Pagine

giovedì 14 marzo 2019

#SPILLI / Atm, si dovrebbe ricaricare una tessera anche con cortesia (Massimo Ferrario)

Ieri sera, in autobus, avvicino la solita tessera ricaricabile alla macchinetta (oscenamente) detta obliteratrice. Lampeggia in rosso un segnale minaccioso: tessera scaduta. Rimango sorpreso: non ricordavo, al momento, che la tessera avesse una data di morte. Controllo: ovviamente, come sempre, hanno ragione le macchine. La carta di plastica è defunta da due giorni. Cerco su internet il rimedio. Unico posto in cui recarsi, in tutta Milano, per ottenere una nuova tessera in cui vengano trasferite le corse non ancora consumate della vecchia è l'Atm point di piazza Duomo. Ricordo vagamente di aver già fatto una cosa simile anni fa.

Rientro ora dalla operazione conclusa, ma mette conto un accenno al modo in cui è stata realizzata.

Mi presento allo sportello.
Saluto, come sempre faccio per normale cortesia imparata fin da piccolo, un impiegato che non mi saluta. Dico il problema. Lui recepisce e prende la carta scaduta. Colgo l'occasione per chiedere alcune informazioni: credo di sapere le risposte, ma desidero avere conferma. A monosillabi, sempre in modo non ineducato ma un po' scontroso, mi risponde di sì: in caso di bisogno posso sostituire la tesserina Atm, per il pagamento del biglietto, con la carta di credito o il bancomat.
Lo ringrazio: sottolineo con enfasi che mi ha dato un'informazione utile. Se ieri sera l'avessi saputo, aggiungo, avrei evitato di viaggiare a sbafo: gli dico, sorridendo, che sono disponibile a pagare ora il viaggio ieri non 'obliterato', ma immagino che non ci sia la procedura per farlo. Lui, sempre scuro in volto, mi fa capire che ho ragione.

Intanto smanetta in silenzio al computer sul mio problema. Penso che stia predisponendo la nuova carta, trasferendo i dati contenuti nella vecchia.
Trascorrono pochi minuti. Poi, senza guardarmi in faccia e dirmi nulla, dopo essersi preso il telefonino che aveva sulla scrivania, si alza e scompare dietro un vetro. Neppure mi 'mette in attesa': ovviamente non ha una musichetta disponibile come i numeri dei call center, tuttavia la voce per annunciarmi perché mi sta abbandonando e quanto tempo, più o meno, gli ci vorrà per fare quello che dovrà fare, ce l'avrebbe. Ma forse è troppa fatica usarla. "I dati non li ha ancora trasferiti", penso. "Forse deve farlo da un'altra postazione, abilitata, che sta nel cosiddetto backoffice".

Attendo prima fiducioso, e poi via via sempre più indispettito, per un quarto d'ora. L'operatore non ricompare. Il tempo, per una semplice operazione di trasferimento dati, mi sembra eccessivo. Vagamente, mi sembra di ricordare che anche la volta precedente, anni fa, l'operazione era stata più travagliata di quanto uno si possa attendere. Tamburello con le dita, nervosamente, sul piano dello sportello, continuando a guardare oltre il vetro. Nulla. Mi consolo pensando che prima o poi ritornerà.

E infatti, finalmente, allo scoccare forse del ventesimo minuto, si compie l'epifania.
L'impiegato arriva e, sempre muto, si risiede allo sportello. Io lo guardo. Poi, un po' piccato ma anche con un sorriso che vorrebbe spegnere l'irritazione, commento: "Certo che è stata un'impresa infinita il passaggio dalla vecchia alla nuova carta...".
Lui bofonchia come a sé stesso un 'lasciamo perdere" con relativo accenno di sbuffo, metacomunicandomi che non è il caso di aprire una discussione con il solito cliente attaccabrighe.
Io lascio trascorrere qualche secondo, poi insisto, con pacatezza ma con fermezza: "Scusi, mi ha lasciato qui in piedi ad aspettare per oltre un quarto d'ora e adesso neppure risponde al mio commento. Le pare possibile? Forse avrebbe bisogno di qualche corso di formazione. O, più semplicemente, di ricordare un minimo di educazione".
Lui fa finta di non avere sentito: sempre bofonchiando, in maniera secca e scostante mi informa che "ogni cosa ha il suo tempo".
Poi, mi intima: un euro. Evito di creargli problemi con una banconota anche soltanto da cinque, trovo la moneta esatta e gliela porgo. Lui la prende. E ancora, senza dirmi nulla, si alza e se ne va.
Stavolta non so proprio cosa pensare: non ha neppure la scusa di cercare un resto. Temo una 'vendetta': non riesco a non pensare "chissà ora quando tornerà".
La vendetta forse non è una vendetta. Ancora adesso mi chiedo dove fosse andato, questa seconda volta, con il mio euro, ma non importa: ero così felice che fosse ricomparso dopo soli due minuti, che non ho aperto bocca.
Come lui, peraltro. Che, in un silenzio per nulla zen, ma di indifferenza totale e annoiata al mondo e al disgraziato interlocutore che aveva di fronte dietro il vetro, si è ri-seduto, ha afferrato la nuova tessera ricaricabile sulla scrivania e me l'ha avvicinata sul banco dello sportello insieme con una ricevuta. Ho chiesto quanti viaggi fossero stati trasferiti sulla nuova carta, perché i caratteri sulla ricevuta erano microscopici e non avevo con me gli occhiali. In risposta, infastidito, mi ha sparato un 'sette', subito schiacciando il pulsante per illuminare il numero della prenotazione del nuovo cliente.
Nessun buongiorno da parte sua.
A me è costato non salutare, ma sono abituato a unire sincerità a gentilezza e stavolta la mia gentilezza sarebbe stata ipocrita.

Non voglio generalizzare. 
Da sempre combatto il mantra, stupido, per cui il cliente ha sempre ragione e capisco il lavoro usurante di chi è a contatto con il pubblico. Spesso, lo ripeto da una vita, siamo noi clienti che meriteremmo dei corsi di formazione. Forse il tizio in cui mi sono imbattuto era in una giornata no: capita anche ai maschietti di avere il mestruo. La sola differenza è che noi, poiché non ne vediamo i segni fisici, siamo convinti di non averli: con il risultato che le donne li sanno gestire e noi invece ci facciamo gestire. Però, qui non c'entra la 'mistica' oggi di moda del cliente sopra tutto e tutti (naturalmente valida più a parole che nei fatti, e comunque sempre discutibile anche in teoria): conta il fatto che i mestrui dell'operatore non possono ricadere sull'utente. E un minimo di buona educazione, proprio perché nello 'spirito del tempo' imperversa il 'cattivismo', diventa sempre più necessario e obbligatorio. Non perché io, pagando un servizio, ne abbia diritto (come invocato da chi ha una visione solo contrattualistico-mercificante di una convivenza umana): ma perché siamo esseri umani e il rispetto verso l'altro, che si  mostra anche in forma di cortesia, è cosa bella e buona da dare e ricevere. O, almeno, così io, da vetero impenitente, continuo a pensarla.

*** Massimo Ferrario, Atm, si dovrebbe ricaricare una tessera anche con cortesia, per 'Mixtura' -
Vedi anche, purtroppo sempre con riferimento ad Atm, un mio precedente I momenti della verità, 20 marzo 2015, qui


In Mixtura ark #Spili di Massimo Ferrario qui

Nessun commento:

Posta un commento