mercoledì 15 giugno 2016

#RITAGLI / Bibbia, quando insegna l'odio (Antonio Vigilante)

Meno di un mese fa, il 28 maggio scorso, il parroco di Decimoputzu (Cagliari), don Massimiliano Pusceddu, ha tenuto una omelia che ha fatto e fa discutere. 
Ecco la sintesi del suo discorso nel titolo del Fatto quotidiano: “‘Gli omosessuali meritano la morte’. L’omelia del parroco contro le unioni civili”. Parole che indignano: ho letto sui social network commenti di fuoco, e non pochi chiedono che il parroco venga incriminato. Certo, si tratta di hate speech, ed appare ancora meno tollerabile all’indomani della strage di Orlando. Ma c’è un particolare che a molti sfugge: le parole incriminate sono una citazione di San Paolo. Ecco esattamente cosa ha detto il parroco: (...)

Si tratta di un passo iniziale della Lettera ai Romani, un testo fondamentale per il cristianesimo, denso di profondità dottrinale e di spiritualità, fonte di ispirazione per i più raffinati teologi (è appena il caso di ricordare L’Epistola ai Romani di Karl Barth, uno dei capolavori della teologia del Novecento). Ma si tratta anche, come si vede dal testo citato dal parroco, di un testo intriso di violenza, in particolare contro i pagani, di cui parla quel passo. Una violenza verbale che, passato qualche tempo e conquistato il potere, diventerà violenza reale. I pagani sono stati perseguitati dai cristiani con una violenza non inferiore a quella subita dagli stessi cristiani; il loro culto è stato proibito, i templi demoliti con uno zelo non troppo diverso da quello dei fanatici attuali del cosiddetto Stato Islamico. La figura di Ipazia, la filosofa e matematica pagana squartata da una folla cristiana, è il simbolo tragico di queste violenze sulle quali cala ancora un velo pesante e difficile da scostare.

La maldestra omelia del parroco – davvero “l’ultimo dei sacerdoti”, secondo la sua definizione che mi sento di condividere – solleva un problema reale: quello della violenza nella Bibbia. Il prete ha citato San Paolo. Avrebbe potuto citare il Levitico: “Chiunque abbia giaciuto con un uomo come si giace con una donna, hanno compiuto tutti e due un’abominazione; siano messi a morte” (20, 13). E, già che c’era, avrebbe potuto continuare a leggere la Parola di Dio. “Chiunque commetta adulterio con una donna sposata, chiunque commetta adulterio con la donna del suo prossimo, siano messi a morte l’adultero e l’adultera” (20, 8). L’elenco delle persone da mettere a morte è abbastanza lungo: c’è anche chi, preso da incontenibile passione, faccia l’amore con la sua donna mentre lei ha le mestruazioni. Messi a morte entrambi, lui e lei.

Mettere in pratica la Parola di Dio oggi significa riempire le nostre strade e le nostre piazze di lapidazioni: qui un’adultera, lì una strega, lì un quindicenne che ha maledetto suo padre o sua madre (anche per questo è prevista la pena di morte). Non credo che l’ultimo dei sacerdoti voglia davvero questo, né credo che lo vogliano quelli che ascoltavano la sua omelia contro gli omosessuali senza battere ciglio. Come tutti, il parroco usa la Bibbia fin quando gli fa comodo, prende quello che è utile ad alimentare i suoi pregiudizi, le sue fobie, le sue piccinerie, e ignora il resto. I cattolici vivono in questa ambiguità. (...)

*** Antonio VIGILANTE, 1971, docente di filosofia al liceo, fondatore e direttore scientifico della rivista 'Educazione Democratica', Quando la Bibbia insegna l'odio, 'glistatigenerali.com', 13 giugno 2016

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