Maurizio MAGGIANI, Il Romanzo della Nazione, Feltrinelli, 2015
pagine 297, € 17,00, ebook € 9,99
Prima un rivolo, poi altri: pochi, ben mirati, che confluiscono in un fiume che è il nostro passato, recente e più lontano.
Oppure una manciata di sassolini: scelti e gettati con cura e delicatezza, e poi l'osservazione attenta, a inseguire con partecipazione le onde che si allargano.
Sono le due immagini che mi si sono stampate in mente posando 'Il romanzo della Nazione' al termine della lettura.
Chi si attendesse una trama tradizionale, con lo sviluppo di azioni che partono da un punto e arrivano allo scioglimento finale, rimarrebbe spiazzato. Qui la trama intreccia più trame, ma non c'è la linearità che rassicura: c'è un movimento erratico, che fluisce e rifluisce, che va e torna. E ti cattura, avvolgendoti in un clima, caldo e carezzevole, in cui domina il narrare: il raccontare fatti e vissuti, che si mescolano e procedono per digressioni, divagazioni, fuori tema. Che poi non sono per nulla 'fuori' tema, perché sono 'il tema'.
E' un racconto di memorie, ma nessun intimismo psicologistico, nessuna sdolcinatura: e, appunto per questo, con momenti di alta poesia, di una tenerezza deliziosa, ma contenuta e mai esibita, come le pagine ad esempio dedicate al rapporto con il padre dell'autore. Il passato è rievocato con affettuosa benevolenza, specie quando recupera frammenti di ricordi di contadini e operai che hanno 'costruito la nazione': ci vengono restituiti scolpiti 'in piedi', con vividezza e potenza. E la nostalgia di Maggiani non è occultata: traspare evidente, però senza disturbare; non è zuccherosa, ma fiera e soddisfatta. E ti contagia.
Sono tanti i momenti che catturano.
Senz'altro la rievocazione autobiografica del rapporto con i genitori: condotta con una sobrietà che non soffoca l'affetto del figlio anche a distanza di anni, pure quando il ricordo non intende rimuovere, con una certa impietosità affettuosa, i tratti di vissuto meno gradevoli, ad esempio nella relazione con la madre.
Poi, lo squarcio, veloce ma non per questo meno efficace, che si apre sui 'fondatori di nazioni' in terra di Palestina.
E infine non può non colpire e affascinare la storia della costruzione di fine 800 dell'Arsenale militare di La Spezia: un'opera grandiosa, frutto oltre che di alta ingegneria, soprattutto del lavoro minuto, preciso e appassionato di un intero popolo che diventa protagonista del 'romanzo di una nazione'.
Sono quasi trecento pagine, che volano anche perché scritte in modo mirabile. Se si ama, oltre al racconto di fatti, l'arte ammaliante del raccontare, Maurizio Maggiani e questo suo libro, godibilissimo e raffinato per contenuti e forma, sono per noi.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
«
Questa nonna Candidina, almeno per quel poco che ha potuto, mi ha reso la vita piuttosto difficile a causa della sua ossessione per le preghiere, ogni genere di preghiera in lingua italiana e in lingua latina. Per non parlare della mania che aveva di portarmi con lei ai vespri e alle processioni. Minava il mio infantile – e sereno – disinteresse per la salvezza dell’anima con agghiaccianti descrizioni delle pene dell’inferno, e comprava la mia devozione con sacchetti di noccioline americane tostate di fresco e con rotoli di liquirizia con la pallina zuccherata al centro. Questo quando capitavo dalle sue parti e fino intorno ai dieci anni, poi se n’è andata in grazia di Dio. (Maurizio Maggiani, Il Romanzo della Nazione, Feltrinelli, 2015)
E noi eravamo tutti quanti lì, a guardare il muratore sul trabacco mentre faceva il suo lavoro. Era un vecchio muratore di campagna, aveva in testa un berrettino da ciclista della Duco e aveva delle enormi sopracciglia grigie. Teneva sul piano del trabacco il suo secchiello di cemento e una bella pila di mattoni ordinata a piramide. Per lavorare più di fino usava una palla di gomma tagliata a metà dove versava il cemento dal secchiello e da lì lo prendeva a piccoli bocconi con una cazzuola sottile quasi come un coltello. Lavorava lentamente, in silenzio, con dedizione. Stava sigillando l’Adorna nel suo eterno riposo. Un mattone via l’altro, un bel gesto di cazzuola, un filo di cemento spalmato sulla base, un altro sulla costa. E tac, un movimento breve, leggero, definitivo della mano che posa e salda il mattone preciso al suo posto. Un lavoro davvero ben fatto. Bello da vedersi, e bello da farsi. Quando andrà in pensione, e prima o poi ci dovrà pure andare, non so chi potranno chiamare a sostituirlo. Chi sa più lavorare così in un cimitero? E tutti quanti a guardare senza spirare un fiato, gli occhi all’insù come se si fosse a guardare l’uomo che cammina sul filo. Perché, con tutto che il mondo ormai è quello che è, qui da noi sappiamo ancora distinguere le cose ben fatte. E apprezzarle come meritano. (Maurizio Maggiani, Il Romanzo della Nazione, Feltrinelli, 2015)
Dunque siamo andati a fare questo test, a verificare lo stato dell’arte almeno del lobo destro. Nel complesso è andato molto bene. Domande piuttosto facili ma risposte pronte e sicure. Anche spiritose nel caso. Sì, mio padre sapeva fare anche dello spirito negli ultimi tempi. Sapeva tirare fuori anche un bel sorriso quando faceva lo spiritoso. È caduto sul presidente. Sul presidente della Repubblica, voglio dire. Lì non ce l’ha fatta a fare lo spiritoso. Non si è trattenuto. Quando il pozzo di scienza gli ha chiesto il nome del presidente della Repubblica in carica, non ha esitato e ha fatto il nome di Sandro Pertini. Aveva un debole per Sandro Pertini. Qualcosa di più di un debole, era appassionato di Sandro Pertini, era un cultore della memoria del comandante Pertini. Sono sicuro che per lui i presidenti venuti dopo erano stati insignificanti incidenti, inutili meteore. Sì, però nella fattispecie a quel tempo il presidente era Carlo Azeglio Ciampi. E infatti l’incaricato Kronos ha messo un segno sul suo taccuino, un segno che si vedeva benissimo che era calcato giù ben bene. L’ultima prova non era una domanda trabocchetto, ma un libero componimento. Scriva qui la prima cosa che le viene in mente. La prima? Sì la prima. La prima? Sì, sì, non ci stia a pensare, metta la prima che le passa per la testa. Così mio padre ha scritto la frase
VIVERE DI SOGNI È UN’UTOPIA
Perché questa frase è appesa sopra la mia scrivania? Perché non c’è un ritratto di mio padre – gliene ho fatto più d’uno nel corso degli ultimi anni, ritratti pervenuti dalle sue lontananze – ma un foglietto della Asl n. 3? Perché se la prima cosa che ti viene in mente quando non sai nemmeno più chi è il presidente della Repubblica, ma cosa dico, quando non riesci nemmeno più a pulirti il culo come si deve, se quello che ti sovviene senza nemmeno pensarci su un secondo è l’utopia, e sono i sogni, allora sei un eroe. Un eroe. E tuo figlio è qui per onorarti, padre. (Maurizio Maggiani, Il Romanzo della Nazione, Feltrinelli, 2015)
Un tale James Hallison, che era uno stimato progettista alle dirette dipendenze del Lord dell’Ammiragliato britannico, scrisse nero su bianco sulla prima pagina del “Times” che la Dandolo era troppo bella per funzionare. I giornalisti videro che stava a galla nonostante tutti i loro studi britannici che dimostravano il contrario. Scrissero sui giornali quello che avevano visto e implorarono il Lord dell’Ammiragliato di fare qualcosa di meglio. Benedetto Brin, il progettista della Dandolo, lesse gli articoli alle alte sfere del regno, ma poi radunò tutti quanti quelli che ci avevano lavorato e li lesse anche a loro. La gente che lo ascoltava forse che applaudiva al re? No, applaudiva a se stessa e al suo vicino. Applaudiva ai compagni dell’officina e a quella carogna dell’ufficiale dispensiere che aveva dovuto abbassare la cresta, applaudiva a quell’enigma dell’ammiraglio comandante e ai compagni della Società di Mutuo Soccorso che non avevano misteri per nessuno a parte la polizia. Applaudiva alla fortuna di essere stati lì, ognuno a fare del suo perché galleggiasse. Applaudiva ai miracoli che sarebbero venuti dopo quel miracolo. Miracoli dell’ingegno umano, miracoli del lavoro. Oh, certo, il lavoro affrancatore, la nobiltà del lavoro libero dalla servitù, il miracolo del secolo di luce che sarebbe venuto. Quando la Dandolo fu allestita, armata e rifinita, quattro anni dopo, furono invitati tra gli altri alcuni illustri membri del Senato degli Stati Uniti. Questi tornarono a casa e riferirono che bastava quella nave per affondare tutta la flotta americana. Quando al Regio Arsenale si venne a sapere e poi in tutta la città si prese a non parlar di altro, forse che la città si sentiva finalmente protetta dalla flotta regia? No, si sentiva protetta in virtù di se stessa. Un popolo che avrebbe potuto affondare l’intera Marina americana. Se non avesse avuto dell’altro per la testa. Una complessità. Nell’unicità. Avrebbe potuto. Sarebbe stato. Invece le cose sono andate come sono andate. Cioè per un altro verso. Ora come ora so che nel fosco fin del secolo morente il re si è ripreso tutto. E senza che la Dandolo, la più potente nave da guerra del mondo, sparasse un solo colpo di cannone. (Maurizio Maggiani, Il Romanzo della Nazione, Feltrinelli, 2015)
»
In Mixtura le mie recensioni di #LibriPiaciuti qui
In Mixtura i contributi di Maurizio Maggiani qui
Nessun commento:
Posta un commento