sabato 4 febbraio 2017

#SGUARDI POIETICI / Il lavoro (Kahlil Gibran)

Allora un contadino disse: Parlaci del Lavoro.
Ed egli rispose, dicendo:
Voi lavorate per tenere il passo con la terra e con l’anima della terra.
Poiché essere oziosi è diventare stranieri alle stagioni, uscire dal corso della vita che procede con maestà e con fiera umiltà verso l’infinità.
Quando lavorate siete come un flauto che nel suo cuore volge in musica il sussurro del tempo.
Chi tra voi vorrebbe essere una canna muta e silenziosa quando ogni altra canta insieme all’unisono?

Vi è sempre stato detto che lavorare è una maledizione, la fatica una sventura.
Ma io vi dico che quando lavorate voi portate a compimento una parte del sogno più remoto della terra, che vi fu data in sorte quando quel sogno stesso ebbe origine,
E nel sostenere voi stessi con la vostra fatica voi amate in verità la vita stessa,
E amare la vita attraverso quella fatica è essere tutt’uno con il suo segreto più profondo.

Ma se voi dite, mentre penate, che nascere è un’afflizione e il peso della carne una maledizione scritta sulla vostra fronte, allora io vi rispondo che nulla tranne il sudore della vostra fronte laverà ciò che vi è scritto.

Vi è stato anche detto che la vita è tenebre, e nella vostra stanchezza vi è l’eco di ciò che da tali uomini stanchi vi fu detto.
Ed io vi dico che davvero la vita è tenebre se non vi è slancio,
E ogni slancio è cieco se non vi è conoscenza,
E ogni conoscenza è varia se non vi è un operare,
E ogni operare è vuoto se non vi è amore;
E quando operate con amore legate voi a voi stessi, e ad ogni altro, e a Dio.
E che cos’è operare con amore?
È tessere l’abito con i fili tirati dal vostro cuore, come se avesse ad indossarlo il vostro amato.
È costruire una casa con amorevolezza, come se l’amato dovesse far dimora in quella casa.
È spargere semi con tenerezza e raccogliere le messi con allegria, come se l’amato dovesse mangiarne il frutto.
È soffiare il respiro del vostro animo su tutto ciò che forgiate,
E sapere che tutti i morti beati sono intorno a voi e vigilano su di voi.
Spesso vi ho udito dire, come se parlaste nel sonno: «Chi lavora col marmo, e scopre nella pietra la forma della sua propria anima, è più nobile di colui che ara la terra.
E chi afferra l’arcobaleno per distenderlo su una tela in un’effigie umana, è superiore a chi fabbrica sandali per i nostri piedi».
Ma io vi dico: non è nel sonno ma è nella pienezza del meriggio che il vento parla non più dolcemente alle querce giganti che al più piccolo di tutti i fili d’erba;
E che solo è grande chi volge la voce del vento in un canto reso più dolce dal suo proprio amore.

Operare è amore reso visibile.
E se non riuscite ad operare con amore ma soltanto con disgusto, meglio sarebbe lasciare quel vostro lavoro e sedere alla porta del tempio e ricevere l’elemosina di coloro che operano con gioia.
Poiché se cuocete il pane con indifferenza, cuocerete un pane amaro, che sfamerà solo a metà la fame dell’uomo.
E se spremete l’uva controvoglia, il vostro malanimo distillerà veleno nel vino.
E se anche cantate come angeli, ma non amate il cantare, renderete sordo l’orecchio dell’uomo alle voci del giorno e alle voci della notte.

*** Kahlil GIBRAN, 1883-1931, poeta, filosofo, pittore libanese, Il lavoro, da Il profeta, 1923, traduzione di Tommaso Pisanti, in Tutte le poesie e i racconti, Newton-Comtpon, 1993-2012
https://it.wikipedia.org/wiki/Khalil_Gibran


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