domenica 9 marzo 2025

#SPILLI / Manifestare per l'Europa? (Massimo Ferrario)

La manifestazione del 15 marzo programmata per l'Europa o è inutile o è pericolosa. E' inutile se si limita a comunicare un'ambiguità: si declama l'Europa nella sua astratta idealità senza precisare quale Europa concreta si vuole. E' pericolosa se comunica l'adesione a 'questa' Europa: con l'elmetto e con i missili, convinta di doversi difendere da una aggressione futura che si dà per certa e indiscussa predisponendo un riarmo di 800 miliardi (e la distruzione di welfare conseguente). Noi abbiamo urgenza di un'Europa che, prima delle armi, da subito e, senza eccezioni, continuativamente per ogni domani, metta in campo, come è nel suo spirito originario, una diplomazia che faccia della negoziazione 'win-win' l'unica arma possibile.
Non è una linea 'buonista' cara alle 'anime belle'. E' un'opzione concreta, realistica, pragmatica: basata non su un'ideologia 'pacifista', ma su un'analisi logica e fattuale della realtà. Della realtà presente e di quella, potenziale e probabile, prossima futura. Perché nell'attuale momento storico, il passaggio da missili a bombe nucleari più o meno 'tattiche' o addirittura 'strategiche', è un'ipotesi che non è nascosta dietro l'angolo: l'abbiamo di fronte. Ed è impossibile non vederla, vivida e a tutte maiuscole, se non si è ideologicamente ciechi, prigionieri del fascino suicida ben reso dal famoso grido biblico di "muoia Sansone con tutti i filistei". La guerra inizia ben prima del lancio di missili. Comincia con due passi, percorsi in successione: (1) quando costruiamo la controparte come 'il nemico', e (2) quando ci convinciamo che 'il nemico' abbia già deciso di farci la guerra e non c'è altro modo che fargli la guerra per difenderci. Con la manifestazione del 15 marzo, volenti o nolenti, consapevoli o inconsapevoli, stiamo creando le condizioni, oggi negate ma domani, se non cambiamo subito direzione, più fondate che mai, per arrivare alla guerra. Pur continuando a ripeterci che noi non vogliamo la guerra e che è il nemico che ci costringe a metterla in conto, rischiamo domani di ritenere la guerra l'unica scelta possibile. Naturalmente, come sempre nella Storia, diremo poi che noi la guerra non l'abbiamo voluta, che l'abbiamo fatta per autodifesa e che la colpa è del nemico.
Sempre che la guerra non sia diventata nucleare e noi si sia ancora vivi per dire qualcosa. 

*** Massimo FERRARIO, Manifestare per l'Europa?, 'Mixtura', 9 marzo 2025


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giovedì 6 marzo 2025

#SPILLI / Il Potere che rende uguali uomini e donne (Massimo Ferrario)

Un tempo, quando ero giovane, speravo che le donne, per ragioni bio-culturali più orientate alle relazioni, all'empatia e alla cura, potessero proteggere il mondo dalle guerre.

Oggi ho decisamente perso questa illusione.

Vedo che le donne, sempre più arrembanti e in 'similmaschio' (forse arrembanti proprio perché in 'similmaschio), sono belliciste come gli uomini. E spesso ancora di più.

Ammetto che questa mia visione possa essere frutto di una percezione distorta dovuta al mio pregiudizio favorevole dell'età giovanile. Ma a me sembra un dato oggettivo. E per confermarlo, basta contare il numero delle donne leader, non solo di istituzioni, ma anche di imprese, che non fanno mistero delle loro orgogliose affermazioni/scelte quotidiane, ispirate a una visione del mondo 'aggressivamente armata'. 

Cosa le ha cambiate? La mia ipotesi è il Potere. 

Quando raggiungono il Potere - e oggi, sia pur sempre in minor quota rispetto agli uomini, le donne sono al Potere in molti tavoli dai quali possono esprimere una leadership netta e di forte impatto su ampi contesti - le donne non hanno remore ad indossare l'elmetto, con sicurezza e sicumera. E non hanno difficoltà a competere con gli uomini su chi, senza apparenti problemi di coscienza, è più tranquillamente orientato ad assumere scelte aggressive, finanche belliche, in linea con una visione del mondo sempre più polarizzata. Divisa tra innocenti e colpevoli. Tra buoni e cattivi. Dove, naturalmente, chi polarizza si colloca sempre, con orgogliosa nettezza, tra i primi.

Forse il femminile agisce ancora, intaccato, tra le donne 'senza-potere': favorendo mediazione, diplomazia, accoglienza dell'altro, e ricordando l'interdipendenza di persone, strutture, sistemi come fattore cruciale di tenuta-insieme del mondo. Ma tra l'élite che conta, prevale il maschile orgogliosamente 'alfa': e la differenza donne-uomini, se non è già del tutto persa, sfuma sempre più. 

Insomma: l'alternativa al vecchio 'homo homini lupus' (lo speranzoso 'homo homini homo': dove 'homo' va inteso ovviamente come comprendente tutti noi, uomini e donne) sembra definitivamente accantonata. Anzi: chi ancora la evocasse, uomo o donna che sia, sarebbe guardato come il solito 'buonista' che non ha capito come gira il mondo. 
 
Perché il Potere, evidentemente, rende tutti uguali.
E questo credo sia la più grande perversione che il Potere, nei tempi attuali, ha operato. Ci sta mostrando, come unica opzione di vita, un bellicismo incontrollato come sola via di sopravvivenza: una falsa potenza che, se realizzata, concorrerà al suicidio generale. 

*** Massimo Ferrario, Il Potere che rende eguali uomini e donne, 'Mixtura', 6 marzo 2025


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giovedì 27 febbraio 2025

#SPILLI / Il mantra del 'fare i propri interessi' (Massimo FERRARIO)

Da destra e da sinistra (ma richiamare qui destra e sinistra è solo un modo vetusto e obsoleto di usare due categorie politiche preistoriche: difficile oggi trovare una sinistra che non sia contaminata dalla destra) è tutto un inneggiare-al, e giustificare-il, perseguimento dei propri interessi. 

Avere il fuoco sui propri interessi è diventato infatti il criterio guida vantato come indice di correttezza dei propri comportamenti: sia di individui, nei rapporti interpersonali, che di Paesi, nelle relazioni internazionali.

Forse non ci si accorge, ma questa convinzione è grave dal punto di vista del pensiero logico. Perché farsi pilotare principalmente dal proprio interesse significa di fatto teorizzare la giustezza di un aut-aut. ‘Aut-aut’ non è inglese, come qualche giovane virgulto in carriera manageriale incontrato anche recentemente credeva. E’ latino. E significa ‘o-o’. Cioè, in questo caso: “o-io-o-io”.  E’ un’asserzione dura e drastica. Che denega ogni possibilità di un et-et: “e-io-e-gli altri”.

A livello individuale, questo egoismo, spinto al limite, arriva all’omicidio. A livello internazionale, questa autocentratura sul Paese in cui ci siamo identificati con un ‘first’ che precede, come un pugno in faccia a tutti gli altri, il nome X della ‘nazione’ di cui ci vantiamo, è l’autostrada  per la pulizia etnica: restano in vita solo quelli che hanno il ‘sangue giusto’ di quel Paese che dichiara che i suoi interessi sono e devono essere ‘first’, termine che in un tempo neppure troppo lontano era tradotto come ‘über alles’.

Ma restiamo a livello internazionale.

Chi eccepisce a questo criterio oggi ogni volta richiamato (“Ovvio che ogni nazione faccia il proprio interesse: vuoi forse che si preoccupi degli altri Paesi? Sono gli altri Paesi che devono preoccuparsi dei loro interessi, è così che va (deve andare) il mondo...”) viene stigmatizzato in due modi. Uno è più volgare e l’altro è (creduto) più scientifico. Il primo si condensa nell’insulto: “Non fare l’'anima bella', cresci ragazzo, cresci”. L’altro, non meno ingiurioso nelle intenzioni, spreca a sproposito un termine saputello e pseudoscientifico che vorrebbe essere nobile: ti dicono, con sguardo falsamente compassionevole, che “è la Realpolitik, caro mio” e ti mandano a casa con un buffetto sulla spalla come si fa col bambino ignorante. 

A me sembra incredibile che non si capisca che, se i propri interessi (di persone o di Paesi) non vengono inseriti in un contesto di interessi ‘anche’ di altri, l’unica conseguenza è la guerra.
Quelli che credono di aver studiato e fanno gli amerikani, magari avendo appreso i rudimenti base di ogni minima competenza manageriale in un corso elementare su negoziazione&dintorni, conoscono il win-win (‘vinco-io/vinci-tu’) che deriva (io preferisco il latino) dall’et-et. Bene: gli stessi, fuori dal corso, hanno tutto dimenticato. Se poi qualcuno diventa per caso leader politico di un Paese, piccolo o grande che sia, o leader di un'istituzione internazionale, non solo scorda quanto eventualmente appreso, ma demonizza le vecchie ‘teorie’ del negoziare, perché scopre che l’orgasmo del maschio Alfa (ma vale anche per le ‘donne in similmaschio, sempre più numerose) procura soddisfazioni imparagonabili. Eppure dovrebbe apparire scontato: puntare al ‘win-lose’ (‘vinco-io-e-chi-se-ne-frega-degli-altri’) è miope e insostenibile, quanto meno nel medio periodo. Perché nessuno gode a perdere, e se uno perde (o addirittura viene spinto a ‘straperdere’ come in genere si augura il ‘vincente’, che è un ‘coatto’ perché sa solo vivere nella modalità appunto di vincente), poi si rifà. Con una sopraggiunta di cattiveria e di risultati distruttivi strappati all’avversario/nemico che perpetuano a vita il circolo vizioso del win-lose.

Non mi pare che questo sia un discorso da 'anime belle'. Piuttosto credo siano pensieri, banali, che potrebbero essere comuni a persone che, avendo il cervello (tra parentesi non per proprio merito, bensì per merito di madre-natura che gliel’ha fornito), almeno rendono grazie a madre-natura per questo dono, sforzandosi, ogni tanto, di far funzionare appunto ciò che si ritrovano in testa. E, così facendo, provano a evitare la distruzione del mondo. Quella degli esseri umani, naturalmente. Perché dovremmo sapere (ma la nostra hybris non ce l’ha ancora svelato) che il pianeta non ha bisogno di noi per continuare a vivere. Anzi, senza di noi, vivrebbe meglio. Molto meglio.

*** Massimo FERRARIO, 1946, Il mantra del 'fare i propri interessi', ‘Mixtura’,  27 febbraio 2025.
Immagine già pubblicata in ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 19apr15


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martedì 4 febbraio 2025

#FAVOLE & RACCONTI / Il desiderio di un bambino (Massimo Ferrario)

La maestra Flavia e il marito Fabio finiscono la cena. Il marito sparecchia la tavola e mette i piatti in lavastoviglie, mentre la moglie estrae dalla borsa i compiti dei suoi alunni. Sono temi che ha dato in classe due giorni fa. Con l'amica Chiara, maestra di un'altra sezione frequentata anche dal loro figlio Marco di otto anni, aveva deciso di dare un tema comune alle due classi, dal titolo 'Il mio desiderio': ambedue le maestre volevano sondare il vissuto di un gruppo numeroso di bambini circa i loro più importanti desideri, soddisfatti o insoddisfatti. 

Flavia sta leggendo con attenzione tutti i temi.
A un certo punto si fa più seria. Le si scurisce il volto, si tocca più volte la fronte come per scacciare ciò che ha letto e le cade la penna. 

Fabio, che sta scrollando lo smartphone in poltrona, alza il capo e gli sembra di cogliere nella moglie, seduta di fronte a lui al tavolo, una preoccupazione particolare.
«Che è successo, cara?».
«L'altro giorno io e Chiara abbiamo assegnato un tema in classe, dal titolo 'Il mio desiderio'». 
«E allora?».
«Ai bambini è piaciuto. Hanno scritto pagine intere. Hanno risposto con sincerità, dicendo cose interessanti: qualche volta sorprendenti. E' la conferma che noi adulti abbiamo molto da imparare da loro. Anche se ascoltarli può sconcertarci».
«Addirittura?»
«Ti leggo un tema». 
Fabio è curioso. 
«Ascolto».
Flavia si schiarisce la voce, perché le risulta essere stranamente velata.
«E' di un maschietto. Scrive: 
"I miei genitori sono sempre occupati con i loro telefonini: leggono e scrivono in continuazione e qualche volta si mettono pure gli auricolari per ascoltare indisturbati. Il mio papà più della mia mamma, ma è una bella gara tra loro due. Quando papà torna dal lavoro e io gli chiedo di giocare dice sempre di essere stanco: non ha mai tempo per me, ma per il suo telefono è sempre disponibile. Anche la mia mamma, se è impegnata e il telefono squilla, smette qualunque cosa e risponde subito. Se invece io le chiedo qualcosa, mi dice che devo aspettare. Io aspetto, ma lei non smette mai di fare le cose sue, soprattutto se si tratta di leggere o inviare messaggi alle amiche. Insomma: tutti e due fanno quello che vedo fare sempre dagli adulti. Sono sempre lì con il telefonino al guinzaglio. Anche se veramente mi sembra che siano loro ad essere al guinzaglio dei loro telefonini. Sì, lo lo so che i miei genitori non sono cattivi: non è che non mi vogliono bene, è che sono indaffarati a fare sempre le cose loro, soprattutto quando hanno in mano il telefonino. Cioè quasi sempre. Perciò il mio desiderio è molto semplice ed è uno solo: diventare un telefonino. Così avrei la loro attenzione."»

Fabio si alza di scatto, facendo cadere l'iphone che aveva poggiato sulle ginocchia. Si dirige al tavolo dalla moglie, come per farsi consegnare il tema. 
«Chi l'ha scritto?», chiede con la voce un po' tremante. 
«Sì, l'hai capito. E' Marco, nostro figlio».

*** Massimo Ferrario, Il desiderio di un bambino, riscrittura di un testo diffuso in rete, 'Mixtura' (masferrario.blogspot.com), 4 febbraio 2025 - Illustrazione creata da GROK-AI


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giovedì 16 gennaio 2025

#FAVOLE & RACCONTI / Autoritarismo, un avverbio e un aggettivo (Massimo Ferrario)

Un episodio di tanti anni fa, che più volte ho raccontato nelle aule formative a manager con i quali mi accadeva di parlare di leadership, riguarda mio figlio, che all’epoca era in quinta elementare.

Primavera. La scuola – rigorosamente pubblica - lancia l’iniziativa dei ‘3 giorni azzurri’. Tutte le classi, a turno, sono invitate a visitare la Liguria, per conoscere la vita di mare e dell’entroterra di Ponente: incontreranno i pescatori e riscopriranno i vecchi mestieri artigianali, ad esempio i ceramisti delle Albissole. Quasi tutti i genitori aderiscono in massa, tassandosi anche per chi non potrebbe partecipare per ragioni economiche. I bambini sono felici: è la prima volta che faranno l’esperienza di una gita insieme, per giunta dormendo due notti in un albergo della costa. L’assistenza è garantita dalle maestre della scuola che seguiranno gli alunni e da operatrici che troveranno sul posto.

I pullman partono con i bambini in festa, mentre un po’ di sana, sottile apprensione stuzzica i genitori fino al ritorno: in fondo si tratta di una prima volta, i figli sono piccoli e l’evento che li tocca è anche un segno che i bambini - ahimé, ma per fortuna - stanno diventando grandi.

I ‘tre giorni azzurri’ volano e il pullman è già di ritorno. Io, una volta tanto sono a Milano libero da impegni, e riesco a fare il padre. Vado a prendere Luca all’arrivo. Lui e gli altri suoi amichetti sciamano a terra con i loro zainetti. Baci e abbracci. Contentezza, ma anche un po’ di malinconia: la bella avventura è finita. Solite domande di noi adulti: com’è andata? 

Luca è più che soddisfatto: dice che sono stati tre giorni molto belli. Tuttavia. Tuttavia c’è un ma che intravvedo – intuisco - dietro la faccia sorridente. Al momento evito di indagare. Poi, a casa, a pranzo, con discrezione torno sull’argomento e cerco di capire. «Allora, davvero tutto bene?» Dalle (non) risposte ho la conferma che esiste qualche ombra. Insisto, senza dare la sensazione di volere instaurare un interrogatorio. Lui continua a tergiversare. Poi, alla fine, si lascia andare: «Ma sì, tutto benissimo. A parte l’operatrice che ci ha seguito per i tre giorni». Il mio silenzio è di paziente attesa. Lui riprende a divagare: ha molte cose da raccontare, non smette di essere eccitato dall’esperienza. Io rinforzo le sue valutazioni positive su tutto quanto gli è capitato, poi ritorno all’operatrice. «Dicevi che l’operatrice non era il massimo?». Lui annuisce, deciso. «Ma cosa faceva per esserti così antipatica?». «Non era antipatica solo con me: lo era con tutti.» Si zittisce: sta rimuginando. «Sì, perché… insomma… era…». Non gli viene la parola. «Era…?». «Era… non lo so… ecco: era inutilmente severa».

Sono trascorsi oltre trent’anni. Continuo a considerare l’espressione condensata in quell’'inutilmente severa', riferita all’autorità dell’operatrice, come la massima sintesi, quanto mai preziosa, di uno dei tanti seminari manageriali allora di moda. Quando ci si chiudeva in un’aula per tre giorni solo per riflettere sulla leadership: le sue caratteristiche di fondo, come favorirla, quali stili, le dinamiche positive e negative di capi e collaboratori. Quel ragazzino, che casualmente era mio figlio, è la conferma che i bambini – tutti – spesso arrivano all’essenza delle cose prima di noi adulti. Ciò che rifiutano, da un adulto che non sa esprimere leadership e si rifugia nel ‘comando’, non è la ‘severità’. E’ la severità ‘inutile’: gratuita, senza ragione, affermata solo in funzione di chi la esercita e non di chi ne è destinatario. Noi sedicenti ‘grandi’ abbiamo bisogno di sedicenti guru per capire il concetto di ‘autorevolezza’. Loro hanno chiaro, almeno fin dalle scuole elementari, in cosa consiste l’‘autoritarismo’. E sono capaci, solo con un avverbio e un aggettivo, di 'scolpirne' la definizione come nessun esperto farebbe.

*** Massimo Ferrario, Autoritarismo, un avverbio e un aggettivo, 'Mixtura' (masferrario.blogspot.com), 16 gennaio 2025


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mercoledì 15 gennaio 2025

#FAVOLE & RACCONTI / Satana e Satanino, Adamo e Eva (Massimo Ferrario)

E’ il secondo giorno nell’Eden. Adamo si sveglia, vede Eva accanto a sé: cerca di ricordare e poi mette a fuoco. La faccia sorridente di Dio, che lo aveva appena impastato di terra e gli aveva soffiato dentro la vita. Ed Eva, che dorme lì accanto: una strana figura, simile ma diversa, che Dio gli ha detto essere uscita dal suo corpo e verso cui lui, guardandola dopo il lungo sonno, comincia a provare una strana attrazione. Ma non è il momento. 

Adamo è curioso: vuole capire in che mondo è capitato. Allarga lo sguardo: tutto è meraviglioso. A perdita d’occhio: pianura, alberi, colline, montagne. Dappertutto: cielo, sole, un tenero venticello. A pochi metri: un piccolo lago. Un clima perfetto: che intiepidisce la pelle. Adamo decide di esplorare la vastità del paesaggio. Si alza e si mette in cammino, lasciando Eva da sola.

Ad un tratto, da uno dei tanti boschetti vicini al lago, compare Satana: e sveglia Eva. Ha per mano il suo piccolo, Satanino, di neppure un anno. Dice che ha bisogno di parlare con Adamo e chiede a Eva se sa dove è andato. Eva è intimorita dal nuovo venuto: non credeva ci fossero altri esseri nell’Eden. Di Adamo non sa: dormiva accanto a lei. Satana la tranquillizza e le chiede il favore di curare il figlioletto mentre lui si allontana per rintracciare Adamo. Eva acconsente e si mette a giocare con quello strano essere chiamato Satanino.

A fine giornata Adamo ricompare. Vede il piccolo e ha un sobbalzo. Dio l’aveva messo in guardia: nel Paradiso terrestre c’erano solo lui e Eva. Chiunque altro sarebbe stato opera del demonio: da cui sempre guardarsi. Adamo diventa una furia. Urla: «E’ il figlio di Satana: sia maledetto. Niente rimarrà di lui». Raccoglie una grossa pietra e lo uccide, frantumandogli il capo. Poi appende il piccolo corpo a un ramo e scompare.

Satana, quando la mattina seguente ritorna e vede lo scempio del figlioletto, non si mostra stupito e neppure sgrida Eva per non aver protetto Satanino. Semplicemente pronuncia una formula magica e Satanino scende dalla pianta e si ritrova a correre tutto integro e contento nel prato. Poi Satana avanza una supplica accorata: «Eva, mia cara, ancora ti chiedo di badare a Satanino. Io devo assolutamente rintracciare Adamo. Per ringraziarti del favore, ti faccio dono del fuoco: così da adesso, per i pasti tuoi e di Adamo, potrai cuocere tutto quello che vorrai». Eva rifiuta, ma Satana insiste e la convince ad accettare. E nella piccola grotta in cui Adamo ed Eva pensavano di dormire nelle notti ventose, Satana le lascia una piccola catasta di legna, accendendole un fuoco tra due grandi pietre con un ciocco ben secco.

Trascorrono due giorni e Adamo, stanco per il lungo viaggio, rientra. Rivede il piccolo che gioca rincorrendo un uccello e, sconcertato per ritrovarlo in vita, se la prende con Eva: «Anche stavolta hai ceduto a Satana. Niente rimarrà di lui». Agguanta con violenza il figlio di Satana e con una pietra tagliente gli spacca il cuore. Eva protesta: «Ma Satanino non ha fatto nulla di male e Satana è stato gentile: come suo dono ci ha lasciato il fuoco, acceso là nella grotta». Adamo allora raccoglie da terra il corpo di Satanino, entra nella grotta e lo getta tra le fiamme. Poi se ne va infuriato.

Quando Satana si ripresenta, Eva gli racconta della seconda uccisione di Satanino. Ma Satana si limita a sorridere mentre recita la formula magica: il piccolo, tutto carbonizzato, si rialza dal fuoco come dopo un lungo sonno e corre fuori dalla grotta, felice. «Eva, ti prego» – supplica a questo punto Satana – «per l’ultima volta accetta di tenere con te Satanino. Troverò Adamo e poi, prometto, non disturberò più». Eva è decisa a dire di no, ma Satana si trasforma in una figura tanto ammaliante  e fascinosa che lei cede.

Adamo è via da una settimana: ha visto bellezze incredibili e scalpita per poter condividere al più presto con Eva un viaggio per tutto l’Eden. Appena raggiunge il piccolo lago, Adamo vede Satanino che gioca sulla riva con una papera, mentre Eva nuota mollemente lì accanto, rilassata e felice. Adamo è esasperato: la prescrizione di Dio è stata chiara. Si nasconde dietro un albero e quindi, con un balzo, salta addosso al bambino. Stavolta lo strangola. Corre poi nella grotta e per tutta la mattinata lo cuoce con cura, a fuoco lento, rosolandone ogni parte. A mezzogiorno invita Eva a pranzare: lei è ignara di tutto. Per la prima volta, lui le annuncia, mangeranno carne. «Delizioso questo piatto», diranno poi entrambi. 

Satana si presenta verso sera. Si inchina a Adamo ed Eva che lo accolgono con imbarazzo: anche perché esibisce un sorriso inquietante. «Finalmente, Adamo, ti incontro. Ma non vedo Satanino», annuncia con voce tonante, girando lo sguardo a 360 gradi. Eva, solo in quel momento, realizza che il piccolo non c’è. E’ fulminata da un presentimento: emette un grido, corre verso la grotta, entra e lancia un urlo. Adamo, con un sogghigno sfidante, proclama: «Oggi Eva e io abbiamo mangiato carne. Peccato che siano rimaste solo ossa nella grotta. Un boccone te l’avremmo offerto volentieri». 

Satana non si scompone. «Avete fatto bene», commenta con un sorriso: «Era proprio quello che volevo». 

Pronuncia per l’ultima volta la formula magica e Satanino esce dalla grotta correndogli incontro: lui lo accoglie a braccia aperte, riempiendolo di baci e caricandoselo in spalla. Mentre si allontanano, accenna un saluto ad Adamo ed Eva. «Non vi disturberò più». Tra sé pensa soddisfatto: “Ora mi hanno dentro. Per sempre. Non mi serve più incontrarli”.

*** Massimo FERRARIO, 1946, Satana e Satanino, Adamo e Eva, ‘Mixtura’, 15 gennaio 2024,  riscrittura creativa di una leggenda musulmana, anche riportata da Jean-Claude Carrière, 1931-2021, Il figlio di Satana, in Il segreto del mondo. La saggezza del mondo in 348 racconti, storie, apologhi, 2008, Garzanti, 2010, pp. 36-37, traduzione di Doriana Comerlati. 

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