Io, per mia fortuna, non ho nulla da insegnare. Sono in attesa: curiosa e partecipata. Simpatetica, direi.
Non ho votato Elly Schlein perché non ho mai votato PD e non mi sono bastate delle primarie - confuse, pasticciate e infinite -, giocate dopo cinque mesi dal suicidio del partito, per convincermi a mutare abitudine: le differenze personali contano, ovviamente, e tra Bonaccini e Schlein non ci sono solo distanze di genere, ma avrei preferito, anche in forza della mia età non più verde, grazie alla quale posso ricordare altri modi di fare partito, un congresso su temi e contenuti: in cui si ragionasse, una buona volta, delle ragioni delle disfatte inanellate negli anni, per poi individuare, prima, una visione, poi delle politiche congruenti e infine dei candidati che, in linea con le decisioni di un congresso, proponessero davvero un punto a capo.
Non nego tuttavia che la positività della sorpresa fornita da elettori che capovolgono l'indicazione degli iscritti (una condanna drastica del 'fuori' contro il 'dentro': il vento esterno che prorompe e turbina per una 'rimessa in discussione' di uno 'stare insieme' ormai solo difensivo-burocratico, adagiato nello sterile continuismo di tribù accomunate dalla spartizione di potere) ha scosso anche un pessimista incallito come me.
Dunque stiamo a vedere.
Mi permetto solo di annotare un punto.
Tra le tante raccomandazioni del momento, quella della 'unità' del partito prevale: è il mantra ripetuto da chiunque, da dentro e da fuori. Anche da Elly Schlein.
Condivido. Ma solo a un patto. Che questa unità non resti il feticcio che ha sempre impedito la chiarezza e blocca ogni vero cambiamento.
L'unità è un mezzo: importante, ma non decisivo. Ciò che conta, mi sembra ovvio, è il fine: la missione, la visione, la direzione, le azioni da mettere in campo e con le quali si intende rappresentare chi si è scelto di rappresentare. Solo dopo aver individuato il fine e le politiche ad esso correlate, l'unità diventa decisiva: ma resta pur sempre uno strumento per aiutare il fine nella sua realizzazione e mai deve diventare fine.
Finora le dirigenze PD hanno cercato di tenere insieme anche ciò che insieme non può stare. Ed è così che, scontentando tutti, si sono spinti milioni di elettori verso la destra e, soprattutto, verso l'astensionismo più rancoroso e solitario. Ora è questo il popolo che deve essere prima riconquistato e poi tenuto unito.
Credo che Elly Schlein abbia vinto le primarie perché molti sperano che ciò avvenga.
Se chi ha lavorato in questi anni per far diventare centro (quando non destra) la sinistra, se ne va dal Pd, non è una perdita. E' un guadagno: perché cessa, finalmente, la confusione.
Fondamentale sarà attirare e unire dirigenti e elettori di sinistra. Spalancare le porte a chi vuole fare una politica di sinistra in un partito che abbia deciso, consapevolmente e unitariamente, di essere di sinistra. Una sinistra vera: 'radicale'. Che vada finalmente 'alla radice' dei problemi da cui siamo sommersi e dia riposte chiare e nette, non occhieggianti a destra. E già il fatto che, per questo, qualcuno paventi un (pericoloso) slittamento all''estrema sinistra' del PD, dice tutto: siamo così abituati a non avere una 'sinistra-che-sia-sinistra', che quando qualcuno (qualcuna) tenta di farcela balenare all'orizzonte, la scambiamo per l'evocazione di una ridotta massimalista del vetero Novecento.
Certo, è un compito immane che Elly Schlein si è posta. Nessuna 'donna sola al comando' può farcela. Perché nessun cambiamento di 180 gradi è opera di un leader: nel PD come ovunque, e nel PD ancor più che ovunque. Servono una leadership collettiva e una partecipazione, non di facciata, convinta, leale, diffusa. Maggioritaria.
Perché in gioco è un partito che, per risorgere, deve rinascere. Dando finalmente a dirigenti, iscritti e elettori, un'anima davvero condivisa e finalizzata, con valori e principi praticati, e non solo enunciati, trasformati in atti coerenti, concreti, determinati. Che facciano vedere, presto per non dire da subito, la massima coerenza possibile tra il dire e il fare.
C'è un test che dirà se il processo decollerà: il silenziamento, definitivo, totale e immediato, di quella retorica parolaia che fin qui ha tenuto insieme tutto e tutti, bestemmiando nei fatti i valori proclamati nei comizi. Ci vorrà tempo per apprezzare i risultati, ma soltanto da questo nuovo atteggiamento passerà il recupero di chi, da decenni, si è sentito ingannato e ha dovuto imparare, purtroppo, cosa è il disgusto amaro per la politica.
Se questo decollo si intravvederà, nessuno piangerà per eventuali abbandoni: si leveranno alti lamenti dagli interessati e da chi, anche da fuori, ha interesse che tutto resti come ora. Ma queste reazioni saranno la dimostrazione che un'epoca sta chiudendosi e qualcosa di sperabilmente nuovo sta per accadere.
Insomma, un po' di 'sana disunità' sarà il prezzo da pagare perché la politica, almeno in questo partito, riprenda la maiuscola: e finalmente una comunità organizzata in partito riesca a dire, nei fatti, e non solo dai pulpiti o nei manifesti, che ha deciso di fare Politica.
*** Massimo Ferrario, Un po' di 'sana disunità', il test per Elly Schlein, per 'Mixtura'
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