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venerdì 12 gennaio 2018

#EX LIBRIS / Solitudine, un'inquilina discreta (Ilaria Tuti)

Si chiuse la porta di casa alle spalle, si liberò della borsa a tracolla e calciò le scarpe. Il tepore del legno sotto i piedi le ricordò che erano le cose semplici a dare sollievo all’anima, come quando da bambina correva scalza nelle vigne, d’estate, sollevando polvere e risate. Poteva ancora sentire il profumo minerale della terra arrostita dal sole, delle pietre saline, l’aspro dei tralci verdi e il dolce delle acacie in fiore. Il sudore, l’amaro dei fiori di dente di leone, le gocce di vino sulle labbra, rubate al bicchiere del nonno. La sostanza della felicità. 
Tempi immobili nella sua mente, che echeggiavano con forza nella quiete della casa, un silenzio intatto da quando lo aveva lasciato ore prima. La solitudine era una coinquilina discreta, che non invadeva mai gli spazi e lasciava tutto com’era. Non aveva odore, né colore. Era un’assenza, un’entità che si definiva per contrapposizione, come il vuoto, ma esisteva: era lei a far tremare la tazza di infuso tra le mani di Teresa, certe notti, quando il sonno non voleva saperne di portare sollievo. Quel tintinnio si allargava nelle stanze senza incontrare nessun altro corpo tiepido. La solitudine avvolgeva Teresa come un abito troppo stretto, un corsetto d’altri tempi, che in pubblico faceva raddrizzare la schiena ma nell’intimo rubava il respiro. 
Aveva imparato a curarla come faceva un antidoto con il veleno: la assorbiva a piccole dosi, ogni giorno. Non si sottraeva, non cercava diversivi: restava ferma e si faceva mordere. Così l’anima aveva imparato a produrre gli anticorpi e aveva smesso di morirne.

*** Ilaria TUTI, scrittrice, Fiori sopra l'inferno, Longanesi, 2018


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