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#MOSQUITO / Ascensionismo, quando siamo certi di toccare il cielo (James Hillman)

Quando le persone sono tutte di un unico tipo, hanno un’unica lingua e vivono in un unico luogo, avviene qualcosa: sono afflitte da ascensionismo. Credono di poter salire fino al cielo e di potersene impossessare. L’idolatria dell’antropocentrismo, la malattia del monoteismo letteralizzato. Un popolo o una fede senza differenze, senza divisione e dissenso diventano sicuri di sé e ipocriti. ‘La certezza genera violenza’ aveva detto il grande giurista americano Olivier Wendell Holmes. La gente diventa degli ‘Himmelstürmer’. 

*** James HILLMAN, 1926-2011, psicoanalista statunitense di matrice junghiana fondatore della psicologia archetipica, Ground Zero: una lettura, in Luigi Zoja, a cura, L’incubo globale. Pro-spettive junghiane a proposito dell’11 settembre, Moretti & Vitali, Bergamo, 2002.
https://it.wikipedia.org/wiki/James_Hillman


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#LIBRI PIACIUTI / "Canto della pianura", di Kent Haruf (recensione di M. Ferrario)

Kent HARUF, Canto della pianura, NN Editore, 2015
traduzione di Fabio Cremonesi
pagine 301, € 18,00, ebook € 8,99

Una trama corale e una prosa asciutta, venata di poesia
Secondo tassello della 'trilogia della pianura' dello scrittore statunitense Kent Haruf, morto a fine 2014, pluripremiato in patria e tuttora poco conosciuto in Italia. 
E anche questo capitolo dal titolo Il canto della pianura, come il precedente romanzo Benedizione, è una lettura imperdibile. Nessuna sorpresa per chi, come me, si è innamorato di questo autore grazie alla piccola casa editrice che l'ha meritoriamente rieditato dopo anni di fuori catalogo, ma certamente una meravigliosa scoperta per chi non lo conoscesse. 

Difficile definire il fascino che esce da queste pagine: l'atmosfera, la trama, i personaggi, lo stile ci riportano ai grandi libri americani dei primi del 900. All'America profonda, lontana dai ritmi delle grandi città, immersa nell'isolamento dei campi e dei pascoli, abitata da personaggi sbrigativi nei comportamenti e  rudi nelle emozioni, come fossero impastati di terra e tagliati dal vento, eppure quanto mai umani e capaci, anche, di relazioni che vanno al cuore. Alle vicende affidate ad una coralità di figure, più che a un singolo protagonista che si prende la scena. E a uno stile minimale, che assume un colore quanto mai intenso e toccante proprio perché riesce ad apparire scialbo e piatto, essenziale, giocato più sul togliere che sull'aggiungere. 

Siamo ancora una volta a Holt, la cittadina del Colorado in cui è ambientata la trilogia. 
La trama si intreccia attorno a un pugno di personaggi indimenticabili: un insegnante di liceo, Tom Guthrie, che si ritrova solo ad accudire i bambini di nove e dieci anni dopo che la moglie, in crisi da depressione, l'ha abbandonato; una giovane studentessa di sedici anni, Victoria Roubideaux, che resta incinta e, buttata fuori casa dalla madre, decide comunque di avere il figlio, anche supportata dalla sua insegnante, Maggie Jones, che rispetta la sua scelta e la aiuta fattivamente, con discrezione e senza imporsi; i due vecchi fratelli McPheron, che da quando si sono ritrovati orfani da piccoli vivono lontano da tutti in mezzo alla campagna, allevando mucche e sapendo solo di bestie, e si lasciano intenerire dal caso di Victoria, la accolgono in casa e così scoprono, sotto la loro scorza, una sensibilità e una premura mai sospettate; e poi le piccole vicende della scuola e del preside della cittadina, alle prese con una famiglia che difende il figlio che non studia e fa il bullo con i più piccoli.

Un intreccio raccontato con una scrittura che scorre quieta come le acque di un grande fiume: i dialoghi, neppure segnati dalla punteggiatura, si mescolano con una fluidità naturale all'interno delle descrizioni e il testo, così sobrio e disadorno, assume spesso i toni di un'epica, ordinaria e quotidiana, che cattura e commuove. 
Credo sia impossibile non sentire l'anima 'palpitare', in molti punti, per il tocco di pennellate che fanno virare la prosa in fotogrammi di autentica e alta poesia, ottenuta con una sobrietà e una semplicità espositiva che è davvero frutto di grande sapienza letteraria. Come è, ad esempio, nella raffigurazione del rapporto che si crea tra i fratelli McPheron e Victoria: la dolcezza che ne esce, tanto più commovente perché buca il carattere rigido, irsuto e quasi animalesco dei due, è ottenuta con uno sguardo scarno e asciutto e senza un grammo di artificioso sentimentalismo.

Forse anche chi traduce, in genere ignorato da lettori e critici, andrebbe lodato per il lavoro attento e fine di trasposizione.
Certo credo comunque meriti un posto tra i classici Kent Haruf. Se è vero che i classici sono libri che continuano a parlare anche dopo che li hai chiusi. E ti viene voglia di rileggerli. E quando li rileggi, risenti le emozioni della prima volta.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

«
Sì, rispose lei. Lo voglio. 
Ne è sicura, vero? 
Assolutamente sicura. 
Lei lo guardò in faccia. Intende dire se voglio darlo in adozione? 
Magari anche questo, disse lui. Ma più che altro, volevo dire se ha intenzione di tenere il bambino. Portare a termine la gravidanza e metterlo al mondo. 
Così ho deciso. 
E lo vuole davvero, giusto? 
Sì. 
E adesso che me lo ha detto, non farà qualche sciocchezza, come tentare di liberarsene da sola in qualche modo. 
No. 
No, disse lui. Tutto bene, allora. Le credo. Non mi occorre sapere altro. Avrà problemi di vario genere, prevedo. È sempre così. Molte madri adolescenti ne hanno. Non dovrebbe avere figli, non ancora. Il suo corpo non è pronto. Lei è troppo giovane. D’altra parte, sembra proprio forte. Non ha un’aria da isterica. È isterica, signorina Roubideaux? 
Non credo. 
Allora dovrebbe andare tutto bene. Fuma? 
No. 
Non cominci. Beve alcolici? 
No. 
Non cominci neppure a bere, non adesso. Assume droghe di qualunque tipo? 
No. 
Mi sta dicendo la verità? La fissò e rimase in attesa. È importante. Perché ogni cosa che prende va al bambino. Lo sa, vero? 
Sì. Lo so. 
Ha bisogno di mangiare come si deve. Anche questo è importante. La signora Jones può aiutarla, credo sia una brava cuoca. Deve mettere su un po’ di peso, ma non troppo, signorina Roubideaux. Ecco, bene. Allora, d’accordo. La vedrò di nuovo fra un mese, poi una volta al mese fino all’ottavo, e dopo ogni settimana. Ha qualche domanda da farmi? 
Per la prima volta la ragazza si lasciò un po’ andare. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Era come se ciò che voleva domandargli fosse più importante e più terribile di qualsiasi cosa lei o lui avessero detto o fatto fino a quel momento. Chiese, Il bambino sta bene? Me lo può dire? 
Oh, disse il dottore. Ma sì. Per quanto ne posso sapere, va tutto bene. Non sono stato chiaro? Finché avrà cura di se stessa, non c’è motivo per cui le cose debbano andare in un altro modo. Non intendevo spaventarla. 
Lei si concesse pochi istanti di pianto silenzioso, con le spalle abbandonate in avanti e i capelli che le coprivano il volto. Il vecchio dottore prese la mano di lei fra le proprie e la strinse per un attimo in modo affettuoso, tranquillo, sereno come un nonno, guardandola semplicemente in viso senza parlare, trattandola con rispetto e gentilezza, forte della sua lunga esperienza con le pazienti dell’ambulatorio. 
Più tardi, quando ebbe recuperato la calma, dopo che il dottore se n’era andato, la ragazza uscì dalla Holt County Clinic, che era vicina all’ospedale, e la luce in strada le parve tagliente e aspra, impietosa, come se anziché un pomeriggio di fine autunno, un’ora prima del crepuscolo, fosse mezzogiorno in punto in piena estate, e lei se ne stesse immobile alla luce abbagliante del sole. (Kent Haruf, Canto della pianura, NN Editore, 2015)

Figurati, Maggie, sei bella, disse Guthrie. Non lo sai? Mi togli il fiato. 
Lo pensi davvero? 
Dio mio, sì. Non lo sai? Pensavo sapessi tutto. 
So un sacco di cose, disse lei. Ma fa molto piacere sentirselo dire. Ti ringrazio. Si mise a letto. E ora sbrigati, gli disse. Cosa stai facendo? 
Cerco di togliermi gli stivali. Mi hai fatto ballare così tanto che ho i piedi gonfi e non ci riesco. È come se avessi camminato nell’acqua o qualcosa del genere, sono fradici. 
Poverino. 
Hai proprio ragione. 
Vuoi che mi alzi e venga ad aiutarti? 
Dammi solo un minuto, disse lui. 
Finalmente riuscì a togliere gli stivali, si mise in piedi, si svestì e rimase nudo e tremante a guardarla, allora lei sollevò le coperte e Tom ci si infilò. Oh Gesù, sei gelato, disse Maggie. Vieni più vicino. A letto era incredibilmente calda e morbida, era la donna più generosa che avesse mai conosciuto. Se la sentiva addosso come seta. 
Però dimmi una cosa, disse lei. 
Cosa? 
Non pensi davvero che io faccia paura, no? 
Oh sì, invece. 
Dimmi la verità. 
Dico sul serio adesso. È la verità. A volte non sono sicuro di sapere come comportarmi con te. 
No? 
No. 
Che cosa vuoi dire? Perché? 
Perché sei diversa da tutte le altre, disse lui. Sembra che la vita non ti abbia mai sconfitta o impaurita. Sei sempre cristallina, qualunque cosa accada. 
Lei lo baciò. I suoi occhi scuri lo osservavano nella penombra. Qualche volta sono stata sconfitta, disse Maggie. Ho avuto paura. Però sono proprio pazza di te. Allungò la mano e glielo toccò. Qui c’è una parte di te che sembra sapere come comportarsi con me. 
Tu sì che sai come accendere l’interesse, disse Guthrie. (Kent Haruf, Canto della pianura, NN Editore, 2015)
»

In Mixtura la mia recensione al volume di Kent Haruf, 'Benedizione', NN editore, 2015, qui
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#SENZA_TAGLI / Ministro Poletti, manca il lavoro altro che regole sul tempo (Sandro Catani)

La polemica accesa dalle frasi incaute del ministro Giuliano Poletti sul tempo come vecchio arnese del lavoro e sulla fine di un luogo comune per lavorare, corre il rischio di nascondere il problema centrale: manca il lavoro.

Un lavoro senza tempo è un’affermazione paradossale, perché non esiste un’attività remunerata che non si svolga entro un determinato spazio temporale. Possiamo immaginare un lavoratore autonomo, ad esempio un falegname, che consegni il suo prodotto quando preferisce? O, cambiando prospettiva, un amministratore delegato che prometta agli azionisti dell’azienda un utile senza specificare il periodo? Gli esperti studiano le forme nuove che assumerà il lavoro e al riguardo ricchissimo di dati è il rapporto del governo inglese The future of work: jobs and skills in 2030.

Ma una cosa è fare ricerca sul futuro (gli stessi studiosi ammettono che sono congetture secondo scenari più o meno rivoluzionari) altro è affermare un modello unico e prescritto. Nonostante le nuove tecnologie e i nuovi modelli d’impresa il cuore del lavoro (almeno quello non precario) si svolge ancora secondo processi di tempo organizzato. Le libere professioni hanno nel timesheet, il foglio dove registrare il tempo, il principio organizzativo base. Perciò l’avvocato emetterà la parcella sulla base del tempo dedicato ad una pratica, così fanno i consulenti aziendali e gli architetti. Così come il tassista che fa pagare la corsa in funzione del tempo e un criterio analogo utilizza il driver Uber.

Il tempo, un ferrovecchio organizzativo? Non sembra. Se Amazon promette la consegna dei prodotti alimentari entro 1 ora dall’ordine, i suoi dipendenti saranno responsabilizzati sul risultato e cioè il tempo di consegna. Google, l’azienda sinonimo di internet, è nota per la formula di gestione 80/20. L’ottanta per cento del tempo dei collLavoro, aboratori è dedicato a compiti programmati, il venti per cento lasciato all’autonomia del singolo.

Duole dire che anche la fine dello spazio fisico comune dove lavorare non sembra basata su fatti. Le società di co-working, un settore della sharing economy in rapido sviluppo dove emergono l’italiana Talent Garden e l’americana WeWork, offrono uffici dove professionisti e start up hanno l’opportunità di interagire, di scambiare e di creare sinergie. Il luogo di lavoro, al contrario, assume sempre più valore, di attrazione e di comunicazione con il proprio mercato e con l’ambiente. Basta prendere ad esempio il grattacielo Unicredit, diventato un simbolo di Milano, o la nuova straordinaria sede di Facebook a Seattle.

Ma in conclusione, accanto al suggerimento di una maggiore prudenza nelle affermazioni teoriche, rimane la domanda su quale sia la missione di un Ministero del Lavoro: probabilmente è quella di promuovere nuovo impiego e nuove competenze, e non solo introdurre nuove regole per il lavoro esistente. Perché ormai abbiamo tutti bene in mente la disoccupazione dei giovani rimane la più drammatica priorità italiana. Una condizione che si combina con la bassa percentuale dei nostri giovani laureati, un triste fanalino di coda tra i paesi Ocse, mentre dalle università cinesi escono ogni anno oltre sei milioni di laureati disponibili a lavorare per poche centinaia di euro al mese. Servono azioni concrete e di grande impatto, investimenti per l’innovazione nelle imprese e, in modo speculare, una maggiore preparazione dei giovani per il futuro. Credo che siano questi l’impegno e i risultati che ci aspettiamo dal governo del Paese.

*** Sandro CATANI, consulente e saggista, Ministro Poletti: mancano gli impieghi, non le regole, blog 'ilfattoquotidiano.it', 29 novembre 2015, qui


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#SPILLI / Leader, basta teoria (M. Ferrario)

Ogni giorno escono articoli e saggi su leader, leadership e dintorni. Per non parlare della valanga di slide e citazioni sugli stessi temi.
Ad esempio, in questo momento, all'interrogazione 'leader' su 'google' mi sono state restituite 850 milioni di occorrenze. Mentre per 'leadership', le occorrenze risultano quasi 500 milioni.

Tutti credono di sapere cos'è leader e leadership e 'te la raccontano': anche se spesso è aria fritta. O, meglio, rifritta, a giudicare dalla ripetitività insulsa e ossessiva e dalle scopiazzature dilaganti: perché di originale compare ben poco.

Del resto, anche questa è una spia: in genere, quando si parla molto di qualcosa, quella cosa non c'è. O c'è abbastanza poco. E' così che si 'compensa': buttando sul bla-bla la mancanza di azione.

Non è invece bla-bla, ma un concentrato mirabile di precisione concettuale l'attacco di un recente articolo di Marco Travaglio che qui sotto riporto: a riprova che forse, quando si vuol capire davvero, bisogna lasciar da parte chi si crede esperto e rivolgersi, oibò, anche a un giornalista. Che ci ricordi ciò che dovremmo già sapere, ma o non sappiamo o abbiamo dimenticato rincorrendo le fumisterie con cui ci confondiamo (volutamente?) il cervello.

Trascuro il contenuto integrale dell'articolo perché rivolto alla realtà contingente, soprattutto italiana. Ma le poche parole che estraggo dal 'pezzo' sono di una efficacia mirabile. Poco più di un migliaio di battute: dovremmo solo impararle a memoria.
Ecco l'estratto:

«Che cos'è un leader? È uno che, oltre a saper vincere, sa anche convincere. Governa, non comanda. Cerca sempre di includere, mai di escludere. I consensi non li compra: li conquista con le sue idee e le sue opere. Prima che furbo, è intelligente. Si circonda dei migliori cervelli su piazza, senza il timore che siano migliori di lui e gli facciano ombra. Non ha paura della critica, ma della piaggeria. Non allontana chi lo contraddice, ma chi lo compiace. Non si preoccupa dell'oggi, ma del domani. Fa di tutto per essere serio, autorevole e credibile, perché deve stare sempre un passo avanti ai suoi, trainandoli e non facendosene trainare. Insomma: è la punta di lancia di una classe dirigente che, in caso di incidenti di percorso, è in grado di sopravvivergli e di garantire la necessaria continuità alla sua opera. 
Avete riconosciuto qualche italiano vivente che corrisponda alla descrizione? Credo di no. A parte Alcide De Gasperi, nessun leader politico dell'ultimo secolo vi si è lontanamente avvicinato. Perciò siamo da decenni sempre sull'orlo del baratro.»
(Marco TRAVAGLIO, giornalista, saggista, direttore di 'Il Fatto Quotidiano', AAA leader cercasi, 'Il Fatto Quotidiano', 26 novembre 2015)

Trasferiamo le parole di Travaglio, nate per stigmatizzare la classe politica italiana, anche al mondo dell'impresa.
E capiremo meglio perché la cultura aziendale dominante continua a rappresentare una pesante palla al piede per l'efficacia e l'efficienza della nostra economia.
Corruzione, insipienza, furbizia, arroganza, demagogia, adulazione, conformismo, focus sul breve termine: collaboratori trattati da dipendenti e dipendenti che subiscono più o meno volentieri di essere trattati da oggetti.
Sono questi i nemici da battere.
I nemici culturali che frenano, quando non impediscono, la circolazione di idee, visioni, opinioni: rinsecchendo la linfa necessaria per produrre creatività e innovazione.
Per farlo basterebbe smettere con la retorica e cominciare ad agire. 
Cos'è leadership e cos'è leader lo sappiamo benissimo: se vogliamo saperlo. 
E' ora di pratica.
Faticoso? Rischioso?
Certo, come sempre, quando si cerca di cambiare. Senza proclami, ma agendo. E non gattopardescamente
Perciò, in fondo, meglio continuare a scrivere, o discettare, dell'ennesima nuova (miracolistica) teoria su leadership e leader.
E far aumentare le occorrenze di 'google' alle nostre interrogazioni.

*** Massimo Ferrario, Leader, basta teoria, per Mixtura

#SGUARDI POIETICI / ... e non chiedere nulla (David Maria Turoldo)

… invece la terra
si fa sempre più orrenda:
il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.

E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:

ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.

Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane, 
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l’umile gente
abbia ancora chi l’ascolta,
e trovino udienza le preghiere.
E non chiedere nulla.

*** David Maria TUROLDO, 1916-1992, poeta e religioso dell’Ordine dei servi di Maria, … e non chiedere nulla, da ‘sulla soglia.it’, qui

https://it.wikipedia.org/wiki/David_Maria_Turoldo

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Annibale CARRACCI, 1560-1609
Il mangiatore di fagioli, 1585

#SENZA_TAGLI / Armi, e l'Italia (Giovanni De Mauro)


Parlando di guerre, stragi, sparatorie, esplosioni, massacri e carneficine, può valere la pena di ricordare ancora una volta da dove vengono le armi usate dai terroristi e dagli eserciti, e chi ci guadagna nel produrle e venderle. Cominciamo con i grandi sistemi d’arma: aerei, artiglieria, sottomarini, missili, carri armati eccetera.

Il rapporto del Sipri di Stoccolma dice che tra il 2010 e il 2014 il volume d’affari a livello mondiale è aumentato del 16% rispetto ai cinque anni precedenti. Oggi i principali esportatori sono: Stati Uniti, Russia, Cina, Germania e Francia. Insieme controllano il 74% del mercato.

I cinque principali importatori sono: India, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti e Pakistan (a proposito di Arabia Saudita: dalla Sardegna partono ormai regolarmente forniture di bombe prodotte nello stabilimento sardo dell’azienda tedesca Rwm Italia e destinate ai sauditi, che le usano per bombardare lo Yemen).

Passiamo ora alle armi leggere: pistole, fucili eccetera. L’ultimo rapporto dell’Archivio disarmo dice che nel mondo ne circolano 875 milioni, di cui il 75% è nelle mani di civili. Il mercato globale di queste armi vale 8,5 miliardi di dollari all’anno, a cui vanno aggiunti i profitti, impossibili da calcolare, dell’enorme traffico illegale. L’Italia è tra i principali esportatori mondiali: nel 2014 il valore delle esportazioni ha raggiunto i 452.713.932 euro. Una cifra leggermente inferiore a quella dell’anno precedente, ma superiore alla media delle esportazioni del decennio.

Ovviamente terroristi e criminali troverebbero comunque il modo di farsi saltare in aria o di massacrare persone in giro per il mondo, e altrettanto ovviamente se pure l’Italia decidesse di non produrre né esportare più armi di nessun tipo (possibilmente riconvertendo le industrie e salvando i posti di lavoro) ci sarebbero altri paesi pronti a prendere il suo posto. Ma queste non possono essere buone ragioni per continuare a riempire di armi il pianeta.

*** Giovanni DE MAURO, giornalista, direttore di 'internazionale', Armi, 'Internazionale', 27 novembre 2015, qui


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#RITAGLI / Musulmani, prendere posizione contro gli attentati? (Dalia Mogahed)

Giustificare l’uccisione di civili è, per me , la cosa più mostruosa che si possa fare. Ed essere sospettati di fare qualcosa di così mostruoso, semplicemente a causa della propria fede, mi sembra molto ingiusto. La maggior parte degli attacchi terroristici compiuti negli Stati Uniti, secondo l’Fbi, sono opera di bianchi, cristiani di sesso maschile. Ma davanti a simili eventi noi non sospettiamo le persone che condividono la loro fede e le loro origini di giustificare questi atti. Partiamo dal presupposto che queste cose suscitino il loro sdegno, così come accade a tutti gli altri. Questa stessa presunzione di innocenza deve valere anche per i musulmani.

*** Dalia MOGAHED, 1974, consulente per i rapporti con il mondo musulmano del presidente Obama, intervista a Mnsbc, canale televisivo statunitense, citata da Catherine Cornet, giornalista e ricercatrice, I musulmani devono prendere posizione contro gli attentati?, 'internazionale.it', 26 novembre 2015, qui

#VIDEO / Economia della consapevolezza (Niccolò Branca)


Niccolò BRANCA, imprenditore
Economia della consapevolezza, TedxBergamo, maggio 2015
video, 12min57


Niccolò Branca, imprenditore del Gruppo Branca, esprime la sua filosofia di vita e di impresa: una visione e una pratica applicata da due decenni anche nella sua azienda.
Un imprenditore fuori dal coro, ma non fuori dal mondo: come dimostra il caso concreto, economicamente di successo, del Gruppo che presiede.
Una testimonianza diretta che riprende quanto scritto in un saggio del 2013, Per fare un manager ci vuole un fiore, Mondadori. (mf)

http://www.niccolobranca.it/

In Mixtura, la mia recensione del 16 gennaio 2015 al libro di Niccolò Branca, 'Per fare un manager ci vuole un fiore', Mondadori, 2013.

#MOSQUITO / Opportunità, purché l'oro sia salvo (Joel Bakan)

«Non ho mai visto niente di così terribile». Carlton Brown, un operatore di borsa solitamente imperturbabile, è rimasto profondamente sconvolto da quello che ha visto l’11 settembre 2001. «Pensavo solo a tirarli fuori al più presto», dice. «Pensavamo ai clienti, dovevamo assolutamente farli uscire prima che le torri crollassero». Brown era preoccupato per i clienti che rischiavano di restare intrappolati nel mercato dell’oro, che certamente sarebbe stato chiuso appena il World trade center fosse crollato. Quando gli aerei hanno colpito le torri, racconta Brown, «la prima cosa che mi è venuta in mente è stata: ‘A quanto sta l’oro?’». Fortunatamente, «nel giro di un paio di giorni siamo riusciti a tirarli fuori tutti. Avevano raddoppiato i loro soldi». L’11 settembre «è stato qualcosa di devastante, clamoroso, sconvolgente. Ma non tutto il male viene per nuocere. I miei clienti nel mercato dell’oro ci hanno guadagnato tutti», spiega. «Dietro ogni tragedia c’è un’opportunità. L’opportunità di creare ricchezza». 

*** Joel BAKAN, 1959, canadese, docente di diritto costituzionale alla facoltà di legge dell’università di British Columbia, The Corporation: la patologica ricerca del profitto e del potere, Fandango, 2004

https://en.wikipedia.org/wiki/Joel_Bakan

#SENZA_TAGLI / Aborto, è diventato un problema privato (Silvia Ballestra)

«La vita non la conoscono»: mi congedò così, tempo fa, il dottor Francesco Dambrosio, storico ginecologo della Mangiagalli di Milano. Si riferiva ai pro-life, quelli che si applicano in fronte l’etichetta di difensori della vita da soli, ma che della vita non solo non sanno nulla, ma se ne fregano proprio. Di quella delle donne, di sicuro.

Si riferiva anche agli obiettori di coscienza che, negli anni, non avevano smesso di boicottare la legge 194, legge che lui aveva contribuito a scrivere nel 1978. E a com’era la situazione prima, quando le donne morivano a migliaia con l’utero perforato o avvelentate dagli estratti di prezzemolo. L’ultima, una diciottenne, Dambrosio l’aveva vista morire in urologia il giorno prima dell’entrata in vigore della legge.

La legge 194, a detta di tutti e confortata dai numeri, è una buona legge. Non solo ha sanato la piaga degli aborti clandestini ma ha anche contribuito, anno dopo anno, a far calare le interruzioni volontarie di gravidanza in generale, e questo grazie alla prevenzione e alla diffusione della contraccezione nei consultori o nel momento in cui le donne si presentavano in ambulatorio per la prima volta. Da tempo, però, la situazione, come si racconta in queste pagine, si è fatta molto più complicata e gli allarmi si moltiplicano, lanciati soprattutto dai medici e da inchieste giornalistiche (meno dalla politica che si tiene abbastanza alla larga dalle questione).

I problemi sono noti: dilagare dell’obiezione di coscienza (che al Nord come al Sud, da Bolzano al Molise, alla Sicilia, può arrivare al 90 per cento), mancato ricambio dei medici man mano che la vecchia guardia va in pensione, chiusura dei consultori. A questi problemi molto specifici (l’obiezione di coscienza fu inserita nella legge come mediazione con la parte cattolica del Paese), si aggiunga il recente scadimento generale del servizio sanitario nazionale (leggi: tagli e accorpamenti), ed ecco servita la situazione allucinante raccontata qui. Cioè trafile da incubo fra porte sbattute in faccia, pellegrinaggi alla ricerca di medici non obiettori, numeri da prendere al volo, prenotazioni, giornate perse, settimane che passano con il corpo che cambia e la gravidanza che procede inesorabile con conseguenze facilmente immaginabili. E servizio a macchia di leopardo (tanti auguri a chi abita in provincia e ha il primo ospedale utile a cinquanta chilometri da casa).

Dunque, se da una parte c’è la buona notizia degli aborti che calano e che per la prima volta si attestano sotto i centomila all’anno, dall’altra c’è il problema che chi deve ricorrere all’aborto pena molto più di prima. Soluzioni sono state proposte, di nuovo dai medici o dai giornalisti, meno dalla politica: tetto degli obiettori al 50 per cento, formazione dei nuovi ginecologi (magari facendo anche un po’ di storia, aggiungo io), una maggior diffusione dell’aborto farmacologico che permette di sveltire e semplificare tutta la trafila (quiz del giorno: come mai in Liguria si arriva al 30 per cento di aborti con Ru486 e in Lombardia si è fermi al 4,5 per cento?).

Giustamente si è notato che gli aborti calano anche perché calano le gravidanze in generale e perché ora esistono metodi contraccettivi d’emergenza molto efficaci, ma non si può non pensare che in una situazione come la nostra, di servizio svuotato e non più garantito, non ci sia di nuovo il ricorso all’aborto clandestino, in nero o fai-da-te, o al turismo abortivo (verso Francia, Svizzera, Slovenia) sulla scia di un turismo medicale che riguarda anche altri settori della salute. È stato di nuovo un medico, Silvio Viale, a farmi notare che man mano che le interruzioni di gravidanza diminuiscono e riguardano un numero molto minore di donne rispetto a trent’anni fa, aumenta il silenzio attorno all’aborto, che diventa un problema individuale da risolvere in fretta e poi dimenticare senza mettersi a fare tante battaglie.

Dunque una questione privata, alla quale negli anni è stata tolta ogni connotazione sociale. Una questione scomoda per la politica, che infatti se ne occupa poco (e non ha fatto nulla per arginare l’obiezione di coscienza), e che pare appassionare meno persino gli ultrà cattolici, spostatisi ora massicciamente sulla questione del cosiddetto “gender”. L’aborto è passato così da problema della società a problema della singola donna, che così si trova ad affrontarlo con maggior difficoltà e solitudine di prima. È giusto? Ovviamente no, e quest’inerzia verso l’oblio che sembra archiviare la questione come un vecchio problema passato è ciò che vogliono quelli che «la vita, non la conoscono». E della vita delle donne se ne fregano proprio.

*** Silvia BALLESTRA, 1969, scrittrice, Così l’aborto è diventato un problema privato, 28 novembre 2015, 'pagina99', qui


#VIDEO / The Change Advisor (Anna Zanardi)


Anna ZANARDI, psicologa, esperta di organizzazioni e di change management
The Change Advisor, TedxMilanoWomen, 28 maggio 2015
video, 14min16

Un intervento pacato, chiaro, convincente, che recupera 'pillole' intelligenti di psicologia utili per guardare al futuro in modo aperto e affrontarlo con spirito costruttivo e generativo. (mf)

#SENZA_TAGLI / Diciottenni, 500 euro (Alessandro Robecchi)

Ben pensata, vecchia volpe. La mossa di mettere insieme nello stesso discorso (e forse nello stesso pacchetto di spese) sicurezza e cultura è quasi da manuale. Matteo Renzi l’ha annunciato nel discorso di ieri l’altro: più sicurezza ma anche più cultura. E consistenti regali: 80 euro ai poliziotti, per esempio, e 500 euro da spendere in libri, cinema, teatri e altro per chi compie 18 anni.

Poco importa che il ministro Padoan ora debba mettersi a cercare coperture in fretta e furia, e già si dice che i soldi per chi diventa maggiorenne (auguri) siano aggrappati a quella speranza di contribuito europeo per i migranti (tranquilli, non daranno 500 euro ai migranti). Ma insomma, l’annuncio è fatto, gli applausi partiti e, come sanno i sovrani, l’intendenza segue.

Può stupire in effetti che l’investimento “culturale” (da mettere a debito nei conti pubblici, comunque) sia un regalo, una specie di buono-acquisto, universale e uguale per tutti. Stupisce anche di più che un capo del governo annunci un dono per tutti i cittadini che voteranno la prima volta. Interpretazione maliziosa, ma non campata per aria: dicono i sondaggi che i diciottenni o non hanno voglia di votare (55 per cento) o votano i 5 stelle (37 per cento). Dunque una specie di campagna acquisti presso l’elettorato concorrente, in contanti. Il Dash promette soldi a chi compra il Dixan.

Altro legittimo sospetto sull’annuncio, l’universalità della mancia: reddito basso, o alto, o altissimo, tutti uguali. Il figlio del bracciante contribuirà con la sua quota di debito pubblico ad acquistare libri al figlio del notaio. Dovendo comprare libri, ragazzi, suggerirei Don Milani, là dove dice che fare parti uguali tra diseguali è una grossa ingiustizia. Prevale, insomma, la gentile concessione rispetto al diritto, in un Paese in cui le tasse universitarie salgono, le borse di studio calano e 58 italiani su cento non prendono in mano un libro nemmeno sotto minaccia armata.

La battaglia mediatica è in corso. Sui social, la pancia del Paese – almeno la pancia dei pasdaran renziani – argomenta che meglio a tutti che a nessuno (un po’ debole). Qualcuno dice «Ah, li avessi avuti io non avrei dovuto fare la barista per pagarmi il corso d’inglese», senza pensare che il corso d’inglese te lo dovrebbe dare la scuola pubblica. La nomenklatura del Pd si schiera a testuggine respingendo insinuazioni di tipo elettorale.

Come ha scritto su Twitter uno dei guru della comunicazione, Francesco Nicodemo: “Chi chiama mancia elettorale il bonus 500euro ai 18enni manca di rispetto innanzitutto ai ragazzi. Come se dicesse loro ‘vi fate comprare’”. Bello, un po’ coda di paglia, ma efficace (e che non esclude per niente il tentativo di acquisto). L’altro guru, invece, Filippo Sensi, si affanna a diffondere le reazioni internazionali alla promessa equazione sicurezza più cultura, titolo affascinante soprattutto se visto da lontano. Anche se, pure a distanza, c’è chi annusa aria di propaganda, come per esempio Le Monde: “Iniziativa abile, almeno di fronte all’opinione pubblica”. Insomma, come dire, bravo ma ti abbiamo sgamato.

Maurizio Ferrera, invece, sul Corriere della Sera di oggi critica aspramente la norma, contestando proprio la logica del bonus uguale per tutti (titolo: Il bonus per la cultura utile (forse) ma non equo). Insomma, la logica del regalo al posto del diritto, della munificenza governativa al posto dell’investimento mirato, la mancia, già visto ad esempio con il bonus bebé prima promesso a tutti e poi ovviamente, e giustamente, riportato a erogazioni basate sul reddito.

Comunque sia, l’annuncio c’è stato, ora si vedranno le procedure: dal 2016 può essere che i neo-diciottenni avranno (coi soldi di tutti) un regalo “culturale” da Matteo. Se poi se ne ricorderanno nel segreto della cabina elettorale è tutto da vedere: ai tempi di Lauro si poteva andare a reclamare la scarpa destra dopo aver votato, oggi è tutto sulla parola. Di Matteo, tra l’altro. Auguri.

*** Alessandro ROBECCHI, giornalista, scrittore, Renzi e i 500 euro ai diciottenni, il regalo invece del diritto, 'pagina99', 26 novembre 2015 qui


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#MOSQUITO / Felicità, passa anche attraverso l'infelicità (Concita De Gregorio)

Può anche darsi che coloro che si applicano alla centratura del sé, che ascoltano il canto delle balene, si curano con i fiori di bach, praticano ceramica raku e meditano ore ad occhi chiusi cercando di ‘sentire’ la propria sorgente di energia raggiungano a vari livelli di sforzo e di costo dei brevi momenti di anestesia locale del dolore. Ciò non toglie che il dolore sia la condizione primitiva. Il motore immobile di ogni cosa. L’infelicità, come ciascuno sa, è la condizione naturale dell’uomo dotato di senno. I nove decimi dei capolavori mondiali letterali, artistici, musicali di tutti i tempi sono il prodotto di temperamenti depressi o iracondi, inclini al suicidio o all’omicidio, gente tristissima, storpia, orfana, disamata, incarcerata, re-uce da esperienze di vita terrificanti o incapace di uscire dalla propria stanza. Pensate che tragedia per l’umanità se Caravaggio, Pavese, Anna Achmatova, Carlos Gardel, Frida Khalo, Leopardi, Dylan Thomas, Bob Dylan, Che Guevara, Artemisia Gentileschi, Saffo o Primo Levi avessero imparato a ‘concentrarsi solo sulle ragioni della propria felicità’, come vorrebbe Anthony De Mello, centomila copie vendute. Se Kavafis avesse ‘depurato la propria mente dalla malinconia’ (Stephen Braun, 300 mila copie negli Usa) e avesse smesso di considerare Itaca un approdo dello spirito - la tensione del viaggio l’illusione della meta - per andarci a passare il mese di luglio in vacanza. Cosi i sommi, ma poi ciascuno ha avuto la prova in qualche momento della vita che il proprio privato talento si nutre di infelicità. O almeno di inquietudine, di disagio. Inoltre: nessun uomo di media intelligenza - uno che veda e senta attorno a sé, dentro di sé - può ragionevolmente essere felice. Felice di cosa? Attimi sì, certo. Lampi, se si è fortunati. Ma per godere del sole bisogna aver patito il freddo, aver imparato a coprirsi e a resistere, a sopravvivere. Un manuale della quotidiana sofferenza, ecco cosa avrebbe senso: che insegni a riconoscere la felicità quando - inaspettata - arriva. Le regole del benessere promettono, in definitiva, una vita tiepida come un pediluvio. Poi - che si sappia - non mantengono nemmeno la promessa. Così si può comprare un altro libro e incrementare giulivi questa bella fetta di mercato. 

*** Concita DE GREGORIO, giornalista e scrittrice, Se basta una regoletta per cambiare davvero la vita, ‘la Repubblica’, 10 maggio 2004.

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#LINK / Orario continuato, una rivoluzione (Viola Giannoli, Andrea Gualtieri, Maria Elena Scandaliato, Alice Gussoni)

Supermercati aperti 24 ore su 24 tutti i giorni, e così anche palestre, biblioteche, parrucchieri. 
La grande distribuzione impone nuovi modelli di consumo e in molti devono adeguarsi. Così sono i lavoratori a pagarne le conseguenze pur di non perdere il posto. 
Un fenomeno che lo studioso statunitense Jonathan Crary definisce "l'assalto del capitalismo al sonno". 
Abbiamo esplorato l'Italia sempre aperta, in barba ai turni di riposo e alle feste comandate, anche se qualche ripensamento sembra arrivare, sotto la spinta della Chiesa e del Parlamento. (dalla presentazione)

*** Viola GIANNOLI, Andrea GUALTIERI e Maria Elena SCANDALIATO. Video di Alice GUSSONI e Maria Elena SCANDALIATO, La rivoluzione dell'orario continuato, 'inchieste repubblica', 25 novembre 2015

Articoli e video:
Se la domenica libera diventa un lusso
I nuovi turni già ci sono, i servizi no
"Il capitalismo è all'attacco del nostro sonno"
Da Roma a Milano, biblioteche sempre aperte
Il no della Chiesa: "Così sfaldiamo le famiglie"

LINK, articoli e video qui

#VIGNETTE / Alta, Biani

ALTAN
Aspettative, 'L'Espresso', 27 novembre 2015

° ° °

ALTAN
Dream Team, 'L'Espressp', 20 novembre 2015

° ° °

Mauro BIANI
Je suis, 'il manifesto', 24 novembre 2015

° ° °

Mauro BIANI
Uniti contro il terrorismo, 'il manifesto', 26 novembre 2015

#VIDEO / Scuse a Oriana Fallaci? No (Marco Travaglio)

Scuse a Oriana Fallaci? No
Marco Travaglio, La7 '8 e mezzo'
La Stampa, 27 novembre 2015
video, 1min42

Marco Travaglio non chiederebbe scusa a Oriana Fallaci per le accusa di islamofobia dopo gli attentati dell’11 settembre. 
«No. Era una grandissima scrittrice, ma non era una grande giornalista perchè aveva un rapporto con la verità piuttosto soggettivo. Non c’era un intervistato che si riconoscesse nelle interviste perché lei intervistava sempre se stessa» ha spiegato il direttore del Fatto Quotidiano durante la trasmissione Otto e mezzo su La7. (dalla presentazione)

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#SENZA_TAGLI / Islam, 5 idee sbagliate (M. Zerrouky, M. Damgé, S. Laurent, W. Audureau

Dopo gli attentati del 13 novembre rivendicati dallo Stato islamico circolano molti pregiudizi o stereotipi sull’islam. Ecco come evitare i cinque pregiudizi più diffusi:

1) Un salafita non è necessariamente un terrorista in potenza
Negli ultimi giorni si parla molto del salafismo, una corrente tradizionalista che mira al ritorno all’islam delle origini. In Francia ha preso piede negli anni novanta, soprattutto grazie al proselitismo di studenti che avevano seguito una formazione in studi religiosi in Arabia Saudita. Questa corrente è associata a una visione dell’islam che in Francia è accettata con difficoltà: prevede pratiche molto rigorose e l’uso del velo o di un abito specifico per le donne, della barba per gli uomini.
Tuttavia, è sbagliato pensare che il salafismo in quanto tale sia uno strumento del terrorismo. La maggior parte dei salafiti non si riconosce nel jihadismo e appartiene a una corrente non violenta che rifiuta qualunque impegno politico, fonte di fitna (divisione), e si concentra sulla pratica religiosa.
Esiste un ramo “rivoluzionario” del salafismo, il takfirismo, che mira a instaurare con la forza uno stato governato secondo le regole dell’islam radicale. Se però si osserva il profilo dei terroristi jihadisti che hanno colpito la Francia, da Mohamed Merah ad Abdelhamid Abaaoud, si può constatare che non corrispondono al modello classico del “salafita” barbuto che per anni ha studiato l’islam. Si tratta per lo più di giovani criminali, spesso radicalizzati nel corso di soggiorni in carcere, che sono stati in Siria ma non hanno un passato di religiosi ferventi.

2) L’islam non è un criterio etnico ma una pratica religiosa
“I musulmani devono sconfessare i terroristi”, “i musulmani non devono cedere al senso di appartenenza”. Da molti anni si osserva nelle discussioni una semplificazione dell’islam: i musulmani sono spesso considerati come un “blocco” unico, si rimprovera loro il senso di appartenenza, considerandoli di fatto come un’unica comunità. A tal punto da far credere che tutte le persone di cultura musulmana siano dei credenti.
Ma questo è falso. Da un lato l’islam, come il cristianesimo o il buddismo, è una religione: non si nasce musulmani, lo si diventa. Si può essere maghrebini e atei, siriani e cristiani. E anche se si afferma di essere credenti, la pratica può essere più o meno regolare, così come l’osservazione dei dogmi e delle regole. Inoltre non esiste un’unica pratica, ma diverse pratiche: gli sciiti e i sunniti non osservano gli stessi riti, e da una moschea all’altra le prediche e la visione dell’islam possono cambiare molto, come del resto in tutte le religioni.

3) Non tutti i musulmani sono arabi e viceversa
A causa della sua eredità coloniale e dell’importante numero di francesi di origine marocchina, algerina e tunisina presenti sul territorio nazionale, in Francia si assimilano spesso musulmani e arabi. Ma questa idea è del tutto sbagliata per tre motivi.
Prima di tutto, da un punto di vista geografico il termine “arabo” rimanda alle popolazioni originarie della penisola arabica (Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, eccetera) ed è quindi impreciso utilizzarlo per le popolazioni di origine maghrebina.
In secondo luogo la confessione religiosa e l’origine geografica non dipendono l’una dall’altra. Così come esistono dei marocchini ebrei e cristiani, ci sono anche dei musulmani francesi.
Infine, il volto dell’islam cambia considerevolmente da un paese all’altro, a seconda della sua storia. Nel Regno Unito, per esempio, la maggior parte della popolazione musulmana è di origine pachistana; in Germania è di origine turca. A livello mondiale il paese musulmano più popolato si trova in Asia ed è l’Indonesia, con più di 200 milioni di fedeli, davanti all’India e al Pakistan.

4) La Francia non è “invasa” dalle moschee
Al contrario di quello che affermano diverse personalità o mezzi d’informazione, la Francia non è “invasa” dalle moschee. Il numero dei luoghi di culto non è facile da quantificare, in particolare a causa della mancanza di centralizzazione dell’islam: al contrario del cattolicesimo, che dispone di un’organizzazione chiara e strutturata, è poco gerarchizzato.
Nel 2012 il ministero dell’interno francese ha stimato che nel paese ci sono 2.449 luoghi di culto musulmano, di cui solo il 2,5 per cento rappresentato da moschee con minareto. Nell’ultimo decennio il numero di moschee è aumentato: il precedente censimento, nel 2000, aveva registrato 1.536 luoghi di culto.
Ma rispetto al numero di fedeli, questa cifra rimane molto inferiore ai luoghi di culto cattolici. Se si stima che in Francia ci siano due milioni di praticanti musulmani, si arriva a un rapporto di un luogo di culto per 816 fedeli. Se si prende invece il dato di tre milioni di cattolici praticanti, cioè che partecipano a una messa almeno una volta al mese, e lo si rapporta alle 40mila chiese consacrate, si arriva a un rapporto di una chiesa per 75 fedeli.

5) Il Corano non lancia un appello esplicito al jihad armato
Dopo gli attentati del 13 novembre, così come dopo quelli di gennaio, le vendite del Corano sono molto aumentate (nella classifica dei 20 libri religiosi più venduti su Amazon Francia sette riguardano l’islam, e il Corano è al primo posto), come se si volesse cercare in questo libro l’origine dell’appello alla violenza.
Sull’esempio della Bibbia e della Torah, il Corano contiene concezioni molto datate sulla giustizia e alcune sure incitano alla violenza contro le altre confessioni, così come altre fanno appello alla tolleranza. Per esempio nella sura 47, detta la sura di Maometto, è scritto: "Quando [in combattimento] incontrate i miscredenti, colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati".
Ma nella sura 3, detta la sura della famiglia Imran, è scritto: "Tu non hai nessuna parte in ciò, sia che [Allah] accetti il loro pentimento sia che li castighi, ché certamente sono degli iniqui. Ad Allah appartiene tutto quello che è nei cieli e sulla terra. Egli perdona chi vuole e castiga chi vuole. Allah è perdonatore, misericordioso."
In ogni modo il jihad non è mai citato come uno dei pilastri dell’islam. Il concetto di “jihad” (letteralmente “lo sforzo”) si applica prima di tutto al lavoro del praticante per conformarsi alle regole dettate dalla sua credenza. Non è quindi un appello alla lotta armata.
“Nessun libro sacro oggi è invocato così spesso per appoggiare forme di violenza o di oppressione”, affermano il professore di filosofia Faker Korchane e Sophie Gherardi, fondatrice del sito d’informazione fait-religieux.com, ora chiuso. “A tal punto che ci si può legittimamente chiedere quello che nei suoi versetti o nel suo statuto può prestarsi a una tale strumentalizzazione politica e religiosa”.
L’alternanza tra chiarezza e ambiguità all’interno di questo libro autorizza molte interpretazioni. Per Korchane e Sophie Gherardi nell’islam l’interpretazione è una vera e propria “passione”, e citano spesso Youssef Seddik, filosofo e antropologo: “Il corano ha abolito qualunque interpretazione imposta da una chiesa. Nell’islam ognuno può interpretare secondo gli strumenti a propria disposizione, anche il più semplice dei credenti. Conta solo l’intenzione”.

*** Madjid ZERROUKY, Mathilde DAMGE', Samuel LAURENT, William AURDUREAU, gionralisti di Le Monde, traduzione di Andrea De Ritis, 'internazionale.it', 27 novembre 2015, qui

#SGUARDI POIETICI / Dicono questo sia benessere (Filippo Amadei)

Dicono questo sia il benessere
della civiltà postmoderna, un’altalena
tra due fabbriche, un francobollo
di verde per crescere i nostri figli
ma chi ci ha illusi in questo modo
noi qui stiamo come un riverbero
nel vento tagliente delle lamiere.

*** Filippo AMADEI, 1980, poeta e consulente aziendale, Forlì, zona industriale quartiere Quattro, da Filippo Amadei, Saperti a piedi nudi, Lietocolle Libri, 2009

#SPOT / Relax, leggere nel fine settimana

(casualmagic.me, via pinterest)

° ° °

 (annnniegirl.tumblr.com, via pinterest)

° ° °

(revival-reawakening.blogspot.co.uk., via pinterest)

#MOSQUITO / Consumismo, il male (Pier Paolo Pasolini)

Che cos'è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall'ansia economica di esserlo? Che cos'è che ha trasformato le "masse" dei giovani in "masse" di criminaloidi? L'ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una "seconda" rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la "prima": il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo "reale", trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c'è più scelta possibile tra male e bene. Donde l'ambiguità che caratterizza i criminali: e la loro ferocia, prodotta dall'assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c'è stata in loro scelta tra male e bene: ma una scelta tuttavia c'è stata: la scelta dell'impietrimento, della mancanza di ogni pietà.

*** Pier Paolo PASOLINI, 1922-1875, poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista,  Aboliamo la Tv e la scuola dell'obbligo, 'Corriere della Sera', 18 ottobre 1975, qui



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#FAVOLE & RACCONTI / La catena d'oro (M. Ferrario)

Grande Vecchio guardò Piccolo Uomo e sorrise. 
«Perché mi sorridi, Grande Vecchio?», chiese Piccolo Uomo. 
«Così», rispose Grande Vecchio, mostrando il viso largo e benevolo.
«Ma ‘così’ non è una risposta», commentò Piccolo Uomo, un po’ contrariato.

Grande Vecchio gli accarezzò il capo. 
«Fai bene a protestare, Piccolo Uomo. Se l’altro ti sembra che non risponda, insisti: non accettare mai di essere messo da parte, trattato come una cosa di poco conto. Ognuno di noi esiste anche nella misura in cui vuole esistere: decide di non essere passivo e si attiva per avere un ruolo nella relazione. Lo dimentichiamo spesso. Ma sono dimenticanze che troppe volte ci fanno comodo».

#SGUARDI POIETICI / La gente ha il potere (Patti Smith)

Stavo sognando nel mio sognare
Di un aspetto luminoso e bello
Il mio sonno si è spezzato
Ma il mio sogno tardava a svanire
Sotto forma di valli splendenti
Dove si sentiva l’aria pura
E i miei sensi si rinnovavano
Mi svegliavo al grido
Che la gente ha il potere
Di riscattare il lavoro dei folli
E la grazia scenderà su chi è in basso
È certo che il potere sarà della gente
La gente ha il potere
La gente ha il potere
Aspetti vendicativi divennero sospetto
Piegandosi in basso per ascoltare
E gli eserciti cessarono di avanzare
Perché la gente era stata ascoltata
E i pastori e i soldati
Scambiandosi visioni
Giacevano sotto le stelle .
Mentre le armi giacevano a consumarsi nella polvere
Sotto forma di valli splendenti
Dove si sentiva l’aria pura
E i miei sensi si rinnovavano
lo mi svegliavo al grido
La gente ha il potere
La gente ha il potere
Dove c’erano deserti vidi fontane
Le acque si alzano come panna .
E giravamo insieme
E nessuno ironizzava o criticava
E il leopardo e l’agnello
Giacciono insieme lealmente accanto
Stavo sperando nella mia speranza
Di ricordare ciò che avevo trovato
Stavo sognando nel mio sognare
Dio conosce una visione più pura
Quando mi arrendo al mio sonno
Affido il mio sogno a te
La gente ha il potere
La gente ha il potere 
Il potere di sognare di governare
Di liberare il mondo dai folli
Il governo della gente è certo
Il governo della gente è certo
Ascolta io credo che ogni cosa che sogniamo
Passerà attraverso la nostra unione
Possiamo far cambiare corso al mondo
Possiamo cambiare il moto di rivoluzione della terra
Abbiamo il potere
La gente ha il potere

*** Patti SMITH, 1946, cantante e poetessa statunitense, La gente ha il potere, in ‘sito comunista’, qui

https://it.wikipedia.org/wiki/Patti_Smith

#SENZA_TAGLI / Ansia, è positiva (Patrizia Mattioli)

L’ansia è un’emozione positiva. Normalmente ha il ruolo di richiamare l’attenzione, di mettere in guarda da certe situazioni di pericolo, di orientare verso azioni necessarie per la sopravvivenza. E’ presente nell’uomo sin dall’alba della sua esistenza come campanello d’allarme in un ambiente carico di minacce. Ci sono paure e ansie che consideriamo ragionevoli, come quelle in reazione agli eventi di Parigi, e altre invece che riteniamo “sbagliate“.
Si tende a considerare patologica l’ansia che prosegue anche dopo la fine di eventi pericolosi, perché mantiene in uno stato permanente di tensione che compromette le capacità operative e di giudizio.
In realtà che la minaccia sia reale o presunta, immaginata o anticipata è comunque in relazione ad una qualche forma di pericolo che la persona percepisce e come tale va sempre presa in considerazione.

I fatti di Parigi sono “passati” ma per la loro caratteristica di imprevedibilità, aggressività, disumanità, hanno stimolato in tutti noi sentimenti di terrore, non controllo, fragilità e vulnerabilità –  che si esprimono attraverso la percezione del rischio in ogni angolo, la diffidenza, il blocco esplorativo, la chiusura – che dureranno molto tempo, perlomeno fino a che non saremo riusciti a ricostruire un significato coerente che dia ai fatti un senso di minore imprevedibilità (se ci si riesce) e non ci saremo ricollocati in una posizione di maggiore controllo rispetto a quello che ci possiamo aspettare dall’esterno.

Ognuno ha un suo modo per elaborare gli eventi a qualcuno riuscirà a farlo più velocemente di altri. A volte il pericolo esterno si combina con il senso di incapacità a fronteggiare il rischio più interno di emergenza emotiva.

Situazioni di instabilità relazionale e/o lavorativa, legami conflittuali, possono aumentare la suscettibilità all’ansia poiché l’individuo percepisce meno la protettività dei suoi riferimenti e si sente più fragile e vulnerabile. L’imprevedibilità di certi avvenimenti minacciosi ha allora l’effetto di potenziare e amplificare certe naturali predisposizioni personali offrendo una prova di quanto i pericoli siano esterni.

L’ansia ha, quindi, una funzione protettiva e preventiva, diventa disfunzionale quando ha più un effetto paralizzante, se non si è capaci di gestirla se si rimane impantanati in ruminazioni cortocircuitanti – a volte le ruminazioni sono legate all’incapacità di focalizzare e dare un nome a un’emozione – e l’organismo permane in uno stato di, apparentemente inutile, iperattivazione.

Un’ansia è più difficile da gestire quando non si riesce a ricostruirne il significato, quando viene vista solo come un problema e non si è in grado di contestualizzarla, cioè di creare un legame tra fatti contingenti ed attivazione ansiosa.

Quando le persone sono particolarmente incapaci di dare significato all’ansia perché storicamente non abituati a coglierla come emozione questa si manifesta soprattutto nei suoi aspetti più somatici: palpitazioni, tachicardia, dolori al petto, senso di soffocamento, nausea, vertigini, paura di impazzire, paura di morire, ecc…manifestazioni che si prestano ad una lettura estranea dell’ansia che in quanto  “corpo estraneo” deve essere eliminato prima possibile.
La sintomatologia organica assomiglia alle prime fasi di un infarto e spesso è accompagnata da un senso di pericolo o di catastrofe imminente, sensazioni che spingono di più verso una gestione farmacologica che psicologica del problema.
I farmaci riducono temporaneamente l’ansia ma non cambiano il modello di apprendimento ed elaborazione che ne è alla base e che perpetua le sue manifestazioni meno funzionali.

Se in una persona per esempio l’ansia è l’espressione della sofferenza per le eccessive pressioni percepite nell’ambiente lavorativo e/o familiare, una soluzione che la elimina, chimica o magica che sia, la metterebbe paradossalmente più a rischio di collasso perché  permarrebbe in situazioni che la stressano senza più neanche la “spia luminosa” a metterla in guardia.

*** Patrizia MATTIOLI, picoterapeuta, L'ansia è una emozione positiva, blog 'ilfattoquotidiano.it', 25 novembre 2015, qui

In Mixtura 1 altro contributo di Patrizia Mattioli qui 

#MUSICHE & TESTI / Credici (Cristiano De André)


Cristiano DE ANDRE', 1962, cantautore
Credici, dall'album Come in cielo così in guerra, 2013
video, 4min08




Chi ha creduto alle menzogne di bocche allenate a monete, 
Alle parole di un potere che subito si inchina ad un altro più rapace, 
Che in trentanni di sottocultura mediatica tra canali e canili, 
A quelle lingue golose dei mercati
che per i loro tacchi rialzati
hanno svenduto il Paese al peggiore dei medioevi 
A meno che non sia ancora preistoria
questo parlare senza ascoltare e non avere memoria... 

Credici, credici. 
I nuovi capi hanno facce sempre più dure.
Tutti vestiti di nero metallizzato come le loro autovetture. 
Credici. 
Che il rosso è così meno rosso e il nero è sempre più nero. 
Non la senti questa decadenza? Questo odore di basso impero? 

Noi speriamo siano banditi dalla storia
senza una pagina una riga e nessuna memoria. 

E adesso che avete messo in ginocchio quella brava gente 
Operai contadini pescatori che da sempre hanno cercato di darvi il meglio ma mai considerati niente 

E dove tu cara madre Chiesa ormai da tutti la più incinta 
Tu che con la CEI lo IOR l'Opus Dei
ci mostri come sei alla santa messa
della tua casta, Cristo ti ripagherà con la sua compassione immensa 

Credici, credici. 
I nuovi capi sembrano tutti Al Capone
tutti vestiti con lo stesso gessato,
e con l'esercito dei salvatori
escono dalle banche entrano nei ministeri. 
Credici. 
Che il rosso è così meno rosso e il nero è sempre più nero. 
Non la senti questa decadenza? Questo odore di basso impero? 

Noi speriamo siano banditi dalla storia
senza una pagina una riga e nessuna memoria 

E saremo tutti insieme 
In una corsa contro il sole 
Con la forza e l'emozione 
In un abbraccio di parole 
E poi il grano sarà luce 
Ed il pane sarà pace 
In una voglia di infinito 
Così liberi di amare 

Al valore del nulla non crederci

(testo da 'canzoni contro la guerra', qui)

#MOSQUITO / Atei, non è cristiano chi nega la loro capacità etica (Enzo Bianchi)

Mi fa soffrire quando si nega la capacità di un’etica a chi non ha la fede, perché questa è una contraddizione con il Cristianesimo. Il Cristianesimo, dal momento che dice che l’uomo è fatto e creato a immagine e somiglianza di Dio, afferma che l’uomo è capace di pensare il bene e di vedere ciò che è male. Di conseguenza, l’uomo è capace di etica anche senza la fede, e anche senza la fede cristiana. La fede non si impone, quando lo si fa, si prevarica. San Paolo dice addirittura: «Voi fate di tutto perché la parola di Dio corra, ma attenzione, non di tutti è la fede». Questo noi dobbiamo accettarlo. Guai se uno pensa di possedere la verità. 

*** Enzo BIANCHI, priore di Bose, intervista a Fabio Fazio, Che tempo che fa, citato da Enzo Biagi, giornalista e scrittore, Quello che non si doveva dire, con Loris Mazzetti, Rcs Rizzoli, Milano, 2006.

In Mixtura altri 3 contributi di Enzo Bianchi qui

venerdì 27 novembre 2015

#MOSQUITO / Doveri, per arrivare ai diritti (Giuseppe Mazzini)

Quand’io dico che la conoscenza dei loro diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante e durevole, non chiedo che rinunziate a questi diritti: dico soltanto che non sono se non conseguenza di doveri adempiti, e che bisogna cominciare da questi per giungere a quelli. 

*** Giuseppe MAZZINI, 1805-1872, politico, I doveri dell’uomo, 1860, citato da Sergio Romano, rubrica ‘lettere al Corriere’, 13 maggio 2007.