Un quadro generale
Recentemente, sul 'Corriere della Sera' è uscito un bell’articolo di Stefano Zamagni sulla meritocrazia (Il Merito? E’ frutto di talento e di impegno profuso, 4 febbraio 2020). Altri contributi interessanti sul tema sono quelli di Luigino Bruni (La meritocrazia e i suoi limiti, 'Corriere buone notizie', 19/12/2019) e Aldo Schiavone, Eguaglianza, una nuova visione sul filo della storia, Einaudi 2019).
Vorrei fare qualche considerazione sui temi sollevati, e partirei da una frase di Marx:
"Da ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!" (K. Marx, Critica del programma di Gotha). Una frase, quella di Marx, che scalda il cuore e ispira alti ideali!
Ben diversa quella di Smith: “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del panettiere che ci aspettiamo la nostra cena, ma dalla loro considerazione del loro stesso interesse.” Questa non scalda il cuore. Anzi, se penso a quel macellaio, lo immagino gretto, di cultura ristretta e privo di slanci ideali: una persona, per i miei gusti, assai poco attraente. Ma se il cuore sceglie di slancio la frase di Marx, la ragione, però, non può sottacere il neo che in quella pur nobile frase si cela: il sistema, basato su quei principi, non funziona!
Non funziona perché viene a mancare quella mano invisibile (il sistema dei prezzi) che connette la domanda (bisogni) con l’offerta e consente allocazioni delle risorse (quasi) (1) efficienti, e manca altresì la molla che stimola i concorrenti all’impegno e all’innovazione. Benché mossa prevalentemente da interessi gretti (2), la molla in questione svolge egregiamente un ruolo sociale nel promuovere gli operatori più efficienti, nel rimuovere quelli inefficienti e nel produrre, quindi, nuova ricchezza da ripartire; è il motore dell’economia. (3)
È opportuno però non caricare la vittoria nel mercato di significati impropri, per esempio pensando che il sistema premi il merito. Il successo sul mercato può derivare infatti da un insieme di fattori che possono generare svariate combinazioni. Ne schematizzo alcuni.
Le componenti, come si vede, sono molte (4) e il merito è solo una tra le tante (la casellina in nero) e, nella combinazione vincente, il merito potrebbe anche essere del tutto secondario se non, addirittura, assente!
Il successo di mercato poi, come la selezione naturale, premia il breve termine: se un operatore ha progetti anche straordinari ma non supera il test di breve termine, sparisce e non potremo mai godere dei benefici del suo grande progetto. (5)
Insomma, un sistema molto imperfetto …. che però ha i suoi pregi:
• Premiando il successo sul mercato, gratifica con una fetta più grossa chi risulta (comunque, merito o non merito) aver contribuito di più a far crescere la torta, e questo è assolutamente sensato.
• Funziona senza bisogno di qualcuno che tiri le fila, risolva equazioni o impartisca istruzioni.
• Stimola l’impegno e aguzza l’ingegno
• Elimina le imprese incapaci (quelle che non aggiungono valore o, addirittura, lo sottraggono)
• Non guarda in faccia a nessuno: non fa preferenze.
• Non ha bisogno di nessuno che stabilisca quali sono i bisogni delle persone (non serve quindi il “piccolo padre” di staliniana memoria). Anche qui, lo fa in modo grossolano (6), ma comunque meglio di qualunque altro sistema a me noto.
Però, sia chiaro, non valuta il merito: quello vero, non lo coglieremo mai (7) perché il mercato, per sua natura, non lo può cogliere. E del resto non è nemmeno sbagliato che il mercato premi il successo del prodotto e non il merito di chi lo produce. Un impegno, anche profuso allo spasimo, che però non si sostanzia in un prodotto di successo, non crea valore e non può ricevere premi se non a scapito di chi il valore, magari con meno merito, lo ha però comunque prodotto.
Facciamo, in proposito, un piccolo esperimento mentale. Immaginiamo che in un paese ci siano solo due ortolani. Il primo lavora alacremente, è mosso da grandi ideali (verdura fresca per la salute dei clienti e dell’umanità) ed è persona di nobili sentimenti che devolve parte dei suoi ricavi ad opere umanitarie ma, per una serie di ragioni (eventi atmosferici imprevedibili, parassiti, orto posizionato male) ha dell’insalata pessima, stenta, giallastra e tutta bucherellata, mentre l’altro, di grette ambizioni, poco amante della fatica e dedito alla crapula, non avendo subito l’aggressione di parassiti, avendo goduto di eventi atmosferici molto favorevoli e avendo ereditato un orto solatìo e ferace, ha un’insalata bella, rigogliosa e di un verde smagliante.
Voi, anche dopo aver letto gli scritti citati in apertura, da chi comprereste l’insalata?
Io immagino che, pur riservando lodi e apprezzamenti al primo, comprereste l’insalata dal secondo; se è così, questo sistema lo state sostenendo voi che pure, dopo aver letto quegli articoli, avete iniziato a considerarlo piuttosto deprecabile (8). Voi, così, senza pensarci, istintivamente, comprando una piantina d’insalata, avete scelto il sistema capitalista. Ma non sentitevi in colpa: credo abbiate fatto un’ottima scelta. Ricordo in proposito l’arguto motto di Churchill "Il vizio del capitalismo è la divisione ineguale della ricchezza; la virtù del socialismo è l'uguale condivisione della miseria".
Certo, e in questo concordo appieno con Bruni e Zamagni, è improprio parlare di merito per quell’ortolano. Se il successo sul mercato lo definiamo merito, sbagliamo e questo sbaglio può comportare conseguenze ideologiche mistificanti (9), come, ad esempio, cito la più grave, l’idea che” i ricchi sono meritevoli e i poveri sono colpevoli” venendosi così a formare la convinzione che “l’aumento indecente delle ingiustizie sociali … sono qualcosa di connaturato alla condizione umana… un male necessario per consentire di progredire” (10); conseguenza pratica: il Welfare? Un’ingiustizia nei confronti dei meritevoli!!!
Un problema di lungo termine
L’approssimazione migliore (fatti i distinguo di cui sopra) a una distribuzione del reddito che tenga conto in qualche modo anche del merito, è la concorrenza pura e perfetta. Si tratta però di un concetto ideale, ben diverso dalla realtà vera, nella quale monopoli, monopsoni, oligopoli, concorrenze monopolistiche, aziende sostenute dallo stato (con i soldi, quindi dei contribuenti (11)) intervengono a complicare il quadro e ad allontanarlo ulteriormente dal “premio al merito” di cui si parlava.
Ma qui stiamo ancora parlando di breve termine; guardiamo invece al lungo.
Qui si affaccia un problema gravissimo: la concorrenza può uccidere la concorrenza. Ad ogni passaggio nel meccanismo del mercato chi è stato premiato riparte un metro più avanti degli altri (12). Questo piccolo vantaggio, in un mondo globalizzato e a forte tecnologia digitale come il nostro (13), può accumularsi creando progressivamente un gap difficile da colmare: il successo tende a generare successo. La concorrenza, quindi, potrebbe uccidere se stessa: si potrebbero creare divari economici immensi (che è quello che sta avvenendo), potrebbe franare la classe media e queste differenze di potere finirebbero per generare non solo la fine della concorrenza ma, addirittura, la crisi della democrazia.
Cito Zamagni: “nell’accettazione acritica della meritocrazia è lo scivolamento – come Aristotele aveva chiaramente intravisto – verso forme più o meno velate di tecnocrazia oli-garchica”.
Continua Zamagni: “è certo giusto che chi merita di più ottenga di più. Ma non tanto di più da porlo in grado di influenzare le regole del gioco”.
Cosa fare allora?
Io penso che il meccanismo concorrenziale vada preservato, per lo meno finché non se ne trovi uno migliore (che però finora, su un arco di migliaia di anni, non è stato trovato). Bisogna preservarlo dalle minacce esterne e, soprattutto, preservarlo dalle sue tendenze autodistruttive.
In quest’ottica credo che una politica economica orientata (coi limiti detti) al merito dovrebbe articolarsi su alcuni capisaldi (14):
1. Tassazione progressiva su redditi/profitti (e con una base dati efficace!); altro che flat tax!
2. Tassazione progressiva sulle successioni (già gli economisti classici (tra questi, mi pare J. S. Mill) sostenevano questa misura per preservare omogeneità di basi di partenza).
3. Politica antimonopolistica e norme (e controlli) stringenti per la conservazione della concorrenza.
4. Stroncare l’economia del malaffare, che fra tutti i fattori distorsivi è, a mio avviso, il peggiore.
5. Lasciar fallire le aziende decotte (l’agonia prolungata di Alitalia (a nostre spese) mette i brividi)
6. Semplificare la burocrazia per facilitare entrate e uscite dal mercato (il fallimento, (quando non presenta dolo) in un sistema in concorrenza, succede ed ha, giustamente, le sue conseguenze; ma non deve essere un marchio infamante che impedisca a chi ha fallito di ricominciare).
7. Creare efficienza delle infrastrutture per mettere le imprese e il mercato nelle condizioni di funzionamento migliori.
8. Combattere la povertà, creando un livello minimo di reddito di cittadinanza (15) in modo che chi viene espulso dal mercato, o per demerito o per sfortuna o altro, abbia una rete di protezione (16) che gli consenta la ripresa.
9. Favorire la riqualificazione/flessibilità professionale.
E, infine, lasciar fare al mercato che non sarà capace di gestire perfettamente la giustizia sociale ma, tra tutti i meccanismi che mi possono tornare alla mente, mi pare quello che ci si avvicina di più.
Il merito nelle organizzazioni
Parlando di merito, un tema spesso citato è anche quello della meritocrazia in azienda.
Ne parla anche Bruni quando parla della Business Community e dice: “lì i meriti erano quantificabili, misurabili, ordinabili in una scala, in modo che a ciascuno andasse il suo, né più né meno”.
È opinione corrente, ma sbagliata.
Che nei convegni la Business Community, con toni trionfalistici, affermi questo, è vero, ma che nei fatti questo avvenga è ben lontano dalla realtà.
E opinione corrente è anche che la pubblica amministrazione dovrebbe copiare dalle aziende private le metodologie per la gestione del merito. E qualcosa, in questo senso, è anche stato fatto (ministro il prof. Brunetta), introducendo una sorta di Management By Objectives (MBO) nella pubblica amministrazione. Risultato: un bagno di sangue!!!
Ad evitare equivoci specificherò subito che il MBO, così come è stato interpretato nelle aziende italiane (e non solo) (17), è un pessimo sistema che con il premio al merito ha solo vaghe assonanze; un sistema che però, alle solite, è pur meglio delle routine burocratiche tradizionali (premio all’anzianità) o delle pratiche pseudofeudali (ti premio perché sei membro fedele della mia cordata!) che ancor oggi si trovano in qualche azienda.
È comunque un sistema assolutamente imperfetto che può sostenersi solo nelle aziende private perché, se il Top Management ci crede, mette in gioco soldi privati e quindi, le persone, anche se ritengono che il meccanismo sia sbagliato e i soldi, quindi, mal spesi, non hanno scuse per non allinearsi. Se però un meccanismo così approssimativo lo inseriamo in un’organizzazione pubblica, dove i soldi investiti nel MBO sono pubblici, le reazioni di rigetto (in larga parte giustificate) sono tali e tante da creare grossi imbarazzi al management o da produrre (per quieto vivere) mostri organizzativi, come quando, pochi giorni dopo l’alluvione di Genova, due dirigenti del servizio idrogeologico genovese hanno ricevuto premi per aver raggiunto i loro obiettivi (ci sarebbe da ridere ma, visto il contesto, non è il caso).
Questo per dire che, anche nelle aziende, l’aspirazione a un sistema che premi i meriti c’è, ma anche lì, nel piccolo, siamo comunque ben lontani dall’ottenere una metodologia soddisfacente.
Non posso, per ragioni di spazio, dilungarmi oltre, ma non resisto al gusto di citare, nel mio piccolo, un mio contributo in materia: “MBO, tragedia semiseria in due puntate”, pubblicato su 'Direzione del personale', settembre 2010 (18).
Per concludere
Dice Aldo Schiavone “il capitale, come il mercato, non è una forma né naturale né eterna …quando non sarà più in grado di padroneggiare la potenza produttiva e trasformatrice che esso stesso ha mobilitato ed espresso, diventerà un modo obsoleto di organizzare la creazione di ricchezza e la sua distribuzione”.
Sono del tutto d’accordo (19) ma, da un lato, dichiaro (a titolo puramente personale) di esser ben lieto di vivere in un tempo in cui è il mercato in concorrenza (sia pur non perfetta) ad orchestrare il sistema economico e nel quale, quindi, non ci sono né servi della gleba né nobili feudatari come in passato.
Quanto al futuro, non so cosa attendermi. Il mercato, oggi, in qualche modo, senza riuscirci troppo bene, cerca comunque di combinare l’uguaglianza con la libertà, ma per il futuro, che dire? Temo possano prospettarsi sistemi che, il problema di combinare i due opposti, lo risolveranno alla radice: niente uguaglianza e niente libertà! Solo tanta efficienza. Auguri ai posteri!!!
*** Ezio NARDINI, consulente, A ognuno secondo i suoi meriti?, inedito, per Mixtura.
Note: (1) 'Quasi' perché la concorrenza pura e perfetta si trova solo sui testi di scuola. - (2) Non sempre; si pensi a Adriano Olivetti o a Konosuke Matsushita. - (3) Che, come tutti i motori, presenta un difetto: inquina! Ma qui si aprono spazi per altri dibattiti. - (4) Ho tralasciato la componente malaffare, per non aprire nuovi ed impegnativi capitoli, ma è evidente che può esserci e può giocare un ruolo rilevantissimo. (5) A.C. Pigou, in The economics of welfare, parla di sistema privo di “facoltà telescopica”. - (6) Conta solo la domanda effettiva, quella che può essere pagata, non quella potenziale; non tiene conto, inoltre delle manipolazioni che possono orientare la domanda. - (7) 'Mai' è parola grossa. Non è da escludere che in futuro, con individui connessi tramite elettrodi a sistemi che misurano onde cerebrali e quant’altro, l’impegno e la dedizione possano essere misurati. Ma poi, è questo quello che serve davvero? - (8) Il che ci dice che il sistema ha radici solide e profonde. - (9) Le parole sono importanti! - (10) Stefano Zamagni, 'Corriere della Sera', 4 febbraio 2020. - (11) E anche l’economia del malaffare da il suo notevole contributo a distorcere il mercato con i suoi ingenti vantaggi competitivi. - (12) Per tante ragioni. Ha più capitale, ha accumulato competenze, ha creato relazioni …. - (13) Ricordo sempre la cosa che più mi ha colpito dell’economia digitale: i costi marginali sono decrescenti e, quindi, vi è assenza di limiti dimensionali; la globalizzazione fa il resto. Un mercato, quindi, nel quale uno vince e tutti gli altri perdono. - (14) Mi è ben chiaro che il passaggio da un mondo idealizzato al mondo reale, non è semplice e che alcuni principi che qui descrivo, potranno, nelle applicazioni concrete, trovare grosse difficoltà di applicazione. Basti pensare che, in un mondo globale, non sono del tutto libero di orientare la mia politica fiscale prescindendo da quello che fanno altri paesi. Io qui non voglio dare ricette pronte per l’uso, ma semplicemente descrivere una bussola utile per orientare la politica economica. - (15) Meglio sarebbe, a mio avviso, usare forme di tassazione negativa. E comunque, mi astengo dal giudizio sul reddito di cittadinanza realizzato qui da noi. - (16) Su questo, tengo a specificare, la misura deve essere a sostegno della vita e non dello stile di vita! Quindi: salario di sopravvivenza e uguale per tutti. - (17) Un’applicazione che è ben diversa da quella ideata da Peter Druker e George Odiorne nel 1954. - (18) Le tesi, fortemente critiche nei confronti del MBO, da me sostenute nell’articolo citato, frutto di esperienze sia come lavoratore dipendente e sia come consulente, hanno trovato autorevoli punti di sostegno nella letteratura internazionale. Cito in proposito Daniel Pink, Drive, Riverhead books,2009 e A.V. “Goals gone wild: the systematic side effects of over-prescribing goal setting”, Harvard business school 2009. - (19 La pensavano così anche gli economisti classici (per esempio, Davide Ricardo e John Stuart Mill) e l’opinione, sia pur per ragioni diverse, era condivisa anche da John Maynard Keynes.
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