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giovedì 31 maggio 2018

#SPILLI / Il caso Mattarella-Savona: censura del pensiero? (M. Ferrario)

Molti, tra i pochi opinionisti solitamente fuori dal coro, ma anche tra esperti di diritto e costituzionalisti illustri, hanno criticato, pure pesantemente, la posizione assunta da Sergio Mattarella, nel suo ruolo di Presidente della Repubblica, nel rifiutare la candidatura di Paolo Savona a Ministro dell'Economia. 
Certo, si dice, l'art 92 della Costituzione assegna al Capo dello Stato il potere di nomina dei Ministri proposti dal presidente del Consiglio incaricato. E questo ovviamente significa che la Carta prevede la possibilità che alla proposta, così come può seguire un sì, possa seguire un no, da parte della massima carica dello Stato. 
A parte precedenti non diventati di pubblico dominio, ma sicuramente verificatisi negli anni, si ricordano ad esempio almeno i casi, noti e accertati, dei presidenti Scalfaro, Ciampi e Napolitano, che hanno eccepito sulle candidature a Ministro della Giustizia rispettivamente di Previti (per essere amico stretto e avvocato di Berlusconi), Maroni (per essere stato condannato a 4 mesi per resistenza a pubblico ufficiale) e Gratteri (per essere un magistrato in carica): e ne hanno impedito la nomina. 
Ma in questi casi, si argomenta, il rifiuto era dettato da precisi fatti oggettivi presenti nei singoli curricoli, che rendevano debole, fino a metterla in discussione, l''idoneità giuridica' degli interessati al ruolo. Mai è stato opposto un rifiuto per le idee espresse dal candidato: la sua visione del mondo, la sua filosofia politica o economica di approccio ai problemi che rientrano nella possibile sfera di azione della funzione oggetto di assegnazione. In modo efficace, ma un po' semplicistico, si conclude che un capo dello Stato non può esprimere censura su un potenziale ministro solo perché non la pensa come lui. Se questo avviene, il garante della Costituzione si fa attore politico e valutatore di persone e programmi che debbono restare esclusivo oggetto di fiducia delle forze parlamentari: l'intervento del Presidente della Repubblica sarebbe dunque un'invasione di campo e si muoverebbe al fuori-da (se non contro) lo spirito costituzionale. 

Il caso Savona non è così chiaro e netto. Da tutti considerato un economista autorevolissimo e con una lunga esperienza/competenza che affonda nell'altro secolo nel mondo dell'establishment in prestigiose posizioni di vertice, Paolo Savona negli ultimi anni ha manifestato senza equivoci la sua posizione fortemente eurocritica (se non euroscettica), anche collaborando con un suo allievo a elaborare un piano B, dettagliato e concreto, di possibile uscita segreta dall'euro. 
Si dice: un piano è opera di pensiero e il dire non va confuso con il fare. A maggior ragione se l'autore più volte ribadisce che il suo fine non è tanto uscire dall'euro, ma avere pronta e visibile un'arma forte di pressione, nella negoziazione in sede europea, per convincere gli interlocutori che, in caso di non ottenimento di certi obiettivi giudicati irrinunciabili e da perseguire 'dentro' l'euro, si è anche disposti a uscire dall'euro. Altrimenti, ogni contrattazione risulta spuntata e perdente in partenza.

Mi pare tutto molto logico. Ma, nel caso specifico, anche molto delicato e pericoloso. 
Le intenzioni non fanno i comportamenti, ma predispongono gli interlocutori ad avere un'immagine quanto meno in allerta verso chi è portatore di una certa impostazione: se il piano non è un'azione, chi dice che non possa diventare un'azione? 
E questo, a maggior ragione, se il piano diffuso nel 2015 con la firma dello stesso Savona prevede, come carta estrema da giocare in situazione valutata di emergenza, un'uscita dall'euro da realizzare in segreto, senza preavvisi, in un fine settimana, gestendo tutte le conseguenze (peraltro già dettagliatamente previste come assai pesanti, almeno nell'immediato, sul piano economico, per l'intero Paese) che una simile scelta necessariamente produce.

Molte delle idee del professor Paolo Savona piacciono anche a una certa sinistra radicale: perché fanno intravvedere che esiste, almeno sul piano di una certa prospettiva di visione e di azione, un'alternativa al modello di Europa attuale: sempre più chiuso e soffocante, tecnocratico, liberista e indifferente ai bisogni delle persone. Per quel che vale, anch'io nutro una qualche simpatia per questo approccio che fa credere che il mito Tina (There Is No Alterative), tanto amato dalla premier britannica Thatcher, sia superabile e quindi possa esserne finalmente svelata la carica bloccante e conservatrice con cui si vuole uccidere in culla qualunque speranza di cambiamento.

Ma anche accettando questa idea estrema di uscita dall'euro, mi chiedo: chi autorizza, per giunta in una democrazia in cui si ripete ossessivamente che la "sovranità appartiene al popolo" (dimenticando peraltro il seguito dell'articolo della Carta, che aggiunge  che deve essere esercitata "nelle forme e nei limiti della Costituzione), a operare, anche in via di estrema eventualità, scelte tanto dure e ricche di implicazioni pure sul piano economico-pratico senza che "il popolo" ne sia stato preventivamente informato, abbia capito e discusso i pro e i contro e alla fine sia arrivato a decidere il comportamento pubblico conseguente dei suoi rappresentanti?

Forse, finché un dibattito chiaro e convincente, in sede pubblica, non viene attivato, una posizione ideologica quale quella che ispira il professor Savona, se diffusa dal vertice di una funzione cruciale per un Paese quale è quella del Ministero dell'Economia, appare quanto meno ardita, oltre che potenzialmente preoccupante, anche per i ritorni possibili in sede internazionale.

La perplessità di Mattarella dunque è stata comprensibile. E, aggiungo, doverosa. 
L'inidoneità non si configura certo sul piano giuridico, ma la particolare visione teorico-pratica dell'economista, peraltro pubblicamente ammessa e anzi esibita, fornisce alla sua figura (a maggior ragione in quanto autorevolissima sul piano della competenza economica) una piega che rende quanto meno discutibile la sua adeguatezza potenziale alla funzione, per l'impatto che può avere il suo comportamento, in caso di messa in atto delle idee operative fin qui solo ipotizzate, anche sulla Costituzione. Un piano di tale portata, e definito in partenza assolutamente segreto, non può che essere realizzato in forma di 'colpo di mano' da un piccolo gruppo operativo, che decide all'improvviso e autoritariamente, sulla testa del 'popolo sovrano', di dare il via a un cambio davvero rivoluzionario della posizione nazionale dell'Italia in Europa. Ed è strutturalmente previsto nel piano, con franchezza, che fino a quel momento tutti neghino di voler mai mettere in atto il piano stesso, scegliendo con convinzione di operare all'interno dei vincoli euro in chiave riformista alla loro modifica: dunque, esattamente quello che compare nelle affermazioni finali del 'contratto' M5S-Lega (ma non nelle bozze preparatorie, che invece rivelavano la volontà di uscire dall'ero) e nelle dichiarazioni (in extremis) rilasciate dallo stesso Paolo Savona (sul sito dell'amico-allievo che teorizza, con piglio 'estremista', l'uscita dall'euro come unica strategia per la sopravvivenza dell'Italia): dichiarazioni che avrebbero dovuto cercare di tranquillizzare Mattarella prima della sua decisione finale, ma che, per la verità, sono state accusate di una qualche vaghezza sul punto preciso oggetto di preoccupazione.

Come se ne poteva uscire?
L'azione iniziale di moral suasion sugli attori interessati è lo strumento fondamentale in cui in simili situazioni può muoversi, in qualunque Paese, un vertice istituzionale. 
E' quello che è avvenuto. 
Ma il tentativo di riflessione congiunta con le parti in gioco ha bisogno di interlocutori responsabili e 'istituzionalmente affidabili'. 
Ed è questo che è miserevolmente venuto meno. 
La 'moral suasion' iniziale è stata subito 'tradita' e le legittime considerazioni problematico-critiche mosse dal capo dello Stato in via riservata sulla candidatura Savona sono state gettate in pasto alle piazze e ai social. Il punto è che Mattarella si è scontrato con due leader di partito (ma uno decisamente più dell'altro) insofferenti ai limiti, nel nome di una sovranità popolare che non può né deve incontrare ostacoli, anche quelli costituzionalmente previsti, e soprattutto decisi a conquistarsi il governo in ogni caso, meglio ancora se esibendo una prova di forza. 
E la 'piazzata ricattatoria' di Salvini, condensata nel grido di 'o Savona o salta tutto', conteneva e annunciava il finale già scritto: probabilmente voluto e cercato, certo a quel punto scontato, anche se drammatico. 
Perché la funzione di Capo dello Stato non può essere, e neppure apparire, per nessuno e in nessun Paese che voglia preservare le sue regole fondamentali di convivenza democratica, oggetto di un 'aut-aut' tanto costituzionalmente distruttivo sul piano istituzionale. 
Cioè, per dirla in parole povere: il Presidente della Repubblica non può 'perdere'.
E, se lo si spinge all'angolo, per tentare di sconfiggerlo platealmente in una resa dei conti all'ok corral, poi si raccolgono macerie.
Ed è quanto sta accadendo.

*** Massimo Ferrario, Il caso Mattarella-Savona, censura del pensiero?, per Mixtura - Sul tema vedi anche il mio precedente Resa dei conti e crisi istituzionale, 'Mixtura', 28 maggio 2018, qui


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