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sabato 28 novembre 2015

#FAVOLE & RACCONTI / La catena d'oro (M. Ferrario)

Grande Vecchio guardò Piccolo Uomo e sorrise. 
«Perché mi sorridi, Grande Vecchio?», chiese Piccolo Uomo. 
«Così», rispose Grande Vecchio, mostrando il viso largo e benevolo.
«Ma ‘così’ non è una risposta», commentò Piccolo Uomo, un po’ contrariato.

Grande Vecchio gli accarezzò il capo. 
«Fai bene a protestare, Piccolo Uomo. Se l’altro ti sembra che non risponda, insisti: non accettare mai di essere messo da parte, trattato come una cosa di poco conto. Ognuno di noi esiste anche nella misura in cui vuole esistere: decide di non essere passivo e si attiva per avere un ruolo nella relazione. Lo dimentichiamo spesso. Ma sono dimenticanze che troppe volte ci fanno comodo».

Piccolo Uomo si sentì incoraggiato. 
«Eppure, giù in città, a scuola o in famiglia, dicono che sono polemico: che voglio dire la mia contro gli adulti e che gli adulti vanno rispettati».
«Vero. Il rispetto è un valore fondamentale. Per convivere. Con gli altri, oltre che con la natura. E’ un insegnamento giusto. Naturalmente, il rispetto deve essere il valore di tutti. Anche gli adulti devono rispettare i bambini. Anzi, ancora di più. Perché chi ha maggiori responsabilità ha pure più oneri».

Grande Vecchio fece una pausa per recuperare la vecchia pipa e il tabacco nel cassettone all’interno della grotta. 
Poi riprese. 
«Ma torniamo alla tua domanda. Ti guardavo e sorridevo per almeno due motivi. Il primo perché il sorriso apre al mondo e tu, lo sai, per me sei una parte importante del mondo». 
«E poi?», lo incalzò subito Piccolo Uomo, con gli occhi furbetti. 
«Perché sentivo che mi volevi porre una domanda. La ‘vedevo’ salire in bocca. E aspettavo che uscisse. Sai, le domande sono una delle cose più serie che possiamo regalare all’altro. Vanno sempre onorate. E il sorriso le onora».

Stavolta fu Piccolo Uomo che rilassò le labbra in un sorriso. Ma restava silenzioso.

Grande Vecchio caricava la pipa fingendo noncuranza, poi l’accese e tirò una boccata. Non avrebbe dovuto aspirarla, ma era un godimento che non si voleva vietare. 
Non incalzò Piccolo Uomo, che continuava a sparecchiare la tavola e a impilare i pochi piatti sporchi nel catino col quale poi sarebbero andati al ruscello per lavarli. 
Sapeva che le domande hanno i loro tempi e le loro strade. Arrivano quando sono pronte. Quando il clima è propizio.

Piccolo Uomo provò a raccogliere le idee. 
«Vedi, Grande Vecchio, io amo giocare come tutti i miei amici. Voglio crescere, credo come tutti i bambini della mia età, e domani mi piacerebbe fare un lavoro interessante, un lavoro ‘mio’, che magari possa essere di utilità anche agli altri. Insomma, non penso di essere un bambino con dei desideri particolari. Però…»

Grande Vecchio lo guardava, comunicandogli interesse affettuoso. Ma senza impazienza. Aspettava: che Piccolo Uomo formulasse il suo pensiero.
«Sì, insomma», riprese Piccolo Uomo. «A me vivere piace. Ho capito che nella vita ci sono tante cose da imparare, e non credo che questo sia solo ora che sono piccolo. Immagino che anche da grandi, se si vuole, si trovano sempre cose interessanti e diverse da scoprire, da apprendere. Ma c’è una cosa che ogni tanto mi domando. E cioè: se uno volesse vivere una ‘vita buona’, quali regole dovrebbe seguire?».

Grande Vecchio fece un sospiro rumoroso.
«Caspita, Piccolo Uomo. Sarebbe questa la domanda?»

Piccolo Uomo si scurì in volto. 
E quasi preoccupato, buttò subito lì: «E’ una domanda sbagliata?»

A Grande Vecchio stavolta uscì una risata allegra e sonora: che si disperse oltre la grotta, fino al limitare del bosco. 
«Per carità, Piccolo Uomo: tu sai che ripeto sempre che non ci sono domande sbagliate. Sbagliate se mai sono le risposte. E poi, la tua è una delle domandone che nascono con l’uomo e moriranno con l’uomo. Anzi, l’uomo morirà, e farà morire pure il pianeta, se non riuscirà a dare almeno qualche risposta a questa domanda. Solo che…».
Piccolo Uomo, incentivato dalla reazione positiva di Grande Vecchio, era tutto orecchi.
«Solo che…?».
«Solo che io non ho la risposta, Piccolo Uomo. E temo che nessuno ce l’abbia. Perché dubito che la risposta esista. Forse, ed è già molto, esistono delle risposte. Tante. Ma da trovare. E da raccogliere come le perle di una collana. Che appunto, come le perle di una collana, tutte insieme fanno la collana. E’ questa che, come tu l’hai chiamata, è la ‘buona vita’».

Piccolo Uomo aveva la fronte aggrottata, come sempre quando rifletteva. 
Non era deluso, anche se il suo affetto e la sua stima per Grande Vecchio gli facevano sempre credere che se c’era uno che aveva la ‘collana’, quello era lui. 
E anche in questo caso, era in attesa: forse Grande Vecchio avrebbe aggiunto qualcosa.

Grande Vecchio si sentiva osservato. 
Sapeva che Piccolo Uomo non si accontentava della immagine della collana. 
Diede un buffetto sulla guancia del ragazzo. 
«Vorresti almeno qualche perla?», gli chiese scherzando.

Piccolo Uomo si accovacciò ai piedi di Grande Vecchio, pronto ad ascoltare.
Grande Vecchio cominciò: 
«C’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma, appunto, bisogna superarlo se si vuole scegliere. Ecco, mi viene in mente una favola. Attento: è una favola che coglie soltanto un aspetto della grande domanda che tu mi hai rivolto. Dunque la tua domanda, quella che ho chiamato la domandona, resta tutta intera. E avrai, come me, una vita per tentare delle risposte».

Piccolo Uomo voleva far capire che aveva capito. 
«Insomma, Grande Vecchio, mi dai una perla: poi, costruire la collana resta un problema mio…».

Grande Vecchio sbuffò fuori il fumo della pipa, assentendo in modo vistoso e accarezzando il viso di Piccolo Uomo. 
Poi iniziò il racconto.
«C’era una volta un uomo che aveva trovato, nel baule della soffitta della vecchia casa appartenuta ad almeno cinque generazioni precedenti, una lampada arrugginita. Tu sai cosa succede in questi casi, vero, Piccolo Uomo?»
Piccolo Uomo, compiaciuto di essere coinvolto nel gioco, sorrise: «Succede che l’uomo strofina la lampada ed esce il genio della lampada. E il genio della lampada chiede all’uomo di confessargli un desiderio. Così lui glielo esaudisce…».
«Esatto, Piccolo Uomo. Le favole sono il tesoro dell’umanità. Per questo si assomigliano tutte e anche se parlano in tante lingue parlano una sola lingua. Allora. L’uomo strofina la lampada. Il genio esce e l’uomo esprime un desiderio. Il solito desiderio.»
«Diventare ricchi», interruppe Piccolo Uomo.
«Già, Piccolo Uomo. Vedi che anche i bambini hanno capito subito come gira il mondo…?!», scherzò Grande Vecchio. 
Che riprese subito la storia. 
«Il genio della lampada confida all’uomo che nella Valle delle Pietre, a parecchie miglia di distanza, esiste una pietra capace di trasformare in oro il ferro. Sta a lui trovarla. E poi, più ferro riuscirà a far toccare alla pietra, più oro avrà. L’uomo ringrazia lo spirito della lampada e corre a costruirsi una catena di ferro. Se la arrotola attorno alla pancia e parte per la Valle delle Pietre. Qui comincia a percorrere il sentiero sassoso e procede passo passo. Ogni volta si china, prende una pietra, la batte contro la catena, la catena resta di ferro, lui butta la pietra per terra insieme alle altre e procede. Dopo un po’ i gesti diventano automatici. Raccoglie la pietra, la batte contro la catena e la butta. Raccoglie la pietra, la batte contro la catena e la butta. Ormai ha camminato tutto il giorno e comincia ad essere stanco. All’imbrunire incontra un bambino. “Ehi vecchio, gli dice il bambino, dove hai trovato quella catena d’oro che hai addosso?”. L’uomo si guarda la catena. Non è più di ferro. E’ tutta d’oro. Peccato che non abbia fatto caso al sasso. Quale tra i migliaia che aveva raccolto e buttato ha trasformato in oro il ferro?».

Grande Vecchio riattizzò la pipa, guardando in viso piccolo Uomo.

«E’ una favola antica. Che ci ricorda un insegnamento che non finisce mai di insegnare. Non so se essere presenti a se stessi, a ciò che si fa, a ciò che si pensa è sempre ‘buona vita’. Forse però, per fare ‘buona’ la vita, un po’ di autoconsapevolezza ci vuole».

Grande Vecchio lasciò trascorrere qualche secondo. 
Poi, con dolcezza, toccò le labbra di Piccolo Uomo: «Altrimenti, ci si sbrodola tutti».

Piccolo Uomo, mentre ascoltava Grande Vecchio, non aveva rinunciato alla sua tazza di tè freddo. Ma si era lasciato rapire dalla favola. Aveva bevuto in modo distratto. E non si era accorto del rivolo di tè che gli scendeva dalla bocca. 

«Ma sei fortunato, Piccolo Uomo», concluse Grande Vecchio, facendogli l’occhiolino in modo complice. 
«E’ solo tè. E io non sono la mamma: quindi non debbo sgridarti perché ti sei sporcato tutto… In fondo, le magliette sono fatte anche per essere sporcate. E qui fuori c’è un bellissimo torrente per lavarle…».

*** Massimo Ferrario, La catena d'oro, giugno 2013 - L'ambientazione all'interno delle storie di Grande Vecchio e Piccolo uomo è originale, mentre la favola della catena d’oro è di autore anonimo ed è riportata in parecchi libri.

2 commenti:

  1. ogni favola ha un effetto stimolante, aiuta a comprendere ed aiuta a prendere qualche decisione. Purtroppo la magia non dura a lungo, poiché sono molteplici le sfide quotidiane, quindi è opportuno avere sempre un grande saggio che ci fornisce questo utile strumento di vita, ed apprendere sempre di nuovi.

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  2. Grazie, Francesco.
    Sì, la magia delle favole non dura a lungo, presi come siamo dal turbinio del fare ossessivo quotidiano.
    Per questo, ogni tanto, bisognerebbe mettere una pausa. Leggere una favola. E magari, perché no, provare anche a scriverla.
    Non c'è bisogno di essere scrittori per scrivere. Basta una penna. O anche una tastiera. E poi un foglio bianco.
    L'inizio è già dato: non c'è bisogno di inventarlo. Lo sappiamo tutti: è il solito vecchio dolce "C'era una volta...".
    Scriviamolo, in alto, nel foglio. Il resto arriva. Se abbiamo la pazienza di aspettare.
    La magia della favola si compie da sé. Vale per i bambini. Ma anche per noi adulti. Sempre che, ogni tanto almeno, riusciamo a essere ancora un po' bambini.
    Saremmo (senza retorica) adulti migliori. Ci scopriremmo, dentro, più anima.

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