martedì 12 maggio 2020

#SPILLI / Una 'Impresa Diversa', dal 2010 ad oggi (Massimo Ferrario)

Nel settembre 2009 lanciai in LinkedIn il gruppo 'Impresa Diversa'. 

Era rivolto a manager, consulenti e studiosi interessati a migliorare valori, modelli e prassi nel mondo del lavoro e aveva l'obiettivo di favorire la diffusione di materiali e la condivisione di opinioni e di esperienze in tema di organizzazione, ruoli, persone. 

Il gruppo ebbe una vita intensa per tre anni: una partecipazione oggi inimmaginabile, per quantità e qualità di contributi. Era davvero 'bello' potersi confrontare, liberamente e criticamente, senza secondi fini. E il narcisismo, che oggi sommerge tutto, non mancava, ma era tenuto a freno: così come minimi erano il selfmarketing e la promozione dei prodotti/servizi, propri o delle società di appartenenza. 
Certo, anche allora si mirava ad alimentare la propria immagine pubblica: ma questo avveniva sul terreno delle prese di posizione, discusse e argomentate, riguardo a precisi temi professionali e sociali, e non con la continua autovendita commerciale, oggi spudorata e sguaiata.

Fu in questo clima che nell'aprile del 2010, stimolato da molti colleghi che volevano dare uno sbocco 'fisico' al gruppo fino a quel momento solo 'virtuale', mi lasciai tentare. E, con qualche amico, organizzammo una decina di incontri per verificare la possibilità di dare origine a un'esperienza di gruppo non solo online. 
In quell'occasione, anche per favorire l'identificazione dei possibili futuri sottoscrittori con ciò che avevamo in mente, stesi la 'carta' che segue. 
Voleva essere una bozza aperta: da integrare nei suoi punti di dettaglio, ma da non tradire nello spirito complessivo e nelle finalità generali.

Fu un fallimento.
Non serve rivangarne le ragioni: basti dire che non riuscimmo a sottoscrivere un 'manifesto' comune. Tra il dire e il fare ci fermammo al dire: e ci dividemmo pure su questo. 

Dopo dieci anni, rileggendo le righe che seguono e che costituiscono la bozza di una carta mai nata, ho pensato che gli stimoli in essa contenuti potrebbero essere attualizzati. 

La crisi da virus in cui siamo precipitati ci sta gettando in faccia questioni immense. 
E tutte dovrebbero spingerci a meditare sul modello (economico, culturale, sociale) che ci ha portato sin qui. 

Magari alcuni spunti, almeno per quanto riguarda il mondo aziendale, possono venire anche da quella che, dieci anni fa, voleva essere una 'carta' per una 'Impresa Diversa'. E il fatto che noi, allora, non siamo riusciti a dare corpo alle parole che avevamo abbozzato non significa che altri, se vogliono, non lo possano fare oggi. 

In questo spirito trascrivo qui fedelmente quanto ebbi a proporre nell'aprile-settembre del 2010. Io, personalmente, resto fedele a queste righe, di cui non toccherei una virgola. E a ogni parola, scrupolosamente pensata e pesata.

Carta per una 'Impresa Diversa'
Credere in una ‘impresa diversa’ vuol dire anzitutto credere in un’impresa che più che dichiarare la sua ‘diversità’ agisce per costruirla: con i fatti e non con le parole, con la tensione costante ad un progetto, piuttosto che con le proclamazioni retoriche. 

Una ‘impresa diversa’ è un’impresa in cui tutti, a partire dai vertici e dalle funzioni più chiamate a fare e governare il cambiamento culturale, operano perché le ‘persone’, non più definite ‘risorse umane’, siano tali davvero: abbiano e si prendano spazio per giocare il loro ruolo centrale di esseri umani e di professionisti, avendo come fine lo sviluppo del business e di se stessi, sia dal punto di vista umano che professionale. 

Riteniamo che le persone troppo spesso continuino ad essere strumentalizzate in nome dell’impresa.
Pensiamo che venga dimenticato ciò che dovrebbe essere scontato: sono le imprese al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio delle imprese, perché il valore prodotto dalle imprese è non solo economico, ma anche sociale, culturale, professionale, tecnico. 

Siamo convinti, come molti economisti, che il fine di un’impresa non sia il profitto, che è invece un indicatore essenziale del livello di efficacia/efficienza raggiunto. Ma l’impresa stessa: la sua affermazione, sana ed equilibrata delle sue parti al proprio interno e nel contesto sociale esterno, nell’oggi e nel futuro. Perché l’impresa è uno strumento formidabile, a disposizione dell’uomo, per creare ricchezza, non solo economica, e realizzare, nel lavoro, la dignità e lo sviluppo professionale, culturale e umano, di ognuno, a qualunque livello organizzativo e in qualunque ruolo sia inserito.  

Per questo crediamo in una ‘impresa compatibile’: responsabilizzata rispetto ad ogni portatore di interesse e consapevole della necessità di contribuire alla società presente e futura, così che le persone, dentro e fuori i confini dell’impresa, siano sempre più cittadini coscienti dei loro diritti e doveri e non soldati obbedienti e consumatori passivi e acritici. 

Noi crediamo che un’'impresa diversa', per cercare di ‘essere’ davvero tale, ‘debba’: 
1. lavorare per l’affermazione continua di una costruttiva dialettica del rapporto capitale-lavoro, in un’ottica di ‘mediazione intelligente’ che massimizzi i risultati di tutti, assumendo l’esistenza di interessi anche divergenti, soprattutto sul piano economico, tra detentori, o rappresentanti, di capitale e lavoratori, come dato fisiologico e strutturale di una realtà economica costituita da un sistema liberale di imprese;

2. sviluppare il massimo di ‘autogoverno’ su se stessa, come sistema organizzativo complesso integrato nel più ampio sistema sociale, alimentando in pari tempo la capacità di ‘autogoverno’ delle persone che vi lavorano, sia a livello di singole individualità che di sottosistemi organizzativi e di gruppi;

3. massimizzare il campo di possibile ‘win-win’ rappresentato dalla dialettica ineliminabile tra obiettivi aziendali e obiettivi delle persone: da una parte senza totalizzare le persone e confondere/pasticciare i ‘confini’, che invece debbono distinguere con chiarezza, a difesa della dignità della persona, la dimensione privata-personale da quella lavorativa-di impresa; ma dall’altra, anche, chiedendo impegno e ingaggio critico-propositivo alle persone nelle attività di lavoro e di conseguimento degli obiettivi aziendali;

4. proporre ai collaboratori, a tutti i livelli, anche attraverso una organizzazione del lavoro ‘amica’ che spinga a sostituire allo ‘sfruttamento delle risorse’ la ‘valorizzazione delle persone’, stimoli, obiettivi, vincoli, impegni, sfide per ‘far crescere’ tutti, professionalmente e umanamente, senza peraltro inseguire tentazioni fondamentaliste di integrazione ai soli obiettivi aziendali, ma rispettando la copresenza per le persone di altri orizzonti e contesti necessari per vivere in giusto equilibrio ‘work-life’ e sviluppare la propria umanità;

5. riconoscere e premiare, non solo sul piano monetario, il contributo delle persone secondo principi il più possibile legati alle competenze dimostrate e ai risultati conseguiti, in un’ottica di rispetto delle diversità e delle possibilità di ognuno e dopo aver fatto il possibile per rendere le persone capaci di ‘padroneggiare’ ruoli e mestieri dal punto di vista sia professionale che umano; 

6. armonizzare, in una logica di sana dialettica, gli obiettivi, personali e di business, di ognuno con le esigenze complessive del sistema organizzativo, rinforzando le individualità, ma penalizzando gli individualismi e la competizione sregolata, che impediscono il funzionamento integrato e l’affermazione di identità, oltre che individuali, anche di gruppo. 

7. sviluppare e mantenere un clima di rispetto, rigoroso e non rigido, di norme di legge e regole di comportamento, individuali e di azienda, secondo l’ispirazione di una ‘etica degli affari’, reale e non solo proclamata, imperniata sulla ‘integrità’ di persone e di imprese.
(mf, 23apr10 - 13set10)

*** Massimo Ferrario, Una 'Impresa Diversa', dal 2010 ad oggi, per Mixtura


In Mixtura ark Spilli di Massimo Ferrario qui

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