Li Min titubava, ma i compagni lo sollecitavano, in quanto allievo più anziano, a porre il tema al Maestro Wu Zhi.
- Maestro, abbiamo due problemi. Uno è enorme e ci crea un’angoscia indicibile; l'altro è più piccolo, ma rischia di intaccare la qualità delle nostre relazioni.
Il Maestro aveva disteso il viso, come a voler significare massima attenzione e disponibilità.
- Da giorni, tra noi allievi, stiamo discutendo senza trovare un consenso: ognuno la pensa diversamente e nessuno riesce a convincere l'altro. Prima di dirti ciò che ci crea tormento, ti chiediamo: è giusto non riuscire a condividere una soluzione?
- Conoscere la natura del vostro problema non è indifferente per la risposta. In generale, vi dirò che non so se è 'giusto' non avere una soluzione condivisa. Ma penso sia semplicemente 'sano'. Siamo diversi: voi, io, tutti. Per fortuna. E guai a imporci un unico pensiero. Però ora dimmi, caro Li Min: cosa vi divide?
- Abbiamo immaginato di sapere con certezza che domani all'alba si compirà la fine del mondo.
Wu Zhi era rimasto imperturbabile.
- Be’, è un'ipotesi oggettivamente drammatica: capisco la vostra inquietudine. Una simile notizia, se fosse provata come certa, spiazzerebbe e manderebbe in confusione qualunque essere umano.
- Secondo te, Maestro, qual è il comportamento che dovremmo tenere in una simile situazione? Tu hai la saggezza che ti consente di saperlo.
- Caro Li Min, se davvero questo vi aspettate da me, significa che almeno finora non sono riuscito a farvi intendere cos'è saggezza. Saggezza non è una cosa che si ha: è un'ispirazione, un orizzonte, una direzione, che ti spinge a maturare pensieri e azioni. E’ una meta, irraggiungibile, che attiva un processo continuo di riflessione. Non si diventa saggi: si è in cammino. E quel che si trova, se questo vale qualcosa, vale soprattutto per sé. Mai oserei prescrivere il mio comportamento ad altri. Tutt'al più, se qualcuno esplicitamente me lo chiedesse, gli direi qual è il risultato della mia meditazione: non oserei niente di più. Peraltro, mai come in questo caso, capisco perché la condivisione sia impossibile.
- Infatti, Maestro: ognuno è fermo sulle sue opinioni. C'è chi dice che si ritirerebbe in isolamento a meditare fino al momento fatale. Chi vorrebbe che la comunità intera si raccogliesse in preghiera e nessuno si isolasse. Chi vorrebbe che ci si limitasse ad accogliere il destino senza assolutamente fare nulla. E poi c'è perfino chi pensa al suicidio, individuale o collettivo, come risposta attiva. Tu hai appena detto che non puoi prescriverci il comportamento corretto: puoi almeno dirci come tu ti comporteresti?
- Non avrei dubbi. Poco prima dell’alba, raggiungerei il giardino del monastero qui fuori…
- Per guardare per l'ultima volta il sorgere del sole, in attesa della fine del mondo?
- No, Li Min, nessun desiderio di contemplazione. Solo la voglia di ‘agire’.
- Agire?
- Sì, agire. Pianterei un albero da frutta.
- Non capisco, Maestro.
- Pianterei un melo, magari.
- Ma a che servirebbe, Maestro? L'alba comunque porterebbe con sé la fine del mondo. Non servirebbe a nulla piantare un albero.
- E invece chi propone di meditare, in solitudine o in comune? O chi immagina un suicidio, individuale o collettivo? Se assumo come vera la notizia che avete immaginato, ogni scelta, tra quelle citate e le mille altre possibili, è lecita: perché niente e nessuno può modificare quel che è scritto nel cielo. Né io ho l’onnipotenza e la tracotanza (hybris la chiamavano gli antichi greci) che domina l'uomo quando si pensa dio. Ma so anche, appunto, di essere un uomo, e tale, fino all'ultimo mio respiro, vorrei restare. Pienamente. Come uomo, nella umiltà richiamata proprio dalla consapevolezza di essere sì terra (ce lo ricorda l'etimologia latina di homo), ma fornita di quel soffio che anima il mio vivere, ho il potere di ‘agire’, e non smettere di agire, fino a che ho forza o possibilità di agire. E’ un agire che io sempre sento come compito e dovere insieme: due termini per me indisgiungibili. Sì, pianterei un albero di mele. E magari, se mi fosse dato tempo, dieci o cento o mille alberi, di mele o di altra frutta. Perché mai rinuncerei alla possibilità di affermare, anche simbolicamente, la potenza della speranza pure quando non c'è più speranza di sperare. Nessuna pretesa di influenzare il cielo: lui faccia la sua parte, io faccio la mia.
*** MASSIMO FERRARIO, Wu Zhi e la fine del mondo, per 'Mixtura'. Racconto liberamente ispirato ad una frase attribuita a Martin Lutero ("Anche se sapessi che domani il mondo finisse, pianterei lo stesso nel mio giardino un albero di mele").
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