lunedì 5 marzo 2018

#SPILLI / Elezioni, disfatte e vittorie (M. Ferrario)

Non ci sono interpretazioni: il dato è solido e compatto. 
L'omicidio è compiuto e gli assassini sono due: Di Maio e Salvini. I morti sono la coppia convenzionalmente riunita nel nome Renzusconi: il primo è Renzi, il rottamatore che in cinque anni, dopo aver rottamato il centrosinistra, il Pd e i suoi elettori, finalmente è riuscito nell'impresa di far fuori se stesso; il secondo è Berlusconi, dato sempre per risorgente ad ogni sconfitta, ma stavolta definitivamente riconosciuto dagli elettori come politicamente finito. 

Nessuno aveva previsto un simile sommovimento: il M5S oltre il 31%, la Lega al 18% (con Salvini che supera di 4 punti Berlusconi), il Pd al 19%, la sinistra di LeU appena sopra la soglia del 3%, il centrodestra al 37%. E poi, un'Italia spaccata in due: il Nord al centrodestra (a trazione leghista), il Centro Sud al M5S.

Può piacere o no, ma il quadro è preciso. 
Gli italiani, spesso accusati di essere incapaci di promuovere cambiamento e abituati solo a lamentarsi, hanno smentito se stessi (o l'interpretazione che di loro troppe volte abbiamo dato): se anche non avesse giocato tanto il desiderio di 'quel nuovo specifico' che Di Maio e Salvini, da posizioni diverse ma per molti versi non del tutto opposte, stanno proponendo, certo è la voglia insopprimibile di mandare a casa tutto il 'vecchio' che ha prodotto la rivoluzione. Perché di vera rivoluzione si stratta: è crollato il sistema che finora aveva tenuto banco e un nuovo banco si dovrà trovare. 
Tra l'altro, l'affluenza alta (oltre il 73%) è un altro segno forse non del tutto aspettato: neppure i disguidi tecnici dovuti al 'bollino antifrode' che domenica hanno provocato code interminabili (fino a due ore di attesa), facendo venir voglia a molti di abbandonare i seggi, hanno fiaccato la partecipazione elettorale. E questo è comunque un fatto positivo.

Elenco alcune reazioni sintetiche, a caldo e ovviamente soggettive:

(1) - Tra M5S e Lega ci sono molti punti di contatto, ma anche notevoli differenze. E questo rende difficile, benché non impossibile, ciò che in queste ore qualcuno ipotizza: e cioè una possibile alleanza, su 'cose concrete', tra i due partiti. 
Ciò che di comune mi pare di rintracciare sono alcuni tratti, a mio avviso preoccupanti: come il superamento delle categorie concettuali di destra e sinistra; una posizione 'cattivista' in tema di migranti (più netta nel Salvini di 'prima gli italiani' e più oscillante nel Di Maio dei 'taxi del mare'); la minimizzazione delle pulsioni fasciste presenti in modo diffuso nella società (che è altro dall'evocare la preoccupazione di un ritorno, in nuove forme, di un fascismo storico che si è concluso nel Novecento e che oggi non fa vedere un nuovo Mussolini all'orizzonte).

(2) - Se il centrosinistra ha avuto la sua disfatta stavolta impossibile da ignorare (anche per Renzi), la sinistra, in ogni sua forma, è sparita dalla scena. 
LeU entra in parlamento per un soffio, superando a fatica la soglia del 3%, e il suo concorrente più 'duro e puro', Potere al Popolo, si attesta su un inutile 1% (anche se festeggia come un successo questo risultato, dicendo a se stesso che da qui si parte per nuove e mirabili sorti progressive...). 
Non serve qui infierire sulla leadership debole e pasticciata (due eufemismi) di Grasso, né sul modo con cui la lista si è costituita, privilegiando la conservazione di un ceto politico sorpassato e in buona parte complice del renzismo. E' accaduto quello che si temeva: e che è la ripetizione di fallimenti già sofferti, ma evidentemente non appresi e metabolizzati, come le disfatte di Sinistra Arcobaleno del 2008 o della lista Tsipras del 2014.
Il dato impietoso che esce da questo voto è che la sinistra è pressoché scomparsa dallo scenario: e anche la funzione di testimonianza, che pure potrebbe essere un compito nobile, è messa pesantemente in forse.

(3) - Renzi ha incontrato parecchi muri nella sua triste (e invereconda) parabola verso il naufragio, suo e del Pd. 
L'ultimo è stato quello del 4 dicembre 2016: il 40 a 60 del referendum costituzionale avrebbe dovuto essere il feedback definitivo e meno equivoco. Non è stato sufficiente, evidentemente. Il che dice tutto quello che di peggio si può dire per un uomo, e soprattutto un politico, che si era venduto (ed era stato venduto) come lo statista vincente del futuro. Ma riguarda anche la (sedicente) dirigenza del Pd, che non è stata capace di arginare prima e di mettere fuori gioco poi un capo (non un leader) chiaramente suicida anche per narcisismo patologico, arroganza psicopatica, sindrome di onnipotenza. Che il finale fosse tragico doveva essere evidente: ma se decidi di fare il servo abbonato all'applauso dell'uomo solo al comando ti meriti quello che è successo. Anche se purtroppo, vista l'interdipendenza che caratterizza ogni sistema, anche quello politico, gli effetti collaterali di una sconfitta epocale come questa, per giunta da parte di un partito storicamente cardine nella scena italiana, si allargano all'intero sistema Paese.

(4) - Ora il M5S e la Lega hanno davanti a sé una grande responsabilità. Insieme con il Capo dello Stato: sempre ritualmente omaggiato, ma mai come oggi davvero cruciale nelle scelte di fondo del nuovo assetto politico e istituzionale che si creerà.
Gli italiani hanno deciso di fare un salto. E di fare fare un salto all'Italia.
Se questo salto si rivelerà nel buio (e i dubbi in questo senso ci sono tutti), lo vedremo.
Dipenderà dalla 'luce' che chi ha vinto le elezioni sarà capace di accendere nel guidare l'Italia nel salto senza farla finire nel baratro.
Dopo le tante parole e le troppe promesse, anche in forma di pentole (bucate), lanciate da ogni personaggio in cerca di voti nel corso di questa inesauribile televendita che è stata la campagna elettorale, è ora di fatti.
E i fatti sono duri e senza sconti. 

*** Massimo Ferrario, Elezioni, disfatte e vittorie, per Mixtura


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