venerdì 17 giugno 2016

#SPILLI / Ancora sul 'non-voto': può non essere masochismo (M. Ferrario)

Gira l'idea, almeno sui social, da parte di chi conta nulla come me, ma anche da parte di opinionisti più o meno famosi, che non votare candidati Pd sia come 'tagliarseli per fare un dispetto alla moglie'. 
La battuta è greve (benché ormai siamo abituati a ben altro), ma risaputa e fa sempre un certo effetto. Anche se non si riflette sul suo taglio implicitamente maschilista, diretta com'è solo agli appartenenti a un genere: il solito.

L'accusa arriva quando l'invito a votare 'turandosi il naso', che ha preso il posto del 'voto utile', pare non aver sortito alcun effetto presso quegli elettori, di sinistra, che non ne possono più. 
E chi la lancia crede di aver usato, in questo modo, l'argomento inoppugnabile e definitivo: bisogna andare a votare, altrimenti sei un masochista.
Per quanto mi riguarda ho già scritto che non andrò a votare, per la prima volta nella mia non breve vita, e chiederò scusa alle tombe di chi è morto per darci il diritto di voto. 
Ne soffrirò, ma soffrirei di più dovendo scegliere, in un ballottaggio, chi è il meno peggio tra due peggiori.

Tutto infatti va riportato al contesto specifico e io sono a Milano: fossi altrove, magari a Roma, nonostante le mie simpatie per il movimento 5S permangano assai controllate e non esaltanti, andrei al voto, perché l'alternativa al candidato pidino Giachetti (il quale, tra l'altro, non è Sala), in quel caso, l'avrei.
Ma sto dove sto e la mia scelta va valutata alla luce di questo. 
Sono quindi costretto a fare considerazioni che riguardano la specificità di Milano e che possono interessare, se interessano, soprattutto i miei concittadini milanesi.

Anche se... vedi la conclusione cui arriverò.

Certo, mi si invita a pensare alle alleanze e al tipo di gente che, a Milano, supporta Parisi, il sedicente 'avversario' di Sala (oggi, chissà perché, chiamato 'competitor'). 

Condivido: il fascioleghismo è quanto di più lontano dalla mia visione del mondo ed è sicuramente, per me, un fattore di preoccupazione, a livello locale, nazionale e, ormai, internazionale. Finora però (e dico 'finora'), il candidato Parisi (che considero un candidato per me assolutamente invotabile, nonostante gli inviti più o meno espliciti di chi ama i 'tatticismi politicisti' ed è disposto a far vincere Parisi pur di dare un colpaccio, per me meritatissimo, a Renzi) ha dimostrato di saper gestire con equilibrio anche la 'gentaccia' con cui si è alleato. Cioè: si è alleato con persone che disistimo, e questa è la ragione che mi fa dire che il candidato Parisi mai e poi mai potrebbe fare per me. Tuttavia (ripeto: finora), il comportamento è di chi sa 'tenere a bada' chi gli sta attorno, con una scelta di politica che si caratterizza non solo non di 'destra', ma neppure di 'centrodestra' e se mai di 'centrocentrodestra'. Naturalmente metto in conto che, se Parisi vincesse, potrei essere smentito domani dai fatti. Ma oggi così è: almeno a me pare.

Dall'altra parte, riconosco che alleanza e squadra (al di là dei nomi usciti all'ultimo in staffing al candidato sindaco, per 'garantire' legalità: nomi più che rispettabili, ma che mi paiono frutto di una improvvisata operazione markettara), hanno una qualità diversa.

Il punto però è che la figura del sindaco conta più di ciò che gli sta attorno: sia per ragioni di importanza strutturale del ruolo e delle funzioni attribuite, sia perché l'opzione personalizzante e leaderisitica della politica di questi anni così ha voluto e (ahimè) continua a volere.

E qui sta il nocciolo del problema, che rende il discorso in qualche modo valido anche fuori dal contesto milanese.

Cadute le ideologie e scioltisi, di fatto, i partiti (in queste elezioni il simbolo Pd è stato nascosto ovunque...), due elementi che facevano da contenitori e contribuivano, anche pesantemente, ad assicurare lealtà dei singoli ad una più o meno certa e chiara visione della politica (ideali, idee, valori), tutto è 'finito addosso' all'individuo singolo: dunque alla personalità, alla autorevolezza, al curriculum, alle potenzialità del candidato.

Si dice dei programmi: dovevano essere la soluzione magica alla scomparsa delle ideologie. 
Si sono rivelati, e non solo a livello locale, 'ariafritta': un coacervo di promesse che tutti sappiamo essere buone soltanto per quei pochi che ancora ci credono. 
Gli elettori (avevamo più o meno tutti ripetuto a pappagallo) saranno in grado di controllare il rispetto di quanto promesso e bocceranno chi li prenderà in giro.

Non è andata così. Per un insieme di ragioni. 
* Intanto, perché il controllo presuppone informazioni critiche diffuse da chi dovrebbe controllare (i media, per esempio). E noi abbiamo dei media sempre più appecorati al potere di turno. 
* Poi, perché i controllori, dunque noi cittadini, dovremmo essere appunto 'cittadini': capaci di informarci e di valutare. E noi siamo sempre più 'sudditi' (o 'follower') cui piace lasciar fare, salvo poi riservarci il gusto amaro e sterile della lamentazione.
* Infine perché i controllati (i politici eletti) dovrebbero possedere un autolimite che paiono non sapere più cosa sia: ed è quel senso di autocritica, e magari pure di vergogna, che non solo gli dovrebbe impedire di corrompere ed essere corrotti, ma almeno di mentire sapendo di mentire, illudendo e vendendo fandonie a destra e a sinistra: sputtanando così, come sono tutti riusciti a fare, sia la destra che la sinistra, per non parlar del centro.

Conclusione?
I candidati a cariche cruciali, come quelle di sindaco, per giunta di città complesse, sono cruciali. 
Alleanze, squadre, programmi, dichiarazioni contano, ma vengono dopo.
Da cittadino, io valuto, per quel che posso e sempre troppo dall'esterno e da lontano, e sulla base di informazioni che mi arrivano spesso manipolate o addirittura non mi arrivano, personalità e autorevolezza di chi mi si propone. 
Certo, anche la 'collocazione' del candidato è importante: ma in un'epoca di trasformismi montanti e di opportunismo dilagante conta più la sensazione di serietà e di cultura istituzionale, dimostrata o potenziale.

Non c'è nessun dispetto da fare, o non fare, alla moglie. 
C'è, semplicemente, da tentare di difendere se stessi dalla presa in giro, ripetuta e verificata da troppi anni: cercando di individuare, tra chi si candida, chi ha più probabilità di non comportarsi da politicante e può avere maggiormente la statura di politico
Cioè: chi dà più garanzie di essere meno venditore di fumo e di essersi collocato in un campo (di idee, principi e valori) perché, in qualche modo, oltre a tentare di comportarsi seriamente, in quel campo davvero ci crede.
Se il cittadino non individua candidature adatte, forse fa bene a non rendersi complice di un sistema che continua a produrre politica (affarismo) e mai Politica (amministrazione di servizio).

ps: 
L'argomento, per noi milanesi, che se non vince Sala arriveranno i barbari e ci sarà l'assalto alla città è come quello che sentiremo usare ogni giorno per il No al referendum costituzionale. Non c'è nessuna apocalisse in arrivo. Milano ha già avuto il fascioleghismo al potere: certo, sarebbe meglio non ri-averlo, ma forse, proprio per evitare questo, occorreva pensare a una candidatura alternativa diversa. 
E quanto alla caduta possibile di Renzi se vincesse il No, intanto bisognerà vedere davvero se verrà mantenuta la minaccia-ricatto (non è accaduto in altri casi che alla parola data siano seguiti fatti conseguenti, e chiedere a Letta per verificare) e poi, come più volte dice il fiorentino, se il suddetto non ci sarà più, 'ce ne faremo una ragione', trovando altri in grado di sostituirlo. Guai a un Paese che è convinto di aver trovato l'uomo della provvidenza e che a lui rimane appeso perché incapace di individuare/costruire alternative.

*** Massimo Ferrario, Il non-voto può non essere masochismo, per Mixtura



Vedi anche, sempre in Mixtura, il mio precedente contributo, sul voto a Milano, qui

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