Pagine

mercoledì 4 marzo 2020

#SPILLI / Ed ecco a voi la 'Scienza della Felicità' (Massimo Ferrario)

Sono anni che, anche in Italia, sull'onda della moda statunitense, alcune aziende si sono inventate la casella organizzativa di 'Direttore della Felicità'. 

Non sono quindi rimasto particolarmente sorpreso quando mi è capitato di leggere, sul solito network professionale (dai contenuti sempre meno 'professionali' e sempre più 'autopubblicitari'), la presentazione di un 'articolo' di una giovane CHO (*): una sigla, ben nota negli Usa e arditamente inserita, da tempo, in diversi organigrammi anglosassoni, la quale vuole significare Chief Happiness Officer e che in Italia, addirittura, è appena diventata il prodotto di una certificazione rilasciata da un istituto privato (IIPO, Italian Institute for Positive Organizations).

Avrete notato come, in questo campo, se non si parla inglese, si è out

E infatti l'articolo giustamente rigurgita di italo-inglese
Anche se la qualifica di articolo è azzardata: visto che si tratta di uno scritto autopromozionale che mira a vendere l’autrice e la sua nuova attività consulenziale appena avviata con due amiche altrettanto neo-CHO. A dare contenuti, infatti, per di più indirizzati a 'salvare il mondo' con la magia 'scientifica' del Pensiero Positivo, non basta l'entusiasmo ingenuo di una neocertificazione conquistata con un corsetto di 4-giorni-4 (come da sito CHO).

Probabilmente, alla mia stagionata età, dovrei essere ben conscio che questi sono i 'miracoli' che oggi sa produrre il business. Ma resta il fatto che, come portatore convinto (e spero tuttora sano) di una ideologia professionale 'rétro', in qualche modo validata da quarant'anni di militanza consulenziale, mi sono ritrovato, a compulsazione avvenuta del pezzo, un po' irritato (eufemismo). Anche perché la stizza risultante si era sommata a quella precedente, nata ben prima che io cliccassi sul link e procedessi, con calma tentata e non riuscita, alla lettura dello scritto.

Mi era stato sufficiente, infatti, notare il taglio dell'annuncio: che mi si era imposto negativamente per almeno tre ragioni.
* La prima sta nel titolo ben evidenziato (Scienza della Felicità… non è mai troppo tardi per scegliere di essere felici!) della serie: "Se non siete ancora felici, forse vi siete distratti e non avete pensato a sufficienza a come fare per esserlo, comunque ora sono qua Io che vi porto la Verità (please, maiuscolo, of course, sia Io che Verità)".
* La seconda sta nel binomio 'scienza+felicità', i cui due termini, nella mia grossolana visione della vita, faticano a stare insieme, perché sia l'uno che l'altro evocano 'concetti' assai seri e l'uno più l'altro sono un insulto ad ambedue: se la felicità, come sono convinto che sia, è un picco magicamente  e misteriosamente raggiunto e non uno stato preventivamente progettabile, nessuna scienza più o meno esatta è in grado di assicurarla, determinando con certezza passi, modi e tempi per raggiungerla.
* La terza sta nella infinita serie di #hastag che subito sotto il nominativo dell'autrice (la quale ovviamente, non si presenta solo come CHO, ma pure come Systemic Relationship Counselor, Innovation Manager, Business Coach e altro ancora), al termine dell'annuncio e prima del link che apre all''articolo', vogliono suggerire i temi chiave cui l''articolo' stesso avrebbe poi voluto ispirarsi. 
Eccoli, in fila indiana:#Positiveorganization,#chiefhappinessofficer,#scienzadelsè, #welfaregenerativo,#sostenibilitàpersonale,#sostenibilitàprofessionale,#sostenibilitàorganizzativa,#sostenibilitàsociale).

Come saggiamente dice il proverbio della nonna, che vede il buongiorno dal mattino, il pezzo sul quale alla fine mi decido a cliccare è coerente con la presentazione.

Salto la parte di self-marketing, in cui l'autrice presenta se stessa e il profilo delle sue due colleghe, folgorate come lei sulla sorridente strada della felicità, e leggo le 8 competenze definite cruciali «prima di tutto per guidare la nostra vita e poi per agire con maggiore consapevolezza la responsabilità di sviluppare altri esseri umani». Naturalmente sono in inglese (copiate dal programma di certificazione CHO), ma per fortuna l'autrice fornisce una degna traduzione (libera). 

Le ricopio: «(1) Strategic thinking & positive future planning (Guarda fuori); (2) Organization Epigenetics (Guarda dentro); (3) Evolutionary cultural change (Definisci la nuova visione); (4) Self Science (Allinea te stesso); (5) Positive leadership development (Allinea gli altri); (6) Positives practices strategies (Scegli le pratiche); (7) Positive organizational management (Aggiorna i processi); (8) Happiness & work strategy (Fai della felicità una strategia coerente).»

Freno qualche brivido provocatomi da ognuna delle 8 competenze e, soprattutto, cerco di non lasciarmi troppo innervosire, essendo ben consapevole della mia inveterata reattività fobica a parole come conformità e conformismo, dall'invito, ripetuto addirittura due volte, all'allineamento: un allineamento (di cosa?, dove?, perché?), che peraltro qui non compare esplicitamente nella elencazione inglese delle 8 sedicenti virtù (è un'originale aggiunta libera della CHO), ma che la cultura manageriale anglosassone, come sappiamo, non smette di ripetere in forma di quotidiano mantra ossessivo: se non sei allineato (tu, l'azienda, il contesto, il mondo), sei fuori e il rischio di diventare perdente è il peggio che ti possa capitare, perché non potrai più essere incoronato vincente. Deduco che, nel corso che ha portato la CHO alla certificazione, il concetto di allineamento sia stato abbondantemente sottolineato e che la 'Scienza della Felicità', almeno in questa versione casalinga, ne abbia fatto un suo cardine.

Procedo oltre. 
In maniera un po' random vengono segnalati, in poche righe, numeri da ricerche che vorrebbero indicare, come scoperta che forse dovrebbe spiazzare chi legge, la diffusa demotivazione delle persone nel mondo: nel contesto lavorativo, ma non solo. 
Tant'è. Se non lo sapevamo, ora non possiamo più ignorare che gli esseri umani, sul Pianeta, in grandissima maggioranza, sono depressi e non sono felici. E il motivo è ovvio: finora è mancata la 'Scienza della Felicità' (d'obbligo il maiuscolo). 
Questa è la 'scienza', scrive l'autrice, che «nasce dalla convergenza e dall'integrazione multidisciplinare dei diversi contributi di scienze consolidate come la psicologia positiva, la biologia, la neuroscienza, la fisica quantistica e l’economia circolare: ha l’obiettivo di creare un ambiente positivo e collaborativo. »
Aggiunge poi, con incrollabile sicurezza: «La felicità nella vita è una tecnologia sociale capace di far fiorire il potenziale di ognuno. La felicità è una meta-competenza che va allenata comprendendone principi di base e  impatti possibili. Ad ogni persona e sistema il proprio percorso unico e distintivo.»

Segue l'elencazione dei 3 Principi-base della Scienza della Felicità e dei 4 Ingredienti-base per la Trasformazione Organizzativa.

Giunti a questo punto, essendo più buono di quanto in genere possa sembrare, bonariamente abbono a chi legge sia gli uni che gli altri.
Esorto solo a credere, con profonda fede e senza ombra di dubbio problematico, anche per l'apoditticità con cui sono presentati e l'autorevolezza della terminologia anglosassone profusa a piene parole, che con la scrupolosa osservanza dei '3+4 punti' sopra accennati, chiunque potrà essersi impadronito del nuovo catechismo della felicità. E che il quarto 'ingrediente base', detto 'Cultural Trasformation' (sarebbe 'Transformation', ma anche i fan dell'inglese possono sbagliare...), assicurerà, fissato quotidianamente sulla bocca vostra e dei vostri colleghi di organizzazione, il quotidiano sorriso da paresi di chi ha finalmente trovato la pace eterna della felicità.

Chiudo il link e ritorno al network (faccio quel che posso per stare al passo con l'inglese...), nella parte aperta ai commenti. 
Noto così, by the way, che l'articolo della suddetta CHO ha un like attivo posto dalla stessa autrice. Così come un like, sempre della stessa autrice, è sotto un suo commento ad una collega che ha scritto cose entusiastiche su di lei: insomma, uno scambio reciproco di amorevoli coccole. 
Non posso non riflettere sul fatto che, com'è ovvio, la 'Scienza del Sé', mescolata con il sacro 'Pensiero Positivo', deve insegnare, giustamente, a non smettere mai di pomparsi l'Io e l'Autostima: non bastano i like degli altri per soddisfare il nostro narcisismo, meglio darseli anche da soli.

Ne ho abbastanza. 
Apro la sezione apposita e non resisto a battere il mio primo commento: sublimando la rabbia, che ha sostituito irritazione e stizza, in ironia. 

Seguirà una breve conversazione,
in altre quattro battute, cui parteciperà, con una sua 'pillola' (decisiva), anche un'amica-collega: che da anni conosco come persona competente, seria e brava nell'area del personale e so da sempre estranea all'ambiente degli 'scienziati della felicità'. Vorrei non instaurare una qualche correlazione tra il suo stato di (felice?) dis-appartenenza alla 'setta dei felici' e il mio giudizio positivo appena espresso su di lei, ma confesso che l'idea della correlazione mi è scattata in automatico.

Ecco i fotogrammi dello scambio, esattamente come si è realizzato.

Io a CHO - «Forse l'articolo dovrebbe essere inviato a cassintegrati, licenziati e futuri disoccupati delle migliaia di aziende in crisi o fallite. Soprattutto di quelle che continuano a ripetere ossessivamente il mantra delle 'persone al centro' o delle 'persone oltre le cose'. Sarebbe insomma una lettura confortante per tutti gli 'esuberi' che non sanno essere sufficientemente 'esuberanti' e si lamentano e intristiscono e deprimono insopportabilmente chi gli sta vicino. Potrebbero imparare anche loro la 'scienza della felicità'. Facendo tra l'altro un'abbuffata invidiabile di termini inglesi. Che sono sempre tanto 'in'.»

CHO a me - «Grazie Massimo Ferrario più capitale sociale vuole anche dire essere vicini e sostenere chi ha più bisogno in ogni contesto sociale ci auguriamo lo sviluppo del bene comune ognuno fa quello che può (con faccina sorridente)».

Io a CHO - «Credo che il vero 'capitale sociale' che oggi scarseggia', in generale e tra i consulenti che dovrebbero "essere vicini e sostenere chi ha più bisogno in ogni contesto", sia il 'pensiero problematico'. Che è, a mio avviso, l'unico pensiero 'vero': perché vede (vuole e sa vedere) il positivo e il negativo che è in noi e nella realtà. E che, ispirato ad una visione 'confidente', in noi e nella realtà, sa porre le basi per essere 'trasformativo'. Se manca il pensiero 'critico', è facile la deriva, o al pensiero 'pessimista/lamentoso/inconcludente' (che finisce per 'proiettare' sempre sugli altri la responsabilità del 'negativo') o al pensiero beceramente 'positivo' che oggi piace tanto, al punto da essere posto a fondamento addirittura di una sedicente 'scienza'.  Io continuo a trovare questo pensiero un pensiero 'coatto', in quanto imposto e 'fissato' in modalità 'iperottimista', che rischia di diffondere, per giunta attraverso un approccio spacciato per 'scientifico', una (pseudo)felicita più 'beota' che 'beata', incosciente e irrealistica. Con la conseguenza, inoltre, di colpevolizzare chi non si 'allinea' alle 'magnifiche e progressive sorti' del nuovo credo. (...Ma teniamoci, felicemente, la nostra dissonanza...)».

Un'amica/collega a me - «Basterebbe una scienza del rispetto delle persone ma è “troppo antiqua” come mi son sentita dire pochi anni fa in una azienda “people love”!!!»

Io all'amica/collega - «Concordo totalmente. Basterebbero aziende che, in buona o malafede, non prendessero in giro le persone, spacciando slogan truffaldini, meglio se scopiazzati dall'amerikano, per politiche e comportamenti istituzionali in cui fingono solo di credere. Basterebbe ancorare valori e prassi al principio-guida del 'rispetto' della 'persona come persona' (e non come 'risorsa': che, in quanto tale, non poteva che diventare quel che è diventata, cioè una 'pedina-usa-e-getta'). Basterebbe una consulenza che volesse (e sapesse) essere 'dialettica' nel rapporto con la committenza, dicendo i sì e i no che servono, e non si comportasse in stile 'zerbino' (perché se si è 'pagati' non si è necessariamente 'comprati') e non aiutasse la committenza, almeno nel campo dello sviluppo organizzativo, a insufflare all'interno immagini retoriche stucchevoli al solo fine di pompare positività (creduta) motivazionale. Quello che non ci vuole è una 'scienza', per giunta venduta come una nuova 'religione', che assicuri il paradiso in terra. Ci vogliono, banalmente, consulenti competenti e 'terzi', che sappiano analizzare, problematizzare, ragionare, capire, proporre. E, quando è il caso, rifiutare l'incarico: per non farsi complici. Tutto qui.»

La giovane CHO non è più intervenuta. Se per avventura le avessi fatto pensare che la 'Scienza della Felicità', almeno nel mio caso, ha clamorosamente fallito, non essendo riuscita a rendermi felice, sarei felice.

*** Massimo FERRARIO, Ed ecco a voi la 'Scienza della Felicità', per Mixtura. - (*) Non è importante citare il nome perché qui la polemica è con talune impostazioni consulenziali più che con loro singoli 'fan'. Del resto, anche altrove (sempre in consulenza, ma non solo), magari senza auto-proclamare 'scientifico' il proprio approccio, si propagandano spesso ricette semplicistiche e onnirisolutive. Non è una consolazione: il mal comune (in questo caso con buona pace della nonna), lungi dall'essere mezzo gaudio, moltiplica il male.


In Mixtura Ark #Spilli di Massimo Ferrario qui
In Mixtura, in tema di 'pensiero positivo', si può leggere anche un mio articolo di qualche anno fa (Pensiero positivo e pensiero 'cretino', #Spilli, 14 febbraio 2015, qui)

Nessun commento:

Posta un commento