lunedì 18 settembre 2023

#FAVOLE & RACCONTI / Wu Zhi e la fine del mondo (Massimo Ferrario)

Li Min titubava, ma i compagni lo sollecitavano, in quanto allievo più anziano, a porre il tema al Maestro Wu Zhi. 
- Maestro, abbiamo due problemi. Uno è enorme e ci crea un’angoscia indicibile; l'altro è più piccolo, ma rischia di intaccare la qualità delle nostre relazioni. 

Il Maestro aveva disteso il viso, come a voler significare massima attenzione e disponibilità.
- Da giorni, tra noi allievi, stiamo discutendo senza trovare un consenso: ognuno la pensa diversamente e nessuno riesce a convincere l'altro. Prima di dirti ciò che ci crea tormento, ti chiediamo: è giusto non riuscire a condividere una soluzione?
- Conoscere la natura del vostro problema non è indifferente per la risposta. In generale, vi dirò che non so se è 'giusto' non avere una soluzione condivisa. Ma penso sia semplicemente 'sano'. Siamo diversi: voi, io, tutti. Per fortuna. E guai a imporci un unico pensiero. Però ora dimmi, caro Li Min: cosa vi divide? 
- Abbiamo immaginato di sapere con certezza che domani all'alba si compirà la fine del mondo. 

Wu Zhi era rimasto imperturbabile. 
- Be’, è un'ipotesi oggettivamente drammatica: capisco la vostra inquietudine. Una simile notizia, se fosse provata come certa, spiazzerebbe e manderebbe in confusione qualunque essere umano. 
- Secondo te, Maestro, qual è il comportamento che dovremmo tenere in una simile situazione? Tu hai la saggezza che ti consente di saperlo.
- Caro Li Min, se davvero questo vi aspettate da me, significa che almeno finora non sono riuscito a farvi intendere cos'è saggezza. Saggezza non è una cosa che si ha: è un'ispirazione, un orizzonte, una direzione, che ti spinge a maturare pensieri e azioni. E’ una meta, irraggiungibile, che attiva un processo continuo di riflessione. Non si diventa saggi: si è in cammino. E quel che si trova, se questo vale qualcosa, vale soprattutto per sé. Mai oserei prescrivere il mio comportamento ad altri. Tutt'al più, se qualcuno esplicitamente me lo chiedesse, gli direi qual è il risultato della mia meditazione: non oserei niente di più. Peraltro, mai come in questo caso, capisco perché la condivisione sia impossibile. 
- Infatti, Maestro: ognuno è fermo sulle sue opinioni. C'è chi dice che si ritirerebbe in isolamento a meditare fino al momento fatale. Chi vorrebbe che la comunità intera si raccogliesse in preghiera e nessuno si isolasse. Chi vorrebbe che ci si limitasse ad accogliere il destino senza assolutamente fare nulla. E poi c'è perfino chi pensa al suicidio, individuale o collettivo, come risposta attiva. Tu hai appena detto che non puoi prescriverci il comportamento corretto: puoi almeno dirci come tu ti comporteresti?
- Non avrei dubbi. Poco prima dell’alba, raggiungerei il giardino del monastero qui fuori…
- Per guardare per l'ultima volta il sorgere del sole, in attesa della fine del mondo?
- No, Li Min, nessun desiderio di contemplazione. Solo la voglia di ‘agire’.
- Agire? 
- Sì, agire. Pianterei un albero da frutta.
- Non capisco, Maestro. 
- Pianterei un melo, magari.
- Ma a che servirebbe, Maestro? L'alba comunque porterebbe con sé la fine del mondo. Non servirebbe a nulla piantare un albero. 
- E invece chi propone di meditare, in solitudine o in comune? O chi immagina un suicidio, individuale o collettivo? Se assumo come vera la notizia che avete immaginato, ogni scelta, tra quelle citate e le mille altre possibili, è lecita: perché niente e nessuno può modificare quel che è scritto nel cielo. Né io ho l’onnipotenza e la tracotanza (hybris la chiamavano gli antichi greci) che domina l'uomo quando si pensa dio. Ma so anche, appunto, di essere un uomo, e tale, fino all'ultimo mio respiro, vorrei restare. Pienamente. Come uomo, nella umiltà richiamata proprio dalla consapevolezza di essere sì terra (ce lo ricorda l'etimologia latina di homo), ma fornita di quel soffio che anima il mio vivere, ho il potere di ‘agire’, e non smettere di agire, fino a che ho forza o possibilità di agire. E’ un agire che io sempre sento come compito e dovere insieme: due termini per me indisgiungibili. Sì, pianterei un albero di mele. E magari, se mi fosse dato tempo, dieci o cento o mille alberi, di mele o di altra frutta. Perché mai rinuncerei alla possibilità di affermare, anche simbolicamente, la potenza della speranza pure quando non c'è più speranza di sperare. Nessuna pretesa di influenzare il cielo: lui faccia la sua parte, io faccio la mia. 

*** MASSIMO FERRARIO, Wu Zhi e la fine del mondo, per 'Mixtura'. Racconto liberamente ispirato ad una frase attribuita a Martin Lutero ("Anche se sapessi che domani il mondo finisse, pianterei lo stesso nel mio giardino un albero di mele"). 


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giovedì 14 settembre 2023

#SGUARDI POIETICI / Quando l'acqua è sporca (Massimo Ferrario)

Non basta andare 
controcorrente:
se l'acqua è sporca
resti sporco
come chi va 
con la corrente.

Hai due soluzioni.

La prima - impegnativa - è uscire 
dall'acqua e dalla corrente
e cominciare a spurgare
la fogna in cui siamo: 
ma prima devi riconoscerne 
il puzzo 
e smettere di ripetere 
- per creduto realismo -
che in fondo questo puzzo 
è solo un odore e non è poi tanto male. 

La seconda soluzione - comoda 
perché consonante col contesto - 
è ricavarti un angolino caldo nell'acqua di fogna:
ti lasci cullare dal liquame 
fino a confonderti con il suo dolce tepore
e accetti di essere, senza più problemi,
merda nella merda.
Per questa scelta dicono che 
la mindfulness aiuti:
rasserena.
E non solo: 
se impari a ben meditare,
avrai la fortuna che il cielo ti sorriderà,
e potrai anche arrivare a sentire 
- nella melma che continuerà ad avvolgerti -
l'ammaliante profumo dei fiori di loto.

*** Massimo Ferrario, Quando l'acqua è sporca, per 'Mixtura'



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lunedì 4 settembre 2023

#MOSQUITO / 'Sentire' l'etica, il test infallibile (Massimo Ferrario)

Sono stimolato da due recenti letture occasionali: una riflessione di Nando Dalla Chiesa, sociologo che da una vita studia criminalità organizzata e insegna legalità, e un estratto del celebre Discorso agli Ateniesi di Pericle trascritto da Tucidide nel 451 a. C. 

Sono ambedue pezzi brevi e li trascrivo.
Aggiungo in chiusura  una mia reazione sullo 'spirito del tempo' in cui siamo da tempo.

1 - Nando Dalla Chiesa
«Andare a cena con un boss mafioso perché "non posso fare le analisi del sangue a ogni mio elettore", difendere il diritto al posto di lavoro di chi se ne è servito per rubare, arruolare fedelissimi incompetenti in ruoli istituzionali che richiedono competenze, praticare pubblicamente prostitute, paragonare i magistrati ai terroristi, umiliare persone innocenti, sono tutti comportamenti che, anche quando formalmente legali, sfregiano lo spirito di legalità fino a stremarlo, rendendolo a lungo andare insostenibile per una democrazia. 
È d'altronde a causa di questi striscianti processi di ri-classificazione valoriale che nella società italiana si è assottigliata più che in altre società europee - nessuna delle quali, sia chiaro, esente da scandali - la sfera della morale. E al contrario si è espanso oltre ogni ragionevole misura lo spazio del diritto penale nella regolazione dei costumi e dei giudizi, trasformando di fatto i tribunali nell'unica sede riconosciuta di produzione della morale pubblica.» (Nando Dalla Chiesa, La legalità è un sentimento. Manuale controcorrente di educazione civica, Bompiani, 2023, pp. 192-193)

2 - Pericle
«Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. 
Qui ad Atene noi facciamo così. 
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. 
Qui ad Atene noi facciamo così. 
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l'uno dell'altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. 
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. 
Qui ad Atene noi facciamo così. 
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. 
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. 
Qui ad Atene noi facciamo così.» (Pericle, Discorso agli ateniesi, 431 a.C., così come riportato in Tucidide, Storie, II, 34-36)

3 - Spirito del tempo
Provare disgusto, intenso e profondo, per un personaggio politico come Silvio Berlusconi e per i troppi che gli somigliano e non smettono di santificarlo anche da morto, è un test semplice per verificare non certo se siamo onesti e legalitari (nessuno è innocente), ma se almeno abbiamo acquisito l’etica, nei suoi fondamentali, come ‘sentimento’ da avvertire acuto e imprescindibile dentro di noi: compagno di vita necessario per abitare in società con l’onore e la dignità che la Costituzione richiama. 

Questo, ovviamente, non basta per essere etici. E meno che meno per credere di esserlo. Ma ne è la precondizione. 

Senza la realizzazione di questa precondizione, infatti, continueremo a produrre quella melma (di principi, valori, ideali: cultura insomma) che è alimento perfetto per una società corrotta, indifferente al bene comune e tutta rinserrata nel proprio affarismo, particolare e familista (‘idiota’, direbbero etimologicamente gli antichi greci, a indicare il trionfo del 'privato'): la stiamo producendo, questa insopportabile melma, almeno dagli anni 80 (Craxi docet) e ora vi stiamo definitivamente sprofondando. 

Sì, senza la realizzazione di questa precondizione, nessuna democrazia potrà essere rigenerata. E noi, per quanto ci riguarda, abbiamo esaurito anche il ‘post’ della ‘postdemocrazia’: la formula in fondo rassicurante, nella sua voluta imprecisione, per allontanare lo sfascio incombente, già ben visibile all'orizzonte al tempo del suo conio. 

Vale per l’Italia. Ma se ci guardiamo un giro, vale anche per molti paesi con cui abbiamo in comune valori che ogni giorno, anche sul piano etico, si pervertono in disvalori che gridano indignazione. Grazie ai tanti ‘berluscloni’ che proliferano, dentro e fuori i confini patri. 

Perché se Berlusconi, qui da noi, ha fatto ciò che ha fatto ed è diventato un simbolo, per la maggioranza positivo, del fare politica (ma anche imprenditoria), questo ha potuto avvenire non tanto grazie a lui, che altrove o in altri tempi sarebbe stato subito sanzionato socialmente e ‘bandito’ con ignominia dal contesto, ma grazie alla società: la quale, quando non l’ha applaudito, comunque non l’ha fermato. E la società, benché spesso faccia comodo dimenticarlo, siamo noi cittadini: come singoli e come collettività. 
Noi che dimentichiamo che nessuno da solo riesce a imporsi se chi non vuole e disprezza decide di non accettare l'imposizione. 

*** Massimo Ferrario, 'Sentire' l'etica, il test infallibile, per 'Mixtura', 


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