Ecco due episodi che mi sono capitati personalmente e mi hanno fatto ragionare sulla differenza di sensibilità che non va sottovalutata.
Una mia amica cinese, tanti anni fa, mi ha regalato un paio di scarpe. Però mi ha chiesto una moneta in cambio. Io devo avere fatto una faccia perplessa, al che lei mi ha spiegato che per i cinesi regalare delle scarpe a un amico vuol dire invitarlo ad andarsene, ad allontanarsi. Del resto, noi in Italia non regaliamo coltelli, e se lo facciamo esigiamo esattamente la stessa monetina in cambio.
Un’esperienza in un certo senso piú sgradevole, ma ancora piú educativa, è stata quando un mio innocente complimento (innocente nelle mie intenzioni) alla bellissima acconciatura di una ragazza afroamericana è stato considerato alla stregua di un’offesa razzista. Lí per lí mi sono contro-offesa e arrabbiata. Poi, parlando con persone che lavorano in ambienti internazionali, ho scoperto che per molte culture i commenti di qualunque genere, anche positivi, sulle caratteristiche fisiche o di abbigliamento, in particolare, ma non esclusivamente, quelle che connotano in qualche modo l’origine di una persona (tratti somatici, acconciature o abbigliamento «etnici») sono considerati offensivi, razzisti, xenofobi. Chi sono io per decidere aprioristicamente che la sensibilità altrui è sbagliata? Da allora faccio molta piú attenzione nel fare eventuali apprezzamenti sull’aspetto di persone che non conosco bene.
*** Vera GHENO, sociolinguista, Potere alle parole. Perché usarle meglio, Einaudi, 2020,
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