Io sto all'opposizione. Consapevolmente, è da almeno dieci anni, da quando ho iniziato a interessarmi di politica, a studiare leggi, a scriverne, che sto all'opposizione, perché è qui che mi sento di stare quando i governi confondono il potere con il dominio, considerano la forza come un fine invece che un mezzo. Sto all'opposizione, a prescindere dal governo, perché anche il governo migliore ha bisogno di obiezioni: perché non riesco a concepire una politica priva di intransigenza, della critica puntuale quanto costruttiva. E, di fronte alla disumanità o alla disumanizzazione, non trovo altra risposta che tener fermi i diritti e la loro teoria polemica rispetto alla pratica, espressione e baluardo di quei principi fondanti delle democrazie antifasciste, posti in dubbio dalle nostalgie nazionaliste come dal culto del mercato globale, due lati dello stesso piccone.
Sto all'opposizione perché mi sono convinta, per citare un costituzionalista, che in democrazia "i più prevalgono sui meno, ma contano anche i meno" e che quindi si possa influire, collaborare, partecipare alla vita collettiva anche senza il potere. E anche perché credo, per citare Geymonat, che contestazione e creazione camminino appaiate e che il progresso nasca dalla polemica verso il passato e verso il presente.
In realtà, esistono due diversi tipi di opposizione: quella di scopo, occasionale, è interessata, è costruzione del consenso in attesa dell'avvicendamento, dell'alternanza di potere. L'altro modo di stare all'opposizione è scomodo. Si lavora molto, senza riconoscimenti. Non ci si riposa, non si sgranocchiano popcorn. Si raccolgono oneri senza onori. Si esulta raramente e mai si è pienamente soddisfatti: nei pochissimi casi in cui si vince, si è consapevoli della precarietà dell'obiettivo, della fragilità della conquista. Si è poco simpatici, si perdono amicizie. Si sviluppano disillusione e sfiducia. Ci si stanca e spesso ci si sente inutili. Forse lo si è, anche.
Ma, per citare Gobetti, "bisogna diffidare delle conversioni, e credere più alla storia che al progresso, concepire il nostro lavoro come un esercizio spirituale, che ha la sua necessità in sé, non nel suo divulgarsi. C’è un solo valore incrollabile al mondo: l’intransigenza e noi ne saremmo per un certo senso i disperati sacerdoti."
*** Roberta COVELLI, facebook, 11 maggio 2018, qui
https://it.wikipedia.org/wiki/Ludovico_Geymonat
https://it.wikipedia.org/wiki/Piero_Gobetti
In Mixtura ark #SenzaTagli qui
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