venerdì 19 ottobre 2018

#MOSQUITO / Multiculturalismo, la logica di una società progressivamente ghettizzata (Paolo Flores d'Arcais)

Il multiculturalismo preso sul serio deve fare i conti non con il cous cous ma con la lapidazione delle adultere e la poligamia, non con il velo ma con la clitoridectomia e l’infibulazione. E magari con la pretesa che tali mutazioni rituali vengano praticate negli ospedali pubblici, perché sono un «diritto» della bambina. In questi rilievi non c’è nulla di caricaturale. La discussione sulla compatibilità fra logica dei diritti civili e logica del multiculturalismo rimane seria solo se affronta i casi cruciali. Che sono molto più numerosi di quelli – particolarmente tragici – appena richiamati. In ognuno di essi si tratta di scegliere: se venga prima la differenza come individuo o la differenza come cultura. Ma nel primo caso si è irrimediabilmente fuori dalla logica del multiculturalismo, a cui si pagherebbe solo un omaggio verbale (e comunque ambiguo, e perciò pericoloso). 
La logica della società multiculturale è quella di una società progressivamente ghettizzata. Dove ogni identità-comunità offre in effetti protezione, ma onerosa, perché innanzitutto si protegge contro ogni comportamento non conformista, non obbediente alla tradizione, che ne possa minare l’unità e la stabilità. In definitiva, la scelta per il multiculturalismo, come del resto l’intera ideologia del politically correct, costituisce in realtà il surrogato consolatorio di una rivoluzione non riuscita: quella dei diritti civili e della compiuta cittadinanza per tutti. Ed esprime, sebbene in forma militante, la rassegnazione a quella sconfitta. Rischiando così di renderla definitiva. 
Con Hannah Arendt dobbiamo invece tener fermo che «la pluralità è il presupposto dell’azione umana perché noi siamo tutti uguali, cioè umani, ma in modo tale che nessuno è mai identico ad alcun altro che visse, vive, o vivrà». La differenza che il democratico deve religiosamente difendere, ha poco e nulla a che fare con l’uso del termine invalso in anni recenti per caratterizzare entità collettive perseguitate o emarginate: negri, operai, donne, ebrei, omosessuali. 
I «diversi» prima ricordati, insomma — e tenendo ferme tutte le ragioni delle critiche rivolte all’assetto sociale vigente — non valgono in quell’accezione in forza della loro individualità ed anzi, spesso, manifestano intolleranza nell’esaltare e custodire la propria «differenza» collettiva: le critiche sono ammesse, entro limiti per altro angusti, solo se provenienti dall’interno della collettività. Formulate dall’esterno, vengono aprioristicamente respinte come «aggressione», «razzismo», «antisemitismo», «maschilismo».

*** Paolo FLORES D'ARCAIS, filosofo, direttore di 'MicroMega', Il trionfo del 'politically correct', 'MicroMega', 6, 2018


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