venerdì 6 marzo 2020

#FAVOLE & RACCONTI / I due monaci e il dialogo senza parole (Massimo Ferrario)

Li Fu, il giovane monaco, bussò al portone del Tempio della Montagna. 
Aveva camminato per chilometri per incontrare l'abate Wang Dong e discutere con lui dei grandi temi della vita: lo spirito, il corpo, il buddismo, il rapporto dell'uomo con l'universo.

Era stanco e affamato. 
Lungo il cammino, nell'ultimo paese che aveva attraversato, aveva incontrato Zhao Jian, conosciuto da tutti come il più vecchio e bravo pasticcere della vallata. 
Il pasticcere stava sfornando in negozio le sue famose frittelle di riso quando, da dietro la vetrina, aveva visto Li Fu camminare per strada: era subito uscito per omaggiarlo e regalargli un sacchetto dei suoi dolci, aggiungendo che i suoi prodotti erano famosi. 
Li Fu si era meravigliato di questa accoglienza tanto affettuosa: lui non aveva mai visto il pasticcere e non sempre i monaci godevano di tanto calore e simpatia. Ma poi aveva capito. Zhao Jian, desideroso di stringere amicizia, gli aveva chiesto dove fosse diretto e quando il monaco gli aveva parlato del Tempio della Montagna, lo aveva abbracciato, raccomandandogli di fare altrettanto con il giovane figlio, Zhao Shou, che non vedeva da un anno. «E' ancora novizio ed è il guardiano del Tempio della Montagna. Digli che mi hai incontrato e che hai mangiato le mie frittelle di riso. Spero ti piaceranno.»

Il monaco aveva ringraziato e si era rimesso in cammino.
Le frittelle gli erano piaciute molto e peccato fossero finite subito: le piccole dimensioni avevano ancor più stuzzicato la fame. 

Furono necessari più colpi sul battente di bronzo.
Poi, finalmente, comparve Zhao Shou: aveva un sacchetto di dolci in mano e stava sbocconcellando un pasticcino.
Socchiuse il portone, guardandosi attorno con circospezione.
Quando vide il monaco davanti a sé, non allentò la diffidenza, mantenendo il viso scuro.

Li Fu si presentò, sfoggiando un sorriso che voleva comunicare subito calore e disponibilità. Riferì al giovane dell'incontro col padre, delle frittelle che aveva ricevuto in dono e che aveva particolarmente apprezzato anche se erano molto piccole ed erano finite subito. Poi aggiunse che aveva promesso al padre che avrebbe abbracciato il figlio a suo nome. Pregò quindi il novizio di accettare il suo abbraccio; e Zhao Shou acconsentì, per la verità senza mostrare eccessivo trasporto. 

Il monaco, a questo punto, spiegò le ragioni della visita.
«Desidero incontrare l'abate Wang Dong: la sua fama di saggio ha superato i confini della valle. Mi piacerebbe disputare con lui dei grandi problemi della vita. Ho percorso molte miglia per arrivare fin qui e sono in viaggio da tre giorni. Ma sarei disposto a rimettermi in cammino, senza fermarmi, per un'altra settimana per avere il privilegio di confrontarmi con lui».

Il novizio scosse il capo.
«Non credo sia possibile. L'abate non incontra chiunque: il suo tempo è prezioso. Non dubito della tua motivazione, ma vedo dall'aspetto che devi avere solo una decina di anni più di me. La saggezza si costruisce con i capelli bianchi.»

Il monaco si trattenne: ma chi era questo ragazzo per valutare chi meritasse il titolo di saggio e chi no? E come si permetteva di decidere chi ammettere e chi escludere da un confronto con l'abate Wang Don?

Il disappunto si manifestò in volto, che divenne rosso per la rabbia.
«Forse, mio giovane Zhao Shou, potrebbe essere l'abate a decidere se merito o no di discutere con lui, non credi?».

Fu in quel momento che comparve l'abate Wang Dong, sbucato dal chiostro del monastero.
Da una delle finestre del Tempio della Montagna aveva assistito allo scambio tra Zhao Shou e Li Fu.
«Do il benvenuto al giovane monaco, che tanto ha camminato per incontrarmi. Non merito tutta la strada che ha percorso e, quando mi conoscerà, spero di non deluderlo troppo, ma lo ringrazio della stima. Lo invito a restare nel monastero per tutto il tempo che vorrà. Con lui avrò piacere di discutere degli argomenti che più gli stanno a cuore: e sono sicuro che impareremo entrambi.»

Li Fu congiunse le mani e si inchinò in segno di saluto rispettoso.
Era raggiante. Aveva ottenuto ciò che più desiderava.

Ma l'abate aveva altro da dire.
«Ho solo una proposta preventiva da sottoporre a entrambi. Che credo farà riflettere tutti noi. Vi offro un confronto particolare su un tema di vostra scelta. Con un vincolo assoluto. Non dovrete usare le parole: potrete comunicare solo a gesti. Si tratterà di un dialogo muto. Breve, ma intenso. Al termine, chiederò a ognuno di commentare ciò che avrete discusso».

L'inchino all'unisono di novizio e monaco fecero capire che la proposta era stata accettata.

Wang Dong si rivolse a Li Fu
«A te, che sei ospite, la scelta del tema: ti spetta il primo gesto».

Li Fu si concentrò per alcuni secondi.
Poi, deciso, diede avvio alla discussione.

Il monaco disegnò subito, con il pollice e l'indice, un piccolo cerchio nell'aria.
Il novizio, con le braccia, indicò un cerchiò assai più grande.
Il monaco alzò un dito.
Il novizio ribatté con cinque dita.
Il monaco, a questo punto, rispose con tre dita.
Il novizio fece una smorfia.
E Li Fu, incrociando entrambe le mani, fece capire che allora la discussione era finita: non c'erano più argomenti.

L'abate era incuriosito.
«Se l'ospite me lo consente, ora do prima la parola a Zhao Shou. Gli chiederò di cosa ha discusso. Poi la stessa cosa chiederò a Li Fu.»

Il novizio non aveva dubbi.
«Il monaco ha voluto parlare delle frittelle di riso che mio padre gli aveva regalato giù al villaggio. Il cerchio piccolo significava che le aveva trovate piccole. Io, disegnando nell'aria il cerchio grande, gli ho detto che non ero d'accordo. Allora lui, alzando il dito, mi ha chiesto quanto fa pagare mio padre ognuno di questi dolci. Io, mostrandogli le 5 dita, gli ho risposto 5 monete. Lui, indicandomi 3 dita, ha voluto dire che, date le dimensioni, 3 monete erano già un buon prezzo. Io, con la mia smorfia, gli ho fatto capire che  non ero per nulla d'accordo.»

Il monaco aveva ascoltato, sempre più strabiliato, l'interpretazione del novizio.
Non credeva possibile: e continuava a scuotere la testa.

L'abate Wang Dong lasciò che Li Fu si riprendesse.
Poi gli si avvicinò e, sempre sorridendo, gli diede la parola.
Il monaco si passò la mano sulla fronte, come a scacciare quello che aveva appena ascoltato: cominciò titubante, quasi lui stesso non fosse più convinto dello scambio avuto con il novizio.

«Io parlavo dei grandi problemi della vita: i temi che mi stanno a cuore e che mi hanno portato sin qui. E devo ammettere che man mano che il confronto procedeva mi meravigliavo della saggezza delle risposte che il giovane novizio mi stava dando. Disegnando nell'aria il cerchio piccolo avevo chiesto a Zao Shou cosa ne pensasse del suo spirito. La sua risposta, indicata con il cerchio grande, voleva dire che era come un oceano. Allora io, con il dito alzato, gli ho chiesto del suo unico corpo e lui, alzando le 5 dita, mi ha risposto che il suo corpo è regolato dai 5 precetti buddisti (non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non mentire, non bere). Anche questa mi era sembrata una splendida risposta, assai profonda. Poi ho alzato 3 dita per segnalare i tre grandi mondi che costituiscono l'universo. E qui sono rimasto spiazzato: con la sua smorfia pensavo volesse farmi capire che tutto l'universo era, ovviamente, davanti ai suoi occhi.»

L'abate Wang Dong godeva della reazione sbigottita dei due giovani, Zhao Shou e Li Fu.
Li prese paternamente sottobraccio e si incamminò con loro lungo il chiostro, in direzione della grande sala da pranzo.

Con i suoi novant'anni appena compiuti, Wang Dong sapeva che poteva apparire il vecchio che vuole sempre trarre la morale dalle esperienze e si arroga il diritto, un po' paternalistico, di insegnare la vita ai giovani; ma da tempo aveva deciso che è compito degli anziani essere anche noiosi.

Così, pure stavolta, aveva ceduto.
E aveva commentato:
«Abbiamo avuto testimonianza diretta di come, comunicando senza le parole, si possono creare i più grandi e incredibili equivoci. Ma non crediamo che le parole risolvano tutto. Facilitano; ma non esimono dal prestare attenzione. Perché le parole non nascono nel vuoto e non vivono di vita propria. Vivono di vita nostra. Del senso che noi, e solo noi, diamo loro. Di quello che noi 'già' pensiamo prima ancora di sceglierle e trasmetterle all'altro.
Ecco: ora, dopo una 'giusta' cena per ritemprare il 'corpo', ci dedicheremo allo 'spirito'. E la discussione sulle questioni che meritano di essere discusse sarà il cibo perfetto per questo secondo pasto. Stavolta, per discutere, useremo le parole: per carità, solo le parole. E vedremo quanto sarà comunque difficile intendersi. Anche senza disegnare cerchi, piccoli o grandi, per indicare il corpo o lo spirito. O per evocare i dolci di Zhao Jin: quelle frittelle di riso di cui in questo momento, piccole o grandi che siano, vorrei tanto poter fare una scorpacciata...».

*** Massimo Ferrario, I due monaci e il dialogo senza parole, per Mixtura - Libera elaborazione di un racconto zen diffuso anche in rete.


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