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mercoledì 26 aprile 2023

#SPILLI / Antifascisti dentro (Massimo Ferrario)

Sì, ormai il giochino è stucchevole. 

Non c'è la parola 'antifascista', dovete dirla, cosa vi costa dirla, perché non la dite, non l'avete ancora detta. 

E se finalmente venisse detta? La vorremmo in grassetto. E poi a tutte maiuscole. E poi... 

Basta. Prendiamo atto di quello che sappiamo e non vogliamo sapere: come volessimo consolarci/rassicurarci per averli mandati al governo. 'Loro' sono quello che sono perché vengono da dove vengono. Nella migliore delle ipotesi sono 'a-fascisti'. Nella peggiore, se non sono fascisti (solo qualche squinternato potrebbe credere di avere un 'progetto di regime fascista' da realizzare), sono beatamente e beotamente preda, e spesso orgogliosi di esserlo, di 'pulsioni fascistoidi'. Ambiscono a ispirare, con queste pulsioni, i 'camerati', loro colleghi a-fascisti, e le cose che fanno e vogliono fare: le politiche già in atto e quelle che attueranno. 

Si collocano nella Costituzione? Giuridicamente, per ragioni di ovvia convenienza politica, fanno e faranno il possibile per esserci: lo deciderà, come sempre, su questioni singole, se e quando verrà interpellata, la Corte Costituzionale. Politicamente, sono e saranno sempre 'borderline': più centrifughi che centripeti. 

La ragione è scontata: non hanno dentro di sé la Costituzione. Alla cui scrittura, peraltro, i loro padri non hanno partecipato (non a caso erano fuori dal cosiddetto 'arco costituzionale') e alla quale si sentono in qualche modo soltanto costretti a obbedire sul piano formale se vogliono continuare a sopravvivere.

Facciamocene una ragione. Perché, 'loro', è vero che rappresentano una minoranza minima di italiani, essendo stati votati da poco più del 25% degli aventi diritto, ma è un fatto che sono stati mandati al governo non dallo spirito santo, ma da italiani 'a-fascisti' come e più di loro.

Quindi? 

Mantenere alta la guardia; incalzare il loro 'a-fascismo' sui fatti e sui valori o disvalori in questi incarnati; pretendere una costante e ferrea congruenza dei loro atti alla Carta Costituzionale; abbandonare l'antifascismo di maniera, celebrativo e ripetitivo, e immettere, finalmente, i principi antifascisti della Costituzione nelle politiche sempre declamate e poco attuate (diritti civili, ma soprattutto diritti sociali). Insomma: più che invocare la Costituzione ad ogni piè sospinto o dai palchi delle giornate che commemorano la Resistenza, far vivere Costituzione e Resistenza ogni giorno, ridando all'una e all'altra corpo e spirito, nell'attualità dei tempi che stiamo vivendo.

E poi, se non si è d'accordo con il loro rozzo e volgare 'a-fascismo', smettere di votarli. Chiedendo a noi stessi di essere, una buona volta e sul serio, 'anti-fascisti'

Non dobbiamo firmare nulla, in grassetto o in maiuscolo. Ma, semplicemente e finalmente, senza gridare a tutti l'atto che compiamo, dovremmo scriverci 'antifascisti' dentro: anche in piccolo, ma a caratteri indelebili. Nell'anima. Perché poi si veda, nitido e brillante, in ogni nostro comportamento.

Banale. Eppure. Un salto di cultura che non abbiamo ancora fatto.

*** Massimo Ferrario, Antifascisti dentro, per 'Mixtura'

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domenica 23 aprile 2023

#SPILLI / Elly Schlein, un film che promette male (Massimo Ferrario)

Quando torneremo a parlare 'parole piene', cominceremo finalmente a creare le condizioni per fare quel cambiamento che è 'parola vuota' da decenni. 

Intanto, per non prenderci per i fondelli, basterebbe imitare l'onestà intellettuale di Margaret Thatcher e ripetere il suo 'tina' (there is no alternative: non c'è alternativa). Una lettura della realtà fastidiosa finché vogliamo, ma che almeno non inganna: niente strane aspettative, la realtà è questa, tenetevela. 

Non basta che una neo-leader di una sinistra-che-continua-a-non-esserci giustifichi la sua incoerenza rispetto alle promesse di cambiamento fatte durante tutta l'intera sua vita di impegno politico adducendo l'argomento che sono state ereditate scelte di altri: come la guerra in Ucraina e il termovalorizzatore di Roma. Le scelte ereditate diventano nostre. A meno che le rifiutiamo. Cambiandole. 

E' tanto ovvio e logico che stupisce che non venga capito. E poiché, anche nel caso specifico, come in molti altri, l'intelligenza logica in certi personaggi pubblici non difetta, allora la deduzione è che viene perfettamente capito.

Ma se viene capito, c'è una conseguenza altrettanto ovvia e logica: anche la neo-leader è entrata a buon diritto nella onnipresente categoria dei ciarlatani. Di coloro che, etimologicamente, 'ciarlano-ciarlano' senza mai dare importanza a quel che dicono. Rendendo tutto vano e futile: provvisorio, vuoto, contingente. Oggi così, domani chissà: il tempo, il contesto, le forze in campo, insomma tutto buono per gettare via le parole di ieri 

Ieri Elly Schlein stigmatizzava, con giusto cipiglio e dito indice puntato, chi si comportava da ciarlatano; oggi, sempre lei, è sul palco con loro. E ha deciso di concorrere al campionato di chi più e meglio e più velocemente tradisce gli impegni assunti con chi l'ha fatta salire sul palco.

Si potrebbe dire: il film è agli inizi. Vero. Ma anche gli inizi condizionano il futuro. E finora i fotogrammi - soprattutto sulla questione sempre più tragica della guerra - fanno pensare che la pellicola non verrà rotta tanto facilmente. 

Si obietta che l'apparato di un partito, peraltro mai diventato un mix culturale capace di una visione comune, offre muri di resistenza di cemento armato. Ma questo non era un segreto per nessuno e se non si ha la forza e il coraggio di rompere con il passato, anche rischiando una profonda disunità iniziale dentro una comunità che non è mai stata comune, non si ciancia di rivoluzione e di rinascita. Invece è stato fatto. E adesso quelle parole si rivelano ciò che erano. 
Ciance.

*** Massimo Ferrario, Elly Schlein, un film che promette male, per 'Mixtura'


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#MOSQUITO / L'estrema destra ha fame (Alessandro Gilioli)

Un giorno si dice che i rastrellatori nazisti nella Roma occupata erano solo musicisti in pensione.

Un altro giorno si dice che i martiri delle Fosse Ardeatine sono stati uccisi perché italiani, e non perché antifascisti ed ebrei.

Un altro giorno si dice che bisogna preservare l’Italia da persone di etnia diversa.

E un altro giorno ancora si diluisce il 25 aprile in una data come tante altre, la proclamazione del Regno sabaudo, la strage di Acca Larenzia, il ricordo delle foibe e così via.

Potremmo prendere il tutto come una catena casuale di gaffe, di “sgrammaticature istituzionali”, di errori storici e di semplice ignoranza, come quella rivendicata dal ministro Lollobrigida.

Oppure possiamo intuire quello che è più probabile: l’estrema destra, andata al potere, ha  fame.

Fame di liquidare il 25 aprile come un giorno qualsiasi, fame di sdoganare una pari dignità politica tra partigiani e nazifascisti, fame di riscrivere la storia assolvendo chi va condannato.

Avrebbero potuto chiedere scusa del ventennio e tentare di essere una destra moderna, come provò a fare Gianfranco Fini.

Hanno preferito la rivendicazione delle loro radici, dei loro busti e dei loro miti; hanno preferito ingaggiare una battaglia quotidiana di dichiarazioni e revisionismi. E nascondono ipocritamente il tutto sotto l’ombrello della parola "riconciliazione", fingendo di ignorare che ogni riconciliazione parte dalla distinzione chiara delle ragioni e dei torti.

E no, i nazifascisti di ragioni non ne avevano.

*** Alessandro GILIOLI, giornalista, direttore di radiopopolare.it, 'Facebook', 21 aprile 2023


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venerdì 21 aprile 2023

#SPILLI / Satira, ma democrazia non è democratura (Massimo Ferrario)

Chiunque ha diritto di dissentire. Chiunque ha diritto di dire che non gli piace una vignetta. Anche chi fa parte di quel Potere che è oggetto di satira. Ma nessuno, e men che meno chi è e rappresenta il Potere, ha il diritto di attaccare la satira, uccidendone la carica canzonatrice, caricaturale e surrealmente sovversiva che ne costituisce lo spirito essenziale e senza il quale la satira non c'è più. Chi ha Potere e lo rappresenta, se lo fa, mette in atto un’azione censoria e intimidatrice, ancor più se accompagnata da un attacco diretto al vignettista e al giornale che ha pubblicato la vignetta. 

Questi assunti dovrebbero costituire i fondamentali intangibili di una democrazia. Di una democrazia che voglia essere tale nella sostanza e non solo nella forma. Altrimenti siamo in una 'democratura'. 

Opporsi a tutto ciò è scegliere di non essere né Polonia, né Ungheria, né Russia. 

E’ logico che tutto questo non sia chiaro alla destra, specie se (post)fascista – oppure, proprio per questo, sia chiarissimo: ed è infatti ciò che con determinazione questa destra persegue. 
Meno logico, ma purtroppo sempre più miserevolmente logico, è che la sinistra non lo capisca. 

Anche questo è un segnale di quanto la destra sia viva e vegeta e la sinistra sia moribonda.

*** Massimo Ferrario, Satira, democrazia non è democratura, ‘Mixtura’, 21 aprile 2023


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giovedì 20 aprile 2023

#RACCONTId'AUTORE / Eros è Rivoluzione (Enrico Finzi)

Lucia è una ragazza di circa 40 anni. Appare carina, con un fondo di malinconia: sembra un po' triste, non depressa ma forse insoddisfatta della sua esistenza. Ha avuto successo come consulente d'azienda, mentre ha affiancato a quell'impegno un'attività di assistente sociale in una seria cooperativa 'non profit'. Non ha figli ma il suo matrimonio dura da due decenni. Nell'insieme può vantare una notevole auto-realizzazione, favorita da un buon tenore di vita, una bella casa, una grande stabilità. 

E allora, da cosa deriva quell'ombra malinconica sul suo bel volto? Forse proprio dal successo, che a un certo punto appare vacuo, incapace di riempire la vita, specie se costruito con regolare fatica quotidiana. Certo, in teoria ha potere su di sé, è empowered, emancipata, moderna. Ma la sua esistenza è senza senso, serve agli altri ma non a sé stessa. Non è abitata dall'Eros, non è stravolta da desideri incontenibili, si sente ed è prevedibile. 

Va da un Saggio: "Lasciati amare", le suggerisce. Aggiungendo un accento al titolo del celebre libro di Herbert Marcuse, "Eros è rivoluzione", le dice. 

Lei muta lo sguardo su di sé, inizia a cambiare il mondo. Non solo il suo, poiché desiderare, sperare, amare muovono le montagne.

*** ENRICO FINZI, 1946, scrittore, saggista, giornalista, per ‘Mixtura’ – Foto di Tina Modotti (1896-1942, fotografa, attivista, attrice)


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mercoledì 19 aprile 2023

#MOSQUITO / Congiura ebraica e sostituzione etnica (Enrico Finzi)

Sì, lo riconosco: sono ebreo. Non religioso e non sionista ma al 100% ebreo: con 2 genitori, 4 nonni, 8 bisnonni, 16 trisavoli, 32 tataranonni. Un ebreo purissimo, senza matrimoni misti alle spalle. E sono favorevole alla sostituzione etnica: come Soros (che non conosco), peggio di Soros. 

Non me la sento, infatti, di difendere un'inesistente etnia italiana, figlia di un guazzabuglio di 'razze', invasori, staterelli, mescolanze varie.
E non credo al valore dell'omogeneità: sin dagli studi di genetica e di antropologia ho appreso che l'umanità ha progredito grazie ai frequenti incroci di diversi.

So che la storia è stata ed è vicenda di meticciati, di contaminazioni di DNA e di culture.
So che il mix di etnie distinte (e in genere esse stesse 'impure') garantisce un miglior sviluppo dell'umanità, talché ho fatto figli - come mio fratello - con donne non ebree, evitando l'endogamìa, tanto cara anche agli israeliti ortodossi.
Vedo con favore, di conseguenza, un'Italia con tanti immigrati: neri, gialli, olivastri, albini e bianchi; cristiani, islamici, giudei, animisti, buddisti, shintoisti, atei, incerti; biondi, castani, rossi, neri, calvi.
E l'identità? La sogno multipla, cangiante, confusa e perciò più sana, ricca, imprevedibile, talora indefinibile.

Pochi ricordano che dal 1938 il fascismo cercò di non far più cantare "Faccetta nera", pur popolarissima, perché lasciava ipotizzare coiti e figli color caffelatte tra i cosiddetti italiani e le "belle abissine", portate a Roma per civilizzarle e amarle. E così mi trovo a non dispiacermi per questo motivetto, pur colonialista: sono per sostituire quelli dei barconi ai Lollobrigida e ai Salvini poiché può darsi che i nuovi esponenti dell'Italia meticcia saranno migliori di coloro che ci governano. 

Scusate, devo smettere: mi sta chiamando l'ebreo Soros...

*** Enrico FINZI, 1946, scrittore, saggista, giornalista, Congiura ebraica e sostituzione etnica, per 'Mixtura'


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venerdì 14 aprile 2023

#RACCONTId'AUTORE / Billi Peri (Enrico Finzi)

Girava sempre a capo coperto. Non con uno dei tanti cappelli, ma con una variante civile del basco detta - non so perché - Billi Peri. Non era rossa o verde o blu come quella di certi corpi militari e della polizia penitenziaria: era una variante grigia, non portata inclinata, ma sempre col classico pirolino al centro della testa.

Aveva a che fare col movimento operaio, poiché molti proletari lo calzavano, anche perché si poteva tenere piegato in tasca e serviva girando in bicicletta, unico mezzo di trasporto degli operai. Era legato alle manifestazioni del Front Populaire nella Francia della seconda metà degli anni '30, alla lotta di classe in Europa, alle brigate internazionali antifranchiste, così come a certi personaggi di Simenon.

Lui, socialista, lo portava come Pietro Nenni: quale un segno silenzioso di appartenenza anti-fascista, diverso dal ridicolo fez dei gerarchi del regime. Non era proibito, solo tollerato: gli mancavano le tese dei Borsalino borghesi, così come il ridicolo pon pon delle camicie nere.

Giacomo, chiamato così perché nato dopo l'omicidio Matteotti (pure questo veniva sopportato per via di San Giacomo), era uscito di casa molto presto, per distribuire manifestini per lo sciopero che si sarebbe tenuto alla Breda dopo due giorni, nel marzo del 1943. Faceva in modo di essere ai cancelli di Sesto San Giovanni prima delle sei del mattino, ancora in pieno nebbione.
Fu a causa della nebbia che crepò, investito da un camion tedesco dell'anti-aerea in servizio a Bresso.
Morì sul colpo. Alla famiglia restituirono solo i documenti, la tessera annonaria, il Billi Peri: "era uno di noi, un compagno" diceva la gente al funerale, dove in chiesa l'organo suonò poche note dell'Internazionale, capite solo da chi la conosceva. 

Ogni anno, per anni, la sezione socialista di San Giovanni Rondò issò il basco di Giacomo De Giorgi sulla sua bandiera rossa.

*** ENRICO FINZI, 1946, scrittore, saggista, giornalista, Billi Peri, testo inedito

Enrico Finzi, dopo una intera vita professionale trascorsa a realizzare ricerche sociali e di mercato (Intermatrix e Astraricerche), ha fondato e dirige Sòno, oggi associazione aps che aiuta ad accrescere l’autorealizzazione personale attraverso il metodo del Narrative Mirror (Racconti di sé, ecomunicare edizioni, 2019). Ha pubblicato saggi sulla felicità ed è coautore, con Virginio Colmegna e Chiara Francesca Lacchini, di Una vocazione controcorrente. Dialogo sulla spiritualità e sulla dignità degli ultimi, Il Saggiatore, 2019. Nel dicembre 2022 è stata diffusa la ricerca demoscopica, promossa da Sòno e realizzata da Astraricerche, Gli italiani, la felicità, il disagio esistenziale.

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giovedì 13 aprile 2023

#RACCONTId'AUTORE / Le pesche della speranza (Enrico Finzi)

Negli anni ‘30 e ‘40 del Novecento molte ragazze ferraresi della piccola e media borghesia si mantenevano agli studi partecipando alla raccolta delle barbabietole e delle pesche: due mesi di duro lavoro nei campi, a fianco delle contadine, pagavano l’iscrizione alle università emiliane o venete (Padova anzitutto).

Ciò valeva anche per le giovani antifasciste della ‘congiura della maestra Costa’, che mobilitò un centinaio di operai, contadini, artigiani, impiegati, insegnanti, intellettuali (incluso il futuro scrittore Giorgio Bassani).

Dall’inizio della guerra di Mussolini una delle attività consisteva nell’inserimento nelle cassette di frutta destinate all’esportazione di bigliettini (manoscritti in italiano, francese, inglese) volti a informare circa l’esistenza di gruppi ostili al regime, il clima politico interno, gli spostamenti di truppe, talune richieste d’aiuto.

Si trattava dell’equivalente di migliaia di messaggi in bottiglia gettati nel vasto oceano dell’Europa in battaglia. La speranza di un ascolto utile era quasi nulla: ma la speranza era la cifra stilistica della resistenza già nel 1941 e nel 1942, prima della caduta del Duce.

Poi il gruppo fu arrestato dall’Ovra e liberato il 28 luglio del ‘43.

Un salto nel tempo: nel giugno del 1944 Roma fu liberata dagli anglo-americani, che avviarono una sistematica ricerca dei nuclei della Resistenza armata in montagna e nelle città del nord, per favorire il coordinamento tra i partigiani in armi e le truppe alleate dirette alla pianura padana.

Uno dei ‘target’ fu l’irreperibile gruppo denominato dagli inglesi "Ferrara peaches", ritenuto composto da migliaia di antifascisti: almeno una delle cassette di pesche era finito in buone mani e aveva suscitato attenzione e speranze. 

Speranze color di pesca, le ultime a morire, la base di ogni opposizione gravida di futuro malgrado tutto.

[ P.S. - Mia madre, Matilde Bassani, era una delle ragazze delle pesche. È stata un anno in carcere coi congiurati della maestra Costa. Ha fatto a Roma la partigiana in armi, ferita dalle SS. Ha visto il suo primo amore, come lei resistente, preso dalla brigate nere e poi massacrato alle Fosse Ardeatine. È stata decorata di medaglia d’oro dal governo inglese per il suo impegno nella liberazione , prima con le pesche e poi col mitra. ]

*** ENRICO FINZI, 1946, scrittore, saggista, giornalista, Le pesche della speranza, ‘Narratur-in1pagina', n. 152, 3 aprile 2023 (si tratta di comunicazione quinque-settimanale a cura di Massimo Ferrario, riservata a un gruppo di amici e inviata via-email).

Enrico Finzi, dopo una intera vita professionale trascorsa a realizzare ricerche sociali e di mercato (Intermatrix e Astraricerche), ha fondato e dirige Sòno, oggi associazione aps che aiuta ad accrescere l’autorealizzazione personale attraverso il metodo del Narrative Mirror (Racconti di sé, ecomunicare edizioni, 2019). Ha pubblicato saggi sulla felicità ed è coautore, con Virginio Colmegna e Chiara Francesca Lacchini, di Una vocazione controcorrente. Dialogo sulla spiritualità e sulla dignità degli ultimi, Il Saggiatore, 2019. Nel dicembre 2022 è stata diffusa la ricerca demoscopica, promossa da Sòno e realizzata da Astraricerche, Gli italiani, la felicità, il disagio esistenziale.


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venerdì 7 aprile 2023

#SPILLI / Zeitgeist, sarà anche una parolaccia, ma non cade dal cielo (Massimo Ferrario)

Immagino che sarò presto severamente multato se insisterò nell’uso di 'Zeitgeist' al posto di 'Spirito del Tempo'. Colpa, appunto, di ‘questo' attuale Spirito del Tempo. 

Lui si crede nuovo e fulgido e finge di non sapere, invece, che è vecchio e cialtrone: se non altro perché, non avendo neppure il coraggio di essere originale, si ispira a pappagallo alle veline dell’altro secolo che, tra un gagliardetto e l’altro, imponevano 'diporto' per 'sport', ‘fine di pasto’ per ‘dessert’, ‘torpedone’ per ‘pullman’, ‘tassellato’ per ‘parquet’, ‘alt’ per ‘stop’. E via seguitando con altre amenità linguistiche di stampo patriottardo. 

Ci si potrebbe consolare credendo che l’idea becera di imporre per legge il lessico ‘nuovo-vecchio’ e tutto il resto che ad esso si accompagna (dove ‘tutto il resto’ è ben più serio e inquietante dell’idiotismo di una legge sulla lingua italiana) lo voglia questo stupido Spirito del Tempo e quindi a noi siano consentite solo due scelte: o un inchino ossequioso, accompagnato da uno squillante signorsì, o un virile alalà, gridato a braccio alzato. Ma non è vero: sarebbe, tanto per stare nella dimensione psicologica, una ‘proiezione’. Sarebbe cioè ripetere ciò che facciamo continuamente: gettare altrove una colpa che è nostra. 

Perché quanto ci sta accadendo non ci sta accadendo per un ‘destino cinico e baro’: non ci piove addosso dal cielo. Ce lo siamo approntati noi: negli anni. Vuoi con intenzione precisa e consapevole, e quindi, come si direbbe in presenza di un reato, con dolo. Vuoi per indifferenza, disinteresse, ignoranza: e quindi adottando un comportamento pienamente colposo. E non solo. Tuttora noi stiamo nutrendo questo orrido Zeitgeist: per esempio non proponendoci, con forza condivisa e chiarezza sufficiente, un destino alternativo. 

L’oggi è stato incubato in tanti modi: tutti culturali. E attenzione: è proprio il nesso connaturato con la pratica che evita alla cultura il viraggio nell’accademia, chiamata (questa sì giustamente) a speculare e non ad agire. Per esempio, ciò che oggi accade è stato incubato con un antifascismo, più di parole e che di fatti, dimentico del messaggio potentemente trasformativo-rivoluzionario insito nella Costituzione (basterebbe che tutti i cittadini, e soprattutto chi vuol fare Politica e non politica, avessero scolpito nel cervello l’art. 3: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…”). Oppure è stato incubato con un antifascismo stucchevolmente di maniera, confinato nelle cerimonie pubbliche grondanti retorica patriottarda (prima ancora dell’avvento dei sedicenti patrioti attuali). Oppure ancora, questo becero Spirito del Tempo, ce lo siamo costruiti noi con un atteggiamento/sentimento di ‘afascismo orgoglioso’ (anticostituzionale, certo: ma chissenefrega), che voleva impudentemente indicare a tutti che ormai, finalmente, ci affrancavamo da quei tempi oscuri e volevamo essere il nuovo futuro pacificato, dimentico della distinzione tra chi fu vittima e chi fu carnefice. 

E poi, non più tardi di qualche mese fa, a determinare ciò che oggi ci accade è stato il voto alle politiche 2022. Certo, si tratta di un voto di solo il 28% degli aventi diritto a favore della ‘destra-destra-centro’, ma sappiamo che chi non vota, non conta: anche se dovrebbe contare, soprattutto quando segnala, con una percentuale record nella nostra storia (36% di astensionismo), dissenso, protesta, rancore, distanza, indifferenza, inviando un grido di possibile vicino pre-collasso di una democrazia. 

Quindi: sull’incubazione, e sull’incubo, di questo Zeitgeist, mettiamo uno stop (o, più italianamente, un alt) alla sorpresa o alla lamentazione. Se la parolaccia tedesca disturba (una volta tanto non è americana), traduciamola pure in italiano. In qualunque lingua si dica, comunque, basta sapere che lo Spirito del Tempo, di ‘questo’ asfissiante e, per certi versi, anche ridicolo Tempo che stiamo abitando, siamo noi. Ripetiamocelo: NOI. E la maiuscola non è scritta in nostro onore, ma per scalpellarci bene in mente la responsabilità cui non possiamo sfuggire. 

*** Massimo Ferrario, Zeitgeist, sarà anche una parolaccia, ma non cade dal cielo, per Mixtura


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