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domenica 31 maggio 2015
#MOSQUITO / Iper-attivismo, combattiamolo sottraendo (Paolo Mottana)
Ad un affaccendamento forsennato, che ha perso il senso del limite, pare occorra mettere freno, e un buon sistema di elaborazione ci pare possa essere anzitutto quello interiore, o meglio ‘inferiore’, rivolto all’interiorità e profondità di ciascuno e del mondo stesso, recuperando uno sguardo più umile e devoto verso ciò che c’è, e una posizione di ‘ri-guardo’ verso modalità di esistenza che riescano nuovamente a fare spazio al silenzio, alla cura, all’attesa paziente del compiersi di ogni storia, fino ad ogni fine.
Quello che si raccomanda è la possibilità alternativa di costruire percorsi di ‘sottrazione’, itinerari di vita minori, più astenuti, più raccolti, contenuti, riflessivi, umili, e più in contatto con il mondo affettivo e immaginario, con l’oscurità del sentire che ci origina, rispetto alla dirompente e velleitaria scarica di richiami al crescere, fare, cambiare, illuminare, progredire ‘purché sia’.
*** Paolo MOTTANA, docente di filosofia dell’educazione all’università di Milano Bicocca, Miti d’oggi nell’educazione. E opportune contromisure, Franco Angeli, Milano, 2000.
In questo blog
altri 2 contributi (video) di Paolo Mottana, qui
#PAROLE DESUETE / Pusigno, pusignare
Pusigno
Sostantivo maschile, dal latino 'postcenium', composto di 'post', dopo, e 'cena', cena, modellato sul latino tardo 'antecenium', merenda, e probabilmente per traduzione del greco ἐπίδειπνον, epideipnon, dopocena.
Voce toscana e umbra, ma presente con varianti anche in dialetti settentrionali.
Piccolo pasto, per lo più di vivande ghiotte e appetitose, che si fa dopo cena, a tarda ora, fuori orario; spuntino.
Vedi anche pusignare, verbo intransitivo: fare il pusigno, spizzicare dopo cena, quando si è già sazi, ma non si sa resistere a qualche ghiottoneria.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
#VIDEO #SOCIETA' / Migranti, Sicilia (Valeria Brigida, Mario Poeta)
Il muro invisibile del canale di Sicilia
Valeria BRIGIDA, Mario POETA
'internazionale.it', 27 maggio 2015
video, 5min31
Lo scrittore Erri De Luca legge i pensieri scritti da un uomo della guardia costiera, che preferisce rimanere anonimo perché ancora impegnato in attività di soccorso. Una voce narrante che ci accompagna in un viaggio fatto di silenzi, ricordi e interrogativi di chi quotidianamente lavora nel tratto di mare che separa Italia e Africa, la frontiera più letale del mondo, dove solo nei primi cinque mesi del 2015 sono morte circa 1.750 persone.
Il canale di Sicilia diventa così una frontiera immaginaria ma reale, tracciata sulle carte dalle politiche sempre più restrittive di un’Europa che, invece di affrontare il fenomeno migratorio a partire dai contesti di origine e transito come Eritrea, Somalia, Siria e Libia, continua a discutere su come fermare i barconi, dove allestire nuovi campi profughi in Africa e come consolidare accordi di cooperazione con paesi scarsamente democratici, tra cui l’Egitto del generale Al Sisi.
E mentre a Bruxelles si discute il rafforzamento di Frontex, ogni giorno lungo questo muro invisibile si svolge l’incontro tra chi salva e chi cerca salvezza. Tra chi, anche con la fine di Mare nostrum, non ha mai smesso di soccorrere in mare e chi, pur di sfuggire a morte certa, preferisce affidarsi a scafisti senza scrupoli e imbarcazioni precarie. Un incontro spesso traumatico anche per chi salva o recupera i corpi di chi non ce l’ha fatta. (Valeria Brigida, dalla presentazione)
(Sesta puntata della serie Borderline, un viaggio in sei video sulle frontiere più usate dai migranti per entrare nei paesi europei).
#TAVOLE #LINK #LAVORO / Italia, non è certo un paese per giovani
da 'la Repubblica', 28 maggio 2015
*** Luisa GRION, L'Ocse boccia l'Italia: "E' agli ultimi posti per giovani disoccupati istruiti e competenti", 'la Repubblica', 28 maggio 2015
LINK, articolo integrale qui
Forse c'è chi 'gufa'.
Ma la realtà è 'dura'. E fa semplicemente la realtà.
I numeri, se non sono tutto, qualcosa dicono.
In questo caso, qualcosa è praticamente tutto.. (mf)
#LINK #PSY / Come la scienza spiega 7 'strani' comportamenti (Eugenio Spagnuolo)
Perché il silenzio ci imbarazza?
Perché spettegoliamo?
Perché sobbalziamo quando ci addormentiamo?
Perché ci dimentichiamo di sotituire il rotolo di carta igienica?
Perché ridiamo nei momenti meno opportuni?
Perché ci affascinano i killer psicopatici?
Perché ci piacciono i film tristi?
*** Eugenio SPAGNUOLO, giornalista, 'focus.it', 23 maggio 2015
LINK, articolo integrale qui
Perché spettegoliamo?
Perché sobbalziamo quando ci addormentiamo?
Perché ci dimentichiamo di sotituire il rotolo di carta igienica?
Perché ridiamo nei momenti meno opportuni?
Perché ci affascinano i killer psicopatici?
Perché ci piacciono i film tristi?
*** Eugenio SPAGNUOLO, giornalista, 'focus.it', 23 maggio 2015
LINK, articolo integrale qui
#FOTO / Paesaggio contemporaneo (Olivo Barbieri)
Paesaggio contemporaneo
Olivo BARBIERI, 1954, Maxxi, Roma
12 foto, 'internazionale.it', 26 maggio 2015
Dalla presentazione:
«
Il Maxxi di Roma presenta la prima grande retrospettiva su Olivo Barbieri (Carpi, 1954), uno dei più importanti fotografi italiani contemporanei.
Per la mostra, curata da Francesca Fabiani, sono state selezionate più di cento opere, tra fotografie, film e altri materiali, dagli anni settanta a oggi, che ci guidano nella visione di Barbieri sul paesaggio italiano, sul crollo della modernità, sulla globalizzazione in Cina e in estremo oriente, sulle città e sul rapporto con la natura. Temi che accompagnano tutta la carriera del fotografo, impegnato da quarant’anni in una ricerca sulla capacità di vedere e interpretare la realtà. Le narrazioni di Barbieri mettono in crisi le modalità più normali della rappresentazione e intraprendono invece dei continui esperimenti percettivi.
Le opere sono allestite in un percorso diviso in sette sezioni, da Images (1977-2007) e Viaggio in Italia (1980-1983) fino ai più recenti Site specific (2003-2013) e Park (2014).
La mostra comincerà il 29 maggio e resterà aperta fino al 15 novembre 2015.
»
#SGUARDI POIETICI / Vorrei (M. Ferrario)
Vorrei che questo mio giorno
fosse appeso fresco di bucato
e si gonfiasse di vento
come il lenzuolo bianco sul terrazzo.
E non fosse il maglione
annodato e infeltrito
dimenticato nel catino:
tra un po’ buttato.
*** Massimo Ferrario, Vorrei, agosto-ottobre 2000, inedito.
fosse appeso fresco di bucato
e si gonfiasse di vento
come il lenzuolo bianco sul terrazzo.
E non fosse il maglione
annodato e infeltrito
dimenticato nel catino:
tra un po’ buttato.
*** Massimo Ferrario, Vorrei, agosto-ottobre 2000, inedito.
#MOSQUITO / Religione disorganizzata e cazzeggio (Kurt Vonnegut)
Non so voi ma io pratico una religione disorganizzata. Appartengo a un empio disordine. Ci chiamiamo Nostra Signora della Perpetua Meraviglia.
(...)
Le comunità virtuali non costruiscono nulla. Non ti resta niente in mano. Gli uomini sono animali fatti per danzare. Quant'è bello alzarsi, uscire di casa e fare qualcosa. Siamo qui sulla Terra per andare in giro a cazzeggiare. Non date retta a chi dice altrimenti.
*** Kurt VONNEGUT, 1922-2007, scrittore e saggista statunitense, Un uomo senza patria, 2005, Minimum fax, 2006
sabato 30 maggio 2015
#LINK #SOCIETA' / Migranti, ma lo schiavismo non c'entra (Giovanni De Mauro)
Nei mesi passati molti hanno usato la parola “schiavismo” parlando dei migranti che cercano di raggiungere le coste europee. Riferendosi alle persone che trasportano i migranti sulle barche, Matteo Renzi ha scritto: “I trafficanti di esseri umani sono gli schiavisti del ventunesimo secolo”.
Ma è falso, dicono in una lettera uscita su OpenDemocracy (...) 310 studiosi di migrazioni e schiavismo che lavorano nelle università di mezzo mondo: gli schiavi africani non volevano lasciare la loro terra, mentre le persone che oggi si imbarcano per l’Europa vogliono andar via, e se potessero entrare liberamente prenderebbero voli low cost, decisamente più economici e sicuri delle traversate in mare.
*** Giovanni DE MAURO, giornalista, direttopre di 'Internazionale', Il Movimento del XXI secolo, 'Iinternazionale', 29 maggio 2015
Link, articolo integrale qui
#MOSQUITO / Italia, ti fregano anche gli slip (Massimo Fini)
Siamo un paese maleducato. Le persone si fanno continuamente sgarbi senza neanche rendersene conto, non esiste il rispetto dell'altro. Vedo molta mancanza di dignità, gente che si vende per niente. Se tu sei in uno stato di necessità e rubi, ti può essere perdonato. Ma non si può sputtanarsi per i cioccolatini o i boxer, e penso agli scandali dei consigli regionali. Una cosa che però si riverbera anche fuori dalla politica per cui se tu vai in piscina, ti fregano un paio di slip. Sporchi.
*** Massimo FINI, 1943, giornalista e saggista, direttore di ‘La voce del Ribelle on line’, intervistato da Silvia Truzzi, giornalista, «Il calcio con B, il poker con Gardini e l’Italia che ruba anche le mutande», ‘Il Fatto Quotidiano’, 21 dicembre 2014
#FAVOLE & RACCONTI / L'apprendimento (M. Ferrario)
Come tutti gli anni, appena finita la scuola, Piccolo Uomo era corso dal Grande Vecchio delle Montagne, per passare con lui buona parte delle vacanze estive.
Attendeva questo momento dall’estate precedente. I suoi genitori, un tempo, erano un po’ gelosi del suo affetto esclusivo per l’uomo della montagna. Poi però avevano capito e avevano imparato a godere con lui dell’amicizia, vera e profonda, che lo legava al Grande Vecchio.
Piccolo Uomo, su tra le cime innevate dei monti e nei boschi profumati di muschio, aveva scoperto di poter essere felice: di giorno, apprendeva da Grande Vecchio i segreti della natura – il linguaggio delle pietre, le voci delle piante, i sentimenti degli animali; e la sera, nella capanna, davanti al fuoco del camino, ascoltava rapito la storia del mondo – i racconti fantastici, e sempre veri, dell’uomo e delle cose.
Da due giorni, tuttavia, Piccolo Uomo era taciturno. Grande Vecchio sentiva che il suo silenzio era gravido di qualche preoccupazione e perciò lo rispettava, manifestando attenzione e discrezione insieme. Immaginava che prima o poi Piccolo Uomo si sarebbe confidato, ma desiderava che fosse lui a scegliere tempi e modi.
Finalmente, Piccolo Uomo si aprì.
#MOSQUITO / Autenticità, non c'entrano le tecniche (D. Stone, B. Patton, S. Heen)
Decine e decine di laboratori e di libri sull’’ascolto attivo’ insegnano che cosa ‘fare’ per essere un buon ascoltatore. (...)
Il problema è questo: quei libri e quei corsi insegnano cosa dire e che atteggiamento avere, ma il cuore di un buon ascolto è l’autenticità. La gente ‘legge’ non solo le parole e l’atteggiamento fisico, ma anche quello che accade dentro di te. Se la tua ‘posizione’ non è autentica, le parole non contano. Ciò che sarà comunicato quasi invariabilmente è se tu sei genuinamente curioso, se tu tieni all’altra persona. Se le tue intenzioni sono false, non c’è quantità di frasi studiate né buon atteggiamento esteriore che tenga.
***Douglas STONE, Bruce PATTON e Sheila HEEN, statunitensi, docenti all’Harvard Law School e all’Harvard Negotiation Project, Conversazioni difficili, 1999, Baldini & Castoldi, Milano, 2000.
#PAROLE DESUETE / Tetragono
Tetragono
sostantivo maschile, dal greco 'tetra', quattro, e 'gonos', angolo
(1) - In geometria, sinonimo raro di quadrangolo e, in passato, anche di parallelepipedo rettangolo e di cubo.
(2) - In botanica (solo come aggettivo), si dice di fusto o di altro organo allungato che presenta quattro spigoli (come nelle labiate)
(3) - In senso figurato, e soprattutto con riferimento alla figura cubica cui la parola tetragono rimandava anticamente: persona ferma, costante, resistente a ogni urto e contrarietà; irremovibile, radicata nelle sue idee e nei suoi valori; quindi, nel suo significato più negativo, persona rigida, bloccata, ostile a qualunque cambiamento
In questa accezione 'tetragono' è affine a 'quadrato': la differenza sta che col primo termine si evoca un certo spessore della persona, mentre col secondo termine si allude alla sua piattezza.
#RITAGLI #SOCIETA' #LINK / Burocrazia scolastica: da non credere (Ernesto Galli della Loggia)
«Circolare n. 44. Oggetto: circolazione circolari. Sono state presentate alcune rimostranze da parte di genitori dell’alberghiero e dei loro rappresentanza (sic!) riguarda (sic!) la mancata circolazione di alcune circolari. Si raccomanda di far circolare per le classi agli (sic!) studenti tutte le circolari e di farle ricircolare per le classi uscite prima (sic!).
Si raccomando (sic!) di mantenere un flusso continuo di circolazione e di ricircolazione delle circolari anche con l’ausilio attivo e fattivo all’ (sic!) istituto alberghiero degli studenti di accoglienza turistica» .
Questo è un testo ufficiale redatto e firmato da un dirigente scolastico della sgrammatica Repubblica italiana. (...)
*** Ernesto GALLI DELLA LOGGIA, 1942, storico, giornalista, saggista, «La circolare delle circolari»: fatele circolare, 'corriere.it', 29 maggio 2015
https://it.wikipedia.org/wiki/Ernesto_Galli_della_LoggiaLINK, articolo integrale qui
venerdì 29 maggio 2015
#VIGNETTE / Altan, Biani, Ebert, Magnasciutti, Natangelo
ALTAN
Sensazioni, 'L'Espresso', 4 giugno 2015
° ° °
Mauro BIANI
Berlusconi da Fazio, blog 'maurobiani', 25 maggio 2015
° ° °
EBERT
La sinistra possibile, blog 'ebert', 25 maggio 2015
° ° °
Fabio MAGNASCIUTTI
Meno male che c'è l'Expo, blog 'fabiomagnasciutti', 27 maggio 2015
° ° °
Mauro BIANI
Non è razzismo, 'il manifesto', 29 maggio 2015
° ° °
Mauro BIANI
Nozze gay, blog 'maurobiani', 27 maggio 2015
° ° °
NATANGELO
Prossima cazzata, 'Il Fatto Quotidiano', 26 maggio 2015
#LIBRI PREZIOSI / Babel, di Zygmunt Bauman e Ezio Mauro (recensione di M. Ferrario)
Zygmunt BAUMAN e Ezio MAURO, "Babel", Laterza, 2015
160 pagine, € 16,00, ebook € 9,99
Uno scambio a due sui temi di fondo della società attuale: da una parte uno dei massimi sociologi dei nostri tempi, Zygmunt Bauman; dall'altra, il direttore di 'Repubblica', che dimostra di saper maneggiare alla pari con l'interlocutore, con competenza e vivacità di stile espressivo, la complessità dei problemi.
Una conversazione di alto livello, approfondita, ampia e senza pietà: che lancia domande sulla nostra democrazia all'epoca della globalizzazione e della internettizzazione invadente, dell'indebolimento delle sovranità nazionali, della de-responsabilizzazione crescente dei cittadini, del ruolo della stampa nel cercare di restituire al flusso informativo in cui siamo immersi un quadro interpretativo che collochi i fatti nel contesto, dando loro un 'senso': nella duplice accezione di 'significato' e 'direzione'.
Due punti di vista che si integrano, rilanciandosi con abilità la palla e rinforzando i reciproci pensieri. Riferimenti storici puntuali, rimandi concettuali frequenti a sociologi e politologi, presenti e passati, citazioni note e meno note: tutto serve per scavare il presente, problematizzando le questioni che toccano l'esigenza di un nuovo 'con-vivere', meno passivo, rassegnato e assente, ma finalmente padroneggiato da tutti noi, singoli e gruppi, non più sudditi.
Spesso l'analisi sembra portare a una conclusione senza scampo. Siamo nelle mani di un mondo che ci sovrasta e determina: sballottolati dalle ondate, possiamo solo attendere un annegamento che sembra ineluttabile. Ma ambedue gli interlocutori mantengono aperto almeno uno spiraglio di speranza, intravvedendo, tutto sommato e ancora, una volontà e una possibilità di autodeterminazione. Come afferma Ezio Mauro, nelle pagine finali: «Vale la pena di rifarsi ad un passaggio fondamentale del Maestro e Margherita, che durante la dittatura sovietica veniva letto in Russia come una profezia, nonostante tutto: nonostante il peso della realtà, i rapporti di forza, il dominio di un potere costruito per resistere nell’eternità: "Tutto può ancora accadere, perché nulla può durare per sempre". Questa frase di Bulgakov basta per schiudere l’orizzonte.»
Anch'io vorrei che questa frase bastasse a 'schiudere l'orizzonte'. Anche se devo confessare che la mia personale 'speranza', se era 'disperante' prima della lettura di questo bel saggio, ha qualche ragione in più per essere al lumicino. Ma forse, dati i tempi, dobbiamo accontentarci del lumicino, pur timido e tremolante. E del resto, finché ci saranno persone che sanno 'pensare' come i due interlocutori del libro e non smettono di farlo, con inquietudine testarda per poter davvero 'intelligere' (secondo l'etimologia che richiama il saper 'cogliere i nessi'), non tutto è perso.
Almeno ad una condizione, però, ovviamente: che i due non rimangano due.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
«
Come Richard Sennett ha suggerito di recente, un dialogo che voglia favorire una coabitazione reciprocamente benefica che aiuti a eludere i trabocchetti della prossimità delle differenze dev’essere, nella sua disposizione di fondo, informale, aperto e cooperativo (come opposto di contestativo o combattivo). Informale: dev’essere avviato senza un’agenda predeterminata e regole procedurali, con la speranza che l’una e le altre emergano nel corso del dialogo stesso. Aperto: dev’essere avviato con la volontà da parte di ognuno di assumere il ruolo di discenti oltre a quello di docenti, accettando così la possibilità di scoprirsi sul versante dell’errore. Cooperativo: dev’essere considerato come un gioco a somma più che zero, poiché il suo scopo non dev’essere di dividere i partecipanti in vincenti e perdenti, ma di permettere a ognuno di venirne fuori arricchito di conoscenza e sapienza.
La formula di Sennett è una cosa tutt’altro che facile nell’applicazione concreta; non è assicurata contro gli errori di conduzione e il suo successo non è affatto garantito. Ma date le condizioni, che noi non abbiamo scelto, l’opzione di quella formula e il serio tentativo di farla funzionare è ciò che può fare la differenza sul lungo termine fra il sopravvivere insieme e il perire insieme. Ed è anche, comunque, la prima vocazione, dovere e responsabilità di tutti e singoli i cittadini di un paese democratico. (Zygmunt Bauman, Babel)
In realtà anche la parola viene sempre più spesso ridotta a segno, o almeno a segnale: pensa all’abuso di acronimi. Se ieri il medium era il messaggio, ora il medium può fare a meno del messaggio. I ragazzi si scambiano col cellulare segnali vuoti per salutare, sollecitare, confermare, e l’impulso riassume definitivamente la parola e il vuoto, sostituendoli. D’altra parte se la tua identità è quella di un punto in una rete e il tuo sistema è fatto di nodi, la questione vitale diventa quella di pulsare, partecipare al grande battito più che al vecchio dibattito, non perdere il ritmo, non uscire dal cerchio. Sentire è necessario più che capire, è una facoltà e non uno sforzo. Al centro della rete – ognuno è al centro e alla periferia del web – io vivo connesso alle emozioni altrui, alle sensazioni degli amici, alle reazioni di sconosciuti, alle informazioni del flusso, alle selezioni prodotte dai social network, alla «folla delle impressioni vaganti e volatili», come dici tu. Io sento, dunque sono. Io sono in rete, dunque sento. (Ezio Mauro, Babel)
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#VIDEO #SOCIETA' #SPILLI / L'operaio e la 'poesia' letta a Renzi
Una poesia dell'operaio di Marchionne a Renzi
'ilfattoquotidiano.it', 28 maggio 2015
video, 2min03
Durante la visita di Renzi allo stabilimento di Melfi, un operaio legge una sua 'poesia' che inneggia alla Fiat. E conclude con un inno a Renzi.
Un tempo la classe operaia sperava di andare in paradiso.
Ora si limita a strusciarsi addosso a chi vende paradisi.
Tristezza. E molta amarezza.
Come sempre, quando non si sa più cosa sia 'dignità'. (mf)
#RITAGLI #LINK #POLITICA / Ma il 'Possibile' di Civati è fermo e immoile (Giovanna Cosenza)
La differenza fra lo Yes, we can di Obama e il Si può fare di Veltroni era già abissale nel 2008. E lo è tuttora, ovviamente. Yes, we can infatti, con lo yes iniziale, afferma in modo perentorio un potere che è anzitutto una capacità, un saper fare, perché in inglese we can vuol dire noi possiamo, ma anche noi sappiamo fare, siamo capaci di fare. Per di più il noi inclusivo – prima persona plurale – ci coinvolge direttamente, ci chiama a condividere la capacità, il sapere, la possibilità a cui lo slogan si riferisce: noi, tutti insieme, possiamo farcela (il che è rimasto nel Podemos spagnolo). Si può fare invece è in terza persona, cioè scarica su altri – all’italiana – l’onere del fare ed è per giunta impersonale, cioè lascia indefinito chi mai possano essere gli altri che dovrebbero fare le cose al posto nostro; inoltre Si può fare non afferma un bel niente, perché il può indica solo una possibilità vaga e generica; infine ricorda molto il sepoffà romanesco, tipico di certi malaffari di corridoio, il che non andava bene nel 2008 e va ancora meno bene oggi.
Ebbene, il Possibile dei civatiani va anche oltre il Si può fare veltroniano, nel senso che è ancora più impersonale, ancora più astratto, ancora più vago: sparito il soggetto dell’azione (non c’è il noi, ma nemmeno il si impersonale), sparita l’azione (non c’è il verbo), sparita la sensazione di essere sul punto di, essere all’inizio di, che si avvertiva nel Si può fare (i linguisti la chiamano incoatività), il Possibile civatiano è fermo, immobile. In più, le due barre bianche orizzontali, che dovrebbero significare uguaglianza, parità, inserite dentro al cerchio rosaranciolillà ricordano pericolosamente un segnale stradale, no peggio, un divieto stradale. Fermo e vietato, dunque. (...)
*** Giovanna COSENZA, docente di semiotica, Il ‘Possibile’ di Civati: è chiaro da dove viene, ma dove va?, blog 'ilfattoquotidiano.it', 28 maggio 2015
LINK, articolo integrale qui
#VIDEO #PUBBLICITA' / Cosavedi by desigual (Winnie Harlow)
#Cosavedi by Desigual - Campagna 2015
modella-testimonial Winnie Harlow (1984)
video, 0min42
Scrive Francesco Cardinali, pubblicitario, direttore creativo, Il bello di non essere uguali, rubrica 'dentro lo spot', 'Mente & Cervello', giugno 2015:
«
E' il video della campagna 2015 del marchio Desigual, contrassegnata dall'hashtag #cosavedi e interpretata dalla inconfondibile modella canadese Winnie Harlow, divenuta famosa, oltre che per la sua bellezza, anche grazie alla vitiligine, una malattia della pelle resa in lei ancor più evidente dalle sue origini giamaicane. Una testimonial, perché è di questo che si tratta, insolita, unica, atipica e, soprattutto perfetta per la «visione» di Desigual.
In uno spot che merita più di un plauso perché segna un'evoluzione valoriale in piena coerenza con i temi della diversità e della multiformità che caratterizzano da sempre le collezioni del brand. Come ha acutamente osservato la semiologa Giovanna Cosenza in una sua analisi, «questa volta Desigual non gioca a creare scandalo per attirare l'attenzione sul marchio, ma cavalca il tema dell'accettazione e valorizzazione del corpo femminile cosi com'è, anche nelle imperfezioni che rendono unica ogni donna». Bingo.
»
#RITAGLI #LINK #SOCIETA' / Giappone, i giovani si suicidano (Pio d'Emilia)
Per il terzo anno consecutivo, esattamente da quando il numero totale ha cominciato a calare, il suicidio è la prima causa di morte tra i giovani giapponesi compresi nella fascia d’età tra i 15 ed i 24 anni. Si tratta di un “record”, se così vogliamo chiamarlo, assoluto: in tutti gli altri paesi del mondo industrializzato i giovani di quell’età perdono la vita per un’altra causa, gli incidenti stradali. (...)
Mentre il numero complessivo dei suicidi è calato, negli ultimi tre anni, da 40 a 31 ogni 100 mila abitanti, quello relativo ai giovani è balzato da 14 a 23, un aumento pari quasi al 50%. E non pensiate che c’entri Fukushima e la relativa emergenza nucleare. Anche in quella “zona” i suicidi purtroppo ci sono, ma riguardano soprattutto gli anziani. Non i giovani, che da quella zona maledetta se ne sono già andati e, purtroppo per loro, probabilmente mai ci ritorneranno.
Ma perché – aldilà del contesto etico che in un Giappone “laico” considera il suicidio un’opzione più che accettabile – i giovani giapponesi si tolgono la vita? Il fenomeno, che anziché essere pubblicamente discusso continua ad essere volutamente sottovalutato (sia a livello governativo che scolastico e familiare) era stato previsto già qualche anno fa da Noritoshi Furuichi, un autorevole sociologo la cui parabola mediatica è stata inversamente proporzionale al suo successo editoriale. Quando nessuno lo conosceva, lo si vedeva sempre in tv, poi, appena pubblicato il suo controverso saggio Zetsubo no kuni no kofuku na wakamonotachi (“La gioventù felice di un paese disperato”) è sparito. Ma quello che ha scritto nell’oramai “lontano” 2011, resta drammaticamente attuale.
«I nostri giovani sono tra i più felici al mondo. Mai stati così felici. Non troveranno, anche se pochi lo sanno e se ne preoccupano, mai più un lavoro fisso, né potranno contare su una pensione. Ma se ne fregano. Iperprotetti dalla ricchezza accumulata dai loro genitori e dai loro sensi di colpa che ne hanno allentato, fino ad eliminare, ogni tentativo di imporre una leadership etica e morale, facilitati dalla deflazione che rende facilmente accessibile cibo, vestiario e divertimenti vari, e immersi nel mondo virtuale di internet che soddisfa, senza esporli a rischi che non vogliono e non potrebbero sopportare, ogni esigenza di “intrattenimento” passivo, arrivano al capolinea più in fretta dei loro coetanei nelle altre parti del mondo. Molti si fermano. Molti cercano di tornare indietro. Ma molti si tolgono la vita». (...)
*** Pio d'EMILIA, giornalista ed esperto di Giappone, Giappone, suicidi prima causa di morte tra under 24: ‘Giovani soli e abbandonati’, blog 'ilfattoquotidiano.it', 28 maggio 2015
LINK, articolo integrale qui
#LIBRI PREZIOSI / "Il dono della terapia", di Irvin D. Yalom (recensione di M. Ferrario)
Irvin D. YALOM, "Il dono della terapia", 2002, Neri Pozza, 2014
traduzione di Paola Costa
pagine 302, € 17.00, ebook € 8,99
Irvin D. Yalom è uno psicoterapeuta statunitense ormai ottantenne, che pur rifiutando di essere rinchiuso dentro definizioni ingabbianti, rivela una matrice umanistica e un'impostazione 'clinica' che lo hanno reso assai noto, in patria e fuori, fra gli addetti ai lavori.
Il libro, pubblicato in Italia nel 2014, risale a una decina di anni fa, ma, oltre che conservare freschezza e attualità, contiene un capitolo finale di aggiornamento assai illuminante per alcune precisazioni fornite anche a seguito dei progressi delle neuroscienze.
Il tema è il mestiere dell'autore, che si rivolge a pazienti e colleghi (ma soprattutto a colleghi, e in particolare giovani nella professione) con l'intento di trasmettere alcuni 'segreti' dell''arte' della terapia, più volte sperimentati e ritenuti efficaci nel corso della sua ricca e lunga esperienza. Lo fa in modo semplice e chiaro, oltre che sereno e appassionato, privilegiando gli esempi alla teoria, ma senza cadere nel frequente e facile semplicismo, tipicamente americano, che riduce la complessità (specie dell'animo umano) a banali ricettari comportamentistici.
Il risultato è una lettura che non ha nulla del saggio astratto e freddo e ha molto invece del racconto caldo e curioso; con ciò confermando, peraltro, le eccellenti doti di Yalom pure come scrittore affermato di romanzi, a sfondo psicologico-filosofico.
Il libro, benché lo stesso autore dichiari di voler indirizzare 'il dono della terapia' anche ai pazienti, è sicuramente per addetti; o quanto meno per chi abbia una certa sensibilità psicologica, unita a una competenza di base nel campo, e manifesti quindi un interesse non superficiale a problematizzare e approfondire le questioni specifiche del mestiere di terapeuta.
In quest'ottica mi pare che ogni pagina sia davvero preziosa: se sappiamo che l'esperienza, per definizione, non è trasmissibile, ma ognuno se la deve costruire da sé, avere comunque una guida intelligente che offre spunti concreti, argomentati e 'validati', su cui riflettere, costituisce un aiuto raro e quanto mai da apprezzare.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Alcuni decenni fa mi occupai di una paziente con un cancro al seno che, durante tutta l’adolescenza, era rimasta incatenata a una lunga e amara lotta con il padre, che la ostacolava continuamente. Desiderando ardentemente una qualche forma di riconciliazione, un nuovo inizio per il loro rapporto, aveva aspettato con ansia il momento in cui suo padre l’avrebbe accompagnata all’università in macchina – un’occasione in cui sarebbe stata sola con lui per parecchie ore. Ma il viaggio tanto agognato risultò un disastro: suo padre si comportò come sempre, borbottando continuamente su un brutto ruscello disseminato di immondizia a lato della strada. Lei, invece, non vedeva immondizia di sorta in quel corso d’acqua bello, agreste, incontaminato. Non riuscì a trovare un modo per ribattere e alla fine, sprofondati nel silenzio, passarono il resto del viaggio senza scambiarsi nemmeno uno sguardo.
In seguito lei fece lo stesso viaggio da sola e fu stupita di accorgersi che c’erano due corsi d’acqua, uno su ciascun lato della strada.
«Questa volta ero io che guidavo» disse con tristezza, «e il corso d’acqua che vedevo dal mio finestrino, dal lato del guidatore, era proprio brutto e inquinato come mio padre lo aveva descritto». Ma nel momento in cui aveva imparato a guardare dalla finestra di suo padre era troppo tardi – l’uomo era ormai morto e sepolto.
Questa storia mi è rimasta dentro, e in molte occasioni ho ricordato a me stesso e ai miei studenti: «Guardate dal finestrino dell’altro. Cercate di vedere il mondo come lo vede il vostro paziente». La donna che mi raccontò la storia morì poco tempo dopo per il cancro al seno, e mi dispiace di non averle potuto dire quanto la sua storia sia stata utile negli anni a me, ai miei studenti e a molti pazienti. (Irvin D. Yalom, Il dono della terapia, Neri Pozza, 2014)
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In Mixtura i contributi di Irvin D. Yalom qui
In Mixtura arl delle mie recensioni di #LibriPreziosi qui
#PAROLE DESUETE / Tinnito
Tinnito
sostantivo maschile, dal latino 'tinnitus -us', derivato da 'tinnire', tinnire, tintinnare, risuonare, squillare.
(a) - In senso proprio: tintinnio, serie di suoni brevi e squillanti.
Esempio: «Si sentì la campana di Badia. Era nel cielo un pallido tinnito» (Giovanni Pascoli).
(b) - In medicina: 'tinnitus' o 'acufene' (dal greco: 'akouein', sentire e 'pheneim', sembrare) si riferisce al fenomeno patologico di chi sente, in una o in entrambe le orecchie, dei brusii o fischi costanti, in assenza di qualsiasi fonte sonora nell'ambiente circostante. Si tratta di una percezione che può variare per intensità, tonalità e tempo da un individuo all'altro.
#LINK #IMPRESA E SOCIETA' / Istigazione alla delocalizzazione (Vito Gulli)
Nel mercato la vera democrazia è l'equilibrio tra produzione e consumo purché tutto si realizzi sullo stesso territorio
Non credo si debba essere né grandi economisti, né grandi sociologi per capire che la disgregazione economica del nostro Paese nasce e si sviluppi fin dalle prime delocalizzazioni, iniziate purtroppo molti anni fa. (...)
Ma siamo proprio sicuri che migliorino davvero le condizioni delle popolazioni in quei paesi dove si tende a produrre di più, là dove ci porta il costo basso con salari da 0.2 dollari all’ora? O invece non si arricchiranno ancor di più i soliti noti? (...)
Ma come si fa a pensare che andiamo tutti là, a produrre a costi più bassi (tralasciamo per ora la qualità). Tutti là per poi vendere qua: ma non ci siamo mai chiesti a chi potremmo vendere, a quel punto, se abbiamo licenziato tutti. Davvero difficile pensare che non riescano a capirlo.
Certo se si è un manager da multinazionale legato a bonus di breve periodo, allora vale il prendo e scappo e il problema non è più mio.
*** Vito GULLI, imprenditore di matrice umanista, Istigazione alla delocalizzazione, 'senzafiltro, 28 maggio 2015
LINK, articolo integrale qui
giovedì 28 maggio 2015
#LINK #LAVORO / Ritorno ad antichi mestieri (Raffaella Giuri)
Qualche volta più che tornare sui propri passi è importante tornare sui passi di qualcun altro, che ci ha preceduto e che aveva capito il valore del talento nelle proprie mani
La maestria non basta per sopravvivere in un mercato bramoso di avere tutto al minor prezzo possibile e che non vuole promuove la cultura del valore e il gusto di aspettare per veder nascere qualcosa di unico.
La crisi globale, poi, ha inferto un colpo micidiale al creatore di manufatti: il tasso di mortalità delle imprese artigiane è cresciuto a ritmi esponenziali negli ultimi anni, mentre le nuove iniziative diminuiscono per mancanza di risorse e per incapacità di uscire dal proprio piccolo centro e farsi conoscere e apprezzare.
Ma c’è chi non si arrende e senza confidare in aiuti dall’alto va avanti a testa bassa, umilmente, ma orgogliosamente. (...)
Jean Baudrillard diceva: «La fascinazione dell’oggetto artigiano deriva dal fatto che è passato per le mani di qualcuno che vi ha lasciato un segno del suo lavoro; è la fascinazione di ciò che è stato ‘creato’ e che per questo è unico, dal momento che il ‘momento’ della creazione è irripetibile».
*** Raffaella GIURI, giornalista, Il ritorno ad antichi mestieri, 'senzafiltro', 27 maggio 2015
LINK, articolo integrale qui
#FOTO #LINK / Nuova specie umana?
*** Reuters, Etiopia, trovati i resti di una nuova specie umana, repubblica.it, 28 maggio 2015
LINK, altre 4 foto qui
Una nuova specie di uomo preistorico è stata scoperta nella regione di Afar in Etiopia.
Come riportano alcuni ricercatori, sono stati rinvenuti ossa e denti risalenti a circa 3,3 e 3,5 milioni di anni fa.
Questa scoperta, pubblicata sulla rivista 'Nature', cambierebbe l'intera teoria sull'evoluzione umana.
La nuova specie è stata chiamata Australopithecus deyiremeda. Nome che, nella lingua etiope, significa "parente vicino".
I resti apparterrebbero a quattro individui che avrebbero avuto aspetto e abilità molto simili agli esseri umani. Il capo della squadra dei ricercatori, Yohannes Haile-Selassie, curatore del reparto di Fisica antropologica del Museo di Cleveland negli Stati Uniti, ha detto alla Bbc di aver trovato, dopo dettagliata analisi, molte differenze nella conformazione dei reperti rispetto a quelli degli uomini preistorici già noti, come ad esempio una maggior robustezza della dentatura.
Questo potrebbe essere un nuovo tassello a favore della teoria che vuole in principio quattro diverse specie umane presenti sulla Terra contemporaneamente. (dalla presentazione di 'repubblica.it')
#VIDEO / Roma, vigili fermano il traffico per far passare le papere
Roma, i vigili fermano il traffico per far passano le papere
repubblica.it, 28 maggio 2015
video, 1min00
Dal video di presentazione:
Curiosa scena nel centro di Roma: i vigili urbani hanno fermato il traffico per permettere l'attraversamento di una germano femmina e dei suoi 8 pulcini. Il video, postato su Facebook, ha raggiunto in poche ore migliaia di visualizzazioni
Immagini Facebook/Caterina Lucia Costa - (a cura di Federico Pallone)
#PAROLE DESUETE / Spollaiarsi
Spollaiarsi
Verbo riflessivo, derivato di 'appollaiarsi', con sostituzione di prefisso
(a) - In senso letterale. Con riferimento a polli e altri volatili: scuotere, ravviare le penne, specialmente uscendo dal pollaio; smettere di stare appollaiato; muoversi scuotendo energicamente le penne
(b) - In senso figurato scherzoso: distogliersi da un’occupazione, da un’attività; darsi da fare per farsi notare, mettersi in mostra.
Esempio: 'non mi sono spollaiato dalla scrivania per tutto il pomeriggio'; 'smettila di spollaiarti, tanto quella ragazza non ti guarda neppure!'.
Talvolta anche con uso transitivo.
Esempio: 'proviamo a spollaiarlo da casa, a farlo uscire';
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
#ARK #IMPRESA & SOCIETA' / Mentore e rapporto di mentorato, 1995 (M. Ferrario)
Ancora un testo recuperato dal mio archivio: che ripropongo tale e quale, a parte due righe obsolete , tagliate all'inizio, che riguardavano il mio curriculo lavorativo.
Si tratta di un piccolo 'saggio' di vent'anni fa (1995) e indaga una delle figure di aiuto allo sviluppo (più 'umano' che 'professionale') già contenute nella mappa che avevo 'disegnato' in una pubblicazione dell'epoca (e riprodotta in questo blog qui)
La figura è quella del mèntore: termine, e funzione, ormai conosciuti e affermati anche in Italia sotto la solita 'spinta' (purtroppo sempre troppo 'modaiola') prodotta dalla cultura manageriale anglosassone. Naturalmente l'accezione di mèntore oggi prevalsa, almeno nelle prassi (benché sempre più decantate che realmente diffuse) delle organizzazioni di lavoro e delle imprese multinazionali in particolare, ha un'impronta più pragmatico-organizzativa che esistenzial-umanistica. E, forse anche per questo, quanto qui scrivevo nel tratteggiare il modello, assai diverso, cui io invece faccio riferimento, può avere tuttora senso: per indicare che 'un altro modo', almeno in teoria, esiste.
Rileggendo il testo a distanza di un ventennio anche stavolta ho provato una duplice sensazione.
Da una parte, mi ritrovo, senza titubanze, a 'sentire' come tuttora più che valida l'impostazione 'teorica' qui descritta.
Ma, dall'altra parte, devo ammettere che l'analisi di quello stato socio-culturale di metà anni 90, che, mentre dichiaravo non dei più felici per poter applicare il modello, pure intravvedevo al contempo qui e là 'screpolato' e potenzialmente 'aperto' a cambiamenti migliorativi, peccava (e molto) di 'wishful thinking'.
Mi pare indubitabile che alcuni segnali già allora valutati 'negativi' si siano oggi pesantemente rafforzati. Come ad esempio: l'opacità dell''individuo' in quanto tale, sempre più 'mangiato' e 'intruppato' dalla dimensione conformistica della 'gente'; la debolezza del codice 'fraterno' , contro l'affermazione invadente di una relazionalità sempre più giocata in chiave 'top-down'; la carenza di 'tempo' e l'impazienza nei 'tempi' con cui agiamo, con la conseguente 'frenesia da prestazione subito' che rappresenta ormai una nostra sindrome conclamata.
Il testo, come dice la nota in calce, riprende un intervento discusso con universitari dell'istituto di pedagogia dell'università statale di Milano, nel febbraio 1995, nell'ambito di un seminario, appunto sul 'mèntore', coordinato da Paolo Mottana, docente di filosofia dell'educazione.
Il libro in cui è stato successivamente inserito, sempre curato da Paolo Mottana, edito da Clueb, è ormai difficilmente reperibile anche per la messa in liquidazione, dal 2014, dell'editore.
Segnalo, oltre all'autorevolezza dei contributori cui sono stato affiancato (Delia Duccoli, Duccio Demetrio, Costanza Sorrenti, Angelo Franza, Riccardo Massa, Antonio Prete, don Gino Rigoldi), la qualità del saggio introduttivo del curatore: uno dei più intelligenti e critici pedagogisti italiani, oggi coordinatore di un indirizzo - la 'pedagogia immaginale' - 'potente' nella sua impostazione non solo per la carica anticonformista che lo caratterizza. (mf)
Si tratta di un piccolo 'saggio' di vent'anni fa (1995) e indaga una delle figure di aiuto allo sviluppo (più 'umano' che 'professionale') già contenute nella mappa che avevo 'disegnato' in una pubblicazione dell'epoca (e riprodotta in questo blog qui)
La figura è quella del mèntore: termine, e funzione, ormai conosciuti e affermati anche in Italia sotto la solita 'spinta' (purtroppo sempre troppo 'modaiola') prodotta dalla cultura manageriale anglosassone. Naturalmente l'accezione di mèntore oggi prevalsa, almeno nelle prassi (benché sempre più decantate che realmente diffuse) delle organizzazioni di lavoro e delle imprese multinazionali in particolare, ha un'impronta più pragmatico-organizzativa che esistenzial-umanistica. E, forse anche per questo, quanto qui scrivevo nel tratteggiare il modello, assai diverso, cui io invece faccio riferimento, può avere tuttora senso: per indicare che 'un altro modo', almeno in teoria, esiste.
Rileggendo il testo a distanza di un ventennio anche stavolta ho provato una duplice sensazione.
Da una parte, mi ritrovo, senza titubanze, a 'sentire' come tuttora più che valida l'impostazione 'teorica' qui descritta.
Ma, dall'altra parte, devo ammettere che l'analisi di quello stato socio-culturale di metà anni 90, che, mentre dichiaravo non dei più felici per poter applicare il modello, pure intravvedevo al contempo qui e là 'screpolato' e potenzialmente 'aperto' a cambiamenti migliorativi, peccava (e molto) di 'wishful thinking'.
Mi pare indubitabile che alcuni segnali già allora valutati 'negativi' si siano oggi pesantemente rafforzati. Come ad esempio: l'opacità dell''individuo' in quanto tale, sempre più 'mangiato' e 'intruppato' dalla dimensione conformistica della 'gente'; la debolezza del codice 'fraterno' , contro l'affermazione invadente di una relazionalità sempre più giocata in chiave 'top-down'; la carenza di 'tempo' e l'impazienza nei 'tempi' con cui agiamo, con la conseguente 'frenesia da prestazione subito' che rappresenta ormai una nostra sindrome conclamata.
Il testo, come dice la nota in calce, riprende un intervento discusso con universitari dell'istituto di pedagogia dell'università statale di Milano, nel febbraio 1995, nell'ambito di un seminario, appunto sul 'mèntore', coordinato da Paolo Mottana, docente di filosofia dell'educazione.
Il libro in cui è stato successivamente inserito, sempre curato da Paolo Mottana, edito da Clueb, è ormai difficilmente reperibile anche per la messa in liquidazione, dal 2014, dell'editore.
Segnalo, oltre all'autorevolezza dei contributori cui sono stato affiancato (Delia Duccoli, Duccio Demetrio, Costanza Sorrenti, Angelo Franza, Riccardo Massa, Antonio Prete, don Gino Rigoldi), la qualità del saggio introduttivo del curatore: uno dei più intelligenti e critici pedagogisti italiani, oggi coordinatore di un indirizzo - la 'pedagogia immaginale' - 'potente' nella sua impostazione non solo per la carica anticonformista che lo caratterizza. (mf)
#VIDEO #PSY / La solitudine dell'anima (Eugenio Borgna, Umberto Galimberti)
Eugenio BORGNA, 1930, psichiatra di matrice fenomenologica
Umberto GALIMBERTI, 1942, filosofo e psicoanalista di matrice junghiana
La solitudine dell'anima - Libreria Feltrinelli Duomo, Milano, 1 febbraio 2011
video, 59min22
Nel primo quarto d'ora del video, l'introduzione all'intervento di Eugenio Borgna è affidata a Umberto Galimberti.
Ecco alcuni frammenti della sua presentazione::
«Eugenio Borgna, in quanto psichiatra fenomenologico, è da sempre 'contro' la psichiatria organicistica, che continua a dominare il campo. (...)
La psichiatria fenomenologica incontra il paziente non rispondendo alla domanda che cos'è la depressione, che cos'è la schizofrenia, m vedendo di capire la modalità specifica con cui 'io sono depresso', 'io sono schizofrenico' . (...)
La psichiatria non è una scienza. Perché si è scienza solo quando si oggettiva. E l'uomo non è oggettivabile. (...)
La psichiatria fenomenologica non ha mai avuto una ordinariato di cattedra all'università perché il farmaco non è rifiutato, ma non è la prima mossa terapeutica. (...)
Borgna distingue, nella Solitudine dell'anima, due tipi di solitudine: aperta e chiusa.» (U. Galimberti)
Eugenio Borgna parte dall'assunto che la poesia è uno strumento fondamentale per capire la vita interiore umana. Cita due versi di Emily Dickinson che lo hanno accompagnato, «come stelle comete» (dice), nella riflessione durante la stesura de libro.
Un primo verso dice: "Non c'è una sola solitudine ma molte solitudini che restano ignorate".
Un secondo verso, ancora più «abbagliante, reciso e rivoluzionario» (l'aggettivazione è di Borgna), afferma: "Forse sarei più sola senza la mia solitudine".
Le parole del relatore procedono calde, ricche, emozionali nello scavo del tema oggetto del libro.
Il periodare, generoso e abbondante, richiede un certo impegno nell'ascolto, anche per una tonalità di voce che tende all'uniformità. Lo stile è allo stesso tempo strutturato e (positivamente) destrutturato e segue un vocabolario ampio, intenso, fortemente metaforico.
Se si investe in attenzione costante si viene ripagati dalla quantità (e qualità) di stimoli che si ricevono: si 'sente', ascoltando il relatore, che i suoi pensieri non sono solo acquisizioni teoriche, ma il frutto dell'esperienza viva e partecipe di chi ha incontrato e affrontato per una vita la follia nella professione. (mf)
NB:
(1) - Ecco il link al testo, citato nell'intervento di Eugenio Borgna, di Luciana Sica, La solitudine come rifugio ai tempi dei social network, 'la Repubblica', 18 gennaio 2011, http://bit.ly/1sCmxo2
(2) - Eugenio Borgna, La solitudine dell'anima, Feltrinelli, 2011 (ebook 2014)
#MOSQUITO / Dubbio, facciamolo lavorare per noi (Rainer M. Rilke)
E il vostro dubbio può divenire una buona qualità, se lo ‘educate’. Esso deve diventare conoscenza, deve farsi critica. Domandategli, ogni volta che vuole guastarvi qualche cosa, ‘perché’ la tal cosa sia brutta, esigete dimostrazioni da lui, esaminatelo, e lo troverete forse inerme e confuso, anche forse arrogante. Ma non cedete, sollecitate prove e agite così, attenti e conseguenti, ogni singola volta, e verrà giorno in cui da distruttore diverrà uno dei vostri migliori lavoratori - forse il più accorto di tutti quelli che edificano la vostra vita.
*** Rainer Maria RILKE, 1875-1926, poeta austro-tedesco di origine boema, Lettera a un giovane poeta, 1929, Adelphi, Milano, 1980.
Su Rainer Maria Rilke
Sempre in questo blog, un altro contributo di Rainer Maria Rilke qui
#RITAGLI / Islam e cristianesimo, oggi domani (Francesco Semprini)
L'Islam corre a tal punto che ben prima della fine del secolo diventerà la confessione più diffusa del Pianeta. A dirlo è il Pew Research Center, secondo cui entro il 2050 il numero di musulmani sarà all'incirca pari a quello dei cristiani. Mentre nel 2070 potrebbe già avvenire il sorpasso, se i trend manterranno la stessa direziono e la velocità di quelli attuali.
«Sino al 2010, il cristianesimo era di gran lunga la religione più grande al mondo in termini numerici, con circa 2,2 miliardi di credenti, ovvero circa un terzo dei 6,9 miliardi di persone che popolano il Pianeta», spiega Pew.
«L'Islam diventava la seconda confessione, - prosegue l'Istituto di ricerca - con 1,6 miliardi di credenti, pari al 23% della cittadinanza globale».
La distribuzione è destinata a mutare nei prossimi decenni, in coincidenza dell'aumento della popolazione mondiale a 9,3 miliardi, entro la metà del secolo XXI. Per allora Pew stima che l'Islam crescerà del 73% rispetto ai valori attuali, mentre il cristianesimo registrerà un incremento più contenuto e pari al 35%. Ciò porterà a una situazione di sostanziale parità con 2,76 miliardi di musulmani e 2,92 miliardi di cristiani. (...)
*** Francesco SEMPRINI, E nel 2070 l'Islam diventerà la prima religione del mondo, 'La Stampa', 4 aprile 2015
° ° °
Personalmente vorrei stare fuori da ogni cerchio... (mf)
mercoledì 27 maggio 2015
#MOSQUITO / L'ora del comando, la virilità come prova (Nadia Fusini)
C’è per tutti l’ora della verità, decisiva a dimostrare se si è uomini, o no; un’ora superata la quale si entra davvero nell’ombra della vita umana, che è per l’appunto fatta di luce e di ombre. E’ l’ora del comando, dove comando, come in questo racconto [Joseph Conrad, La linea d’ombra], venga inteso nel senso della responsabilità. Chi è al comando dovrà dimostrare la capacità di sostenere la sventura, senza soccombere alla paura e alla disperazione. Dovrà combattere non per sé, ma perché risponde della sua missione. Perché è stato chiamato, ha accettato il compito, e ora ne risponde. (...)
E’ la virilità come valore e ideale, che anche le donne adorano: la virilità come giusta commistione di forza e compassione, di violenza e tenerezza. E’ la consapevole virtù di chi sta di fronte alla sventura, agli errori propri e altrui, alla coscienza propria, come di fronte alla necessità stessa. L’esistenza è fatta di questo, non di premi, né di successi. Ma di prove.
*** Nadia FUSINI, giornalista e scrittrice, C’è per tutti l’ora della verità, ‘la Repubblica’, 30 aprile 2002).
Su Nadia Fusini,
#SENZA_TAGLI #SPOT / Famiglia, senza copyright (Lella Costa, Claudia M. Bertola)
Dovremmo partire dal diritto alla dignità umana per tutti, da quelli che stanno nascendo, penso quindi alle leggi sull'adozione, a chi se ne sta andando, facendo finalmente una legge equilibrata sul fine vita e sul testamento biologico.
Io tendo sempre a considerare le persone come mosse da buone intenzioni - sarò ingenua? - perciò sono favorevole all'estensione della possibilità di adottare anche ai single. Anzitutto perché non è che la famiglia mononucleare, sancita dal sacro vincolo del matrimonio, abbia sempre dato degli esiti così entusiasmanti...
Nessuno può avere il copyright sulla famiglia, e quegli integralisti che ci provano non sempre lo fanno nel reale interesse dei minori.
Come non chiediamo a una neomamma o un neopapà se siano biologicamente adatti ad essere genitori naturali, così dovremmo avere un atteggiamento meno colpevolizzante con chi ha gli strumenti emotivi, culturali e - perché no? - economici per diventarlo legalmente.
Lo stesso vale anche per una coppia omosessuale, anche se io preferisco parlare semplicemente di due persone.
Conosco una coppia di amici gay che hanno un bambino in affido dal quale stanno ricevendo moltissimo in termini affettivi. Sfatiamo certe informazioni falsate: non tutti gli omosessuali sognano una vita di coppia e dei figli. Però chi ne ha il desiderio dovrebbe poterlo realizzare. Dovrebbe avere il diritto di dare un significato simbolico e giuridico alla propria unione (chiamiamola così se a qualcuno da così fastidio la parola matrimonio...).
Per quanto riguarda invece il divorzio, ben venga un adeguamento legislativo, ma non basterà a risolvere i casi di separazioni violente. Per quelle bisogna lavorare sulla cultura e sull'educazione sentimentale. Le tutele sono sacrosante, prima però viene la preparazione emotiva.
Io tendo sempre a considerare le persone come mosse da buone intenzioni - sarò ingenua? - perciò sono favorevole all'estensione della possibilità di adottare anche ai single. Anzitutto perché non è che la famiglia mononucleare, sancita dal sacro vincolo del matrimonio, abbia sempre dato degli esiti così entusiasmanti...
Nessuno può avere il copyright sulla famiglia, e quegli integralisti che ci provano non sempre lo fanno nel reale interesse dei minori.
Come non chiediamo a una neomamma o un neopapà se siano biologicamente adatti ad essere genitori naturali, così dovremmo avere un atteggiamento meno colpevolizzante con chi ha gli strumenti emotivi, culturali e - perché no? - economici per diventarlo legalmente.
Lo stesso vale anche per una coppia omosessuale, anche se io preferisco parlare semplicemente di due persone.
Conosco una coppia di amici gay che hanno un bambino in affido dal quale stanno ricevendo moltissimo in termini affettivi. Sfatiamo certe informazioni falsate: non tutti gli omosessuali sognano una vita di coppia e dei figli. Però chi ne ha il desiderio dovrebbe poterlo realizzare. Dovrebbe avere il diritto di dare un significato simbolico e giuridico alla propria unione (chiamiamola così se a qualcuno da così fastidio la parola matrimonio...).
Per quanto riguarda invece il divorzio, ben venga un adeguamento legislativo, ma non basterà a risolvere i casi di separazioni violente. Per quelle bisogna lavorare sulla cultura e sull'educazione sentimentale. Le tutele sono sacrosante, prima però viene la preparazione emotiva.
*** Lella COSTA, 1952, attrice, scrittrice e doppiatrice italiana, famosa soprattutto per i suoi monologhi teatrali, Famiglia senza copyright, rubrica 'Opinioni e idee', 'Style Magazine', n. 5, maggio 2015. Lella Costa è tra le interpreti di Ferite a morte, il progetto sul femminicidio ideato da Serena Dandini e portato sui palcoscenici di tutto il mondo.
Claudia Maria BERTOLA, @angioletto9
Famiglia, agosto 2014
#SGUARDI POIETICI / Basta (M. Ferrario)
Questo 'sguardo' è del 2011.
Lo scrissi in un momento di rabbia per il berlusconismo imperante.
Lo ripubblico perché mi sembra più attuale che mai.
L'ultimo sconcio sono gli 'impresentabili' alle elezioni regionali.
E l'ultima presa in giro è la commissione antimafia che rivelerà i loro nomi 48 ore prima del voto (che si ridurranno a 24, calcolando la giornata di silenzio prima delle votazioni).
2011-2015. Cambiano i governi. Non cambiano i politici.
Dal berlusconismo al renzismo. Non cambia l'Italia. Non cambiamo noi. (mf)
Dal berlusconismo al renzismo. Non cambia l'Italia. Non cambiamo noi. (mf)
° ° °
Hai ragione, basta.
Basta dire basta:
e basta con l’indignazione.
Che ormai va a ruba,
e tutti scambiamo all’angolo delle strade:
neppure un euro,
solo il costo di un sopracciglio alzato.
Hai ragione, basta.
Basta dire basta.
Abbassiamo il sopracciglio
e smettiamo di ripeterci
sconsolati ma consolati
che questo paese
(il nostro paese)
«non è un paese normale».
Impariamolo:
lo sarebbe
se noi fossimo normali;
lo sarà
quando noi saremo normali.
Non è il paese che non ci merita:
siamo noi che ci meritiamo il paese che siamo,
non essendo capaci
di essere il paese che vorremmo.
Di noi
dobbiamo indignarci.
Prima soffriremo,
allo stomaco e in bocca,
il sapore amaro della consapevolezza,
che sola apre al cambio.
Poi dichiareremo la vecchia e troppo ripetuta parola,
soltanto allora (finalmente) nuova:
sì, ancora una volta e per l’ultima volta,
basta.
Ma diremo basta a noi stessi.
E basterà, questa volta,
se questo basta che ci saremo detti,
oltre a dircelo,
in tutti i modi in cui è possibile farlo,
lo faremo.
*** Massimo Ferrario, Basta, testo revisionato per Mixtura. Già in ‘ContrAppunti’, n. 293, 13 maggio 2011, Dia-Logos, Milano.
Anche in 'losguardopoIetico', 200, 3 novembre 2013 (circa 900 visualizzazioni), qui