martedì 16 maggio 2017

#LIBRI PREZIOSI / "Poteri forti (o quasi)", di Ferruccio de Bortoli (recensione di M. Ferrario)

Ferruccio DE BORTOLI
"Poteri forti (o quasi). 
Memorie di oltre quarant'anni di giornalismo"
La nave di Teseo, 2017
pagine 319, € 19,00, € 9,99

Critica e autocritica: giornalismo e storia italiana in 40 anni
Il clamore suscitato dalla rivelazione, a pagina 209 del saggio di Ferruccio De Bortoli (Poteri forti (o quasi), della richiesta di Maria Elena Boschi, all'epoca ministra delle Riforme, all'allora amministratore delegato Unicredit Federico Ghizzoni di intervenire in favore di Banca Etruria, di cui era vicepresidente il padre, non si è ancora placato: lei continua a negare di averlo fatto e minaccia querele che finora non sono pervenute; De Bortoli conferma le sue fonti; e Ghizzoni né conferma né smentisce, rimandando a un'audizione in Parlamento il momento per dire la sua (e così, di fatto, facendo intuire che de Bortoli sul punto non è molto smentibile). 

Il libro, dunque, sta subendo una esposizione mediatica, anche ossessiva, che forse rende in chiave pubblicitaria, ma rischia di distogliere l'attenzione dalle oltre trecento pagine, belle e saporite: che offrono squarci gustosi non solo della vita professionale di un grande giornalista, ma ovviamente, dato il ruolo cruciale esercitato da de Bortoli dalla plancia di comando di 'Corriere della Sera' (due volte) e di 'Il Sole 24 ore', della scena economica, culturale e politica italiana lungo almeno una quarantina d'anni. 

Non sono mai stato un fan del 'Corriere' (lo leggo da sempre insieme con almeno altri quattro quotidiani) e resto critico verso un certo 'cerchiobottismo' che di fatto, troppo spesso, finisce per essere filo-governativo, o, come oggi si abusa dire rubando il termine all'inglese, 'filo-establishment'. Ma ovviamente non si può negare che il punto di vista di un grande quotidiano come il 'Corriere', anche quando non si è d'accordo (forse soprattutto), sia imprescindibile per costruirsi una visione complessiva delle cose. 
E questo saggio di de Bortoli lo conferma: la ricchezza degli episodi raccontati ('flashback' suggestivi di un passato non solo italiano e cammei stuzzicanti di personaggi cruciali del giornalismo, della politica e della cultura) e lo stile in 'bell'italiano' (equilibrato, pacato, semplice, ma mai grigio e monotono: spesso critico e persino autocritico sul piano sia personale che dei colleghi giornalisti) concorrono a farcelo percorrere d'un fiato. 

La tesi che i poteri, forse più deboli di quanto crediamo, siano oggi sempre più opachi e sfuggenti è ben argomentata e il giudizio alla fine è tagliente.
Scrive de Bortoli: «Il paese ha avuto solo raramente poteri forti. Ha certamente avuto, e continua ad avere, sempre poteri opachi, non raramente forieri di corruzione, quando non confinanti con la criminalità. Cordate personali, piccole consorterie, corporazioni ottuse, egoismi locali e miopie collettive. Sciami di manager attenti al proprio personale tornaconto nel breve periodo – a volte in combutta con consulenti e cacciatori di teste – abili nel saltare da un incarico all’altro e del tutto disinteressati al futuro delle aziende e tantomeno dei loro dipendenti.»
Non è l'unico capoverso in cui la presa di posizione è netta: e chi, come me, si infastidisce per i giri di parole che vogliono dire tutto e niente ha modo di apprezzare. Una ragione in più per leggere il libro.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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Applaudo all’emergere degli users generated contents, ovvero dei contenuti generati dagli stessi utenti. Si è creata così un’immensa piazza di libertà, evviva. Le reticenze dei media tradizionali vengono facilmente smascherate, si pubblicano più notizie sgradite al potere. Perfetto. Ma, noto con sgomento, come ciò non corrisponda alla creazione di un’opinione pubblica adulta e avvertita. Ma al suo contrario: un magma di umori e sentimenti che fluttua impetuoso sui social network. Si nutre di pensieri unici, coltiva il pericoloso mito della semplificazione della realtà che induce a individuare con facilità capri espiatori e a credere a qualsivoglia complotto. Moltitudini che si aggregano per identità di opinioni e gusti. Entusiasti di trovare connessioni senza confini ma disinteressati a conoscere idee e realtà diverse. A coltivare il dubbio, l’etica del confronto e del rispetto dell’altro. Sudditi più che cittadini. E forse per questo interessati non alla verità dei fatti bensì soltanto alla loro verosimiglianza. Ansiosi di condividere, non di accertare. Disposti a credere alla versione più congeniale per sé e per la propria comunità, per nulla preoccupati di soppesare costi e benefici o di non confondere i sogni effimeri con i vantaggi reali. Eccitazione tecnologica tanta, spirito critico poco. Le eccezioni positive non mancano, ovviamente, i movimenti di opinione non di rado risultano incoraggiati e meglio conosciuti, le buone pratiche, anche giornalistiche, sono promettenti. Ma nella massa, nella gran parte della piazza virtuale della quale mai ci priveremmo, il clima è questo. (Ferruccio de Bortoli, "Poteri forti (o quasi)", La nave di Teseo, 2017)

Lavorando al “Corriere” e poi al “Sole”, la nostra trincea era ovviamente quella del privato. Se c’è un errore che abbiamo compiuto – certamente io per primo –, è stato quello di credere un po’ troppo che tutte le virtù risiedessero nella parte dell’imprenditoria privata. Soprattutto in quella che chiedeva a gran voce privatizzazioni e libertà dei mercati e poi si sarebbe rifugiata volentieri negli ex monopoli pubblici, come a ripararsi da una concorrenza internazionale per la quale nutriva timori. Mi sarei accorto più avanti – a privatizzazioni avvenute in larga parte per le necessità stringenti del bilancio statale – che non pochi tra gli imprenditori privati avevano mutuato i difetti della politica. Ovvero, la logica dello scambio dei favori a discapito delle ragioni del mercato e della concorrenza. L’intreccio perverso fra partiti e aziende, che avrebbe poi portato anche alle inchieste di Mani pulite, era largamente diffuso. Penetrato nel costume nazionale, la corruzione vista come uno stato di necessità. Poche e lodevoli le eccezioni. Convenienza, furbizia, importanza delle relazioni personali, constatazione che gli snodi nei quali si adottano le decisioni più importanti fanno parte di una rete invisibile e, a volte, opaca di rapporti di potere (massoneria in primis, di alto e basso livello, Comunione e liberazione, Opus Dei e via di seguito). E le istituzioni ne erano e sono spesso prigioniere. (Ferruccio de Bortoli, "Poteri forti (o quasi)", La nave di Teseo, 2017)

Ricordo un’intervista di Giuliano Amato alla “Repubblica” nella quale profetizzava che la messa sul mercato di Telecom e di altre società pubbliche “avrebbe creato tanti gruppi con dimensioni paragonabili alla FIAT”. Avremmo avuto, in sostanza, tanti nuovi Agnelli. Come le “verdi praterie” dell’euro promesse avventatamente da Prodi al momento dell’ingresso nella moneta unica. Tra il 1992 e il 2000 sono stati ceduti ai privati pacchetti azionari per duecentomila miliardi di lire. Il paradosso finale è che oggi la FIAT si chiama FCA – avendo concluso felicemente la fusione con Chrysler – e non è più italiana. Sede legale e sede fiscale sono state portate all’estero – la prima è ora ad Amsterdam, la seconda a Londra – senza polemiche. Anzi, Sergio Marchionne e John Elkann sono stati accompagnati alla frontiera dall’allora premier Matteo Renzi, che li ha pure ringraziati, indicandoli ad esempio. E non ha pensato nemmeno per un attimo a una sorta di exit tax. In Francia, in Germania e negli Stati Uniti di Trump (subito osannato da Marchionne, prima obamiano di ferro), non sarebbe mai accaduto. L’altro paradosso è che la Confindustria è oggi dominata dalle imprese pubbliche (ENI, ENEL, Ferrovie, Poste) decisive, per esempio, nella designazione nella primavera 2016 del presidente Vincenzo Boccia. (Ferruccio de Bortoli, "Poteri forti (o quasi)", La nave di Teseo, 2017)
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