È sera. È tardi. Su un regionale di quelli dell’ultima ora, in una stazione secondaria vicina alla città di destinazione, sale un tizio nervoso e ipercinetico. Mi chiede: “questo va in città?”. (Ero già sulle porte: mi preparo sempre molto prima a scendere, soprattutto quando è tardi). Mi sorprendo per la domanda perché siamo già in città, è solo la fermata secondaria. Ma poi aggiunge: “sono appena uscito dal carcere, sono senza soldi e devo andare a Milano, mi hanno fatto scendere e ora provo alla prossima stazione a risalire su un altro treno. Secondo te ce la faccio?”.
Ecco, lo ammetto, già a quel “sono appena uscito dal carcere” mi sono messo in modalità difensiva, ho pensato: ora mi racconta la sua storia e alla fine mi chiede i soldi, vuoi vedere... Insomma do un’iporisposta con un cenno minimo della testa, già chiuso a riccio.
Lui continua: “i soldi ce li ha mia madre a Milano, ma devo prima arrivare lì, mi va bene pure la multa sul treno basta che torno a casa, ma mi hanno fatto scendere”. Io sempre serrato e distaccato attendo la sua richiesta di denaro. Che però non arriva. In compenso arriviamo in stazione e lui mi fa: “ce n’è uno tra 10’ e poi casomai un altro tra 30’, dai che stasera a casa ci torno!”. E con un sorriso felice, ma teso, mi saluta e se ne va. Senza dire altro. Senza chiedermi neanche un soldo.
Scendo anche io dal treno e mi dirigo verso casa pensando alle mie sagaci e inutili precauzioni: mi hanno quasi fatto perdere quella storia di peripezie, di libertà ritrovata, di salite e discese rocambolesche, ma soprattutto di felice impazienza per il ritorno a casa, che quel tizio mi stava regalando. #diariopendolare
*** Bruno MASTROIANNI, filosofo, esperto di comunicazione, facebook, 4 aprile 2019, qui
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