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sabato 11 aprile 2020

#MOSQUITO / 'Hybris' e 'pietas' (Vera Gheno)

C’è un concetto che possiamo prendere in prestito dalla mitologia greca: quello di hỳbris. Chi ha fatto il classico ricorderà che questo termine viene sovente tradotto con «tracotanza»: è la presunzione degli uomini che, a forza di accumulare successi, credono di potersi elevare al rango degli dèi o di poter commettere azioni che vanno contro le loro leggi (scritte e non scritte). Insomma, chi commette un atto di hỳbris si ritiene superiore perfino alle divinità. Una forma odierna, forse meno appariscente, di hỳbris è quella esercitata da molti intellettuali: avendo studiato, ritengono di essere superiori alle altre persone, che meritano solo disprezzo perché meno acculturate. Ma la funzione dell’intellettuale non dovrebbe essere quella di ricondividere, a sua volta, quanto ha potuto studiare? In altre parole, se l’intellettuale tiene per sé la propria conoscenza, qual è il suo ruolo nella società? La tracotanza va controbilanciata con un altro sentimento, che possiamo prendere questa volta in prestito dalla tradizione antica romana: la pietas. Che non vuol dire «pietà», quanto piuttosto «attenzione per il prossimo» non dimenticarsi, insomma, di essere parte di una rete di esseri umani.

A modo suo, è il messaggio che Antonio Gramsci affida al alcune righe scritte nel 1916:
" Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri" (Antonio Gramsci, Socialismo e cultura, in 'Il grido del popolo', 29 gennaio 1916.

*** Vera GHENO, sociolinguista, Potere alle parole: Perché usarle meglio, Einaudi, 2019


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