Papalagi non ha compreso il tempo, non lo riconosce per quello che è e perciò lo maltratta in quel modo con i suoi rozzi costumi (…)
Dobbiamo liberare il povero, smarrito Papalagi dalla sua follia, dobbiamo ridargli il suo tempo. Dobbiamo distruggere la sua piccola macchina del tempo (l’orologio) e annunciargli che dal levarsi al calare del sole c’è molto più tempo di quanto un uomo può aver bisogno.
*** TUIAVII DI TIAVEA, un saggio capo delle Isole Samoa, Papalagi, Editore Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2010, citato anche da Domenico De Masi, Tag. Le parole del tempo, Rizzoli, 2015.
Il libro è stato pubblicato nel 1920, in Germania, da Erich Scheurmann, un artista tedesco amico di Herman Hesse, all'insaputa di Tuiavii, e contiene i discorsi tenuti da Tuiavii ai samoani dopo un suo viaggio in Europa.
Secondo la versione di Scheurmann, Tuiavii, venendo a contatto con gli usi e costumi dell'uomo bianco (chiamato 'papalagi' nella lingua di Samoa), se ne allontanò subito sbigottito e, una volta rientrato in patria, tentò di mettere in guardia il suo popolo dal fascino perverso dell'Occidente.
Ampiamente diffuso nel contesto delle culture alternative degli anni '70 e '80, il libro tende ad essere visto al presente come una contraffazione letteraria (una variazione sul tema del "buon selvaggio") ad opera del presunto traduttore Erich Scheurmann, ma viene comunque citato spesso a proposito del tema della "relatività culturale" e per il fenomeno dello "spaesamento".
Su Papalagi,
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