“Gli italiani – diceva Longanesi – sposano un’idea e subito la lasciano con la scusa che non ha fatto figli”. Non è questo il caso della legge sull’alternanza scuola-lavoro che, introdotta dalla Moratti nel 2005, ha avuto ben 12 anni per essere messa a punto ma che, in base a una recente inchiesta su 15.000 studenti, fa ancora acqua. La legge prevede che gli allievi delle scuole professionali dedichino 400 ore all’esperienza lavorativa e quelli delle altre scuole 200 ore. Nasce il problema organizzativo nelle aziende che accolgono gli stagisti: cosa far fare agli studenti? La ministra Fedeli afferma che non si tratta di apprendistato ma di esperienza formativa e che gli eventuali costi (viaggi, vitto, ecc.) debbono essere sostenuti dagli istituti scolastici, che, a loro volta, sono privi di fondi causa tagli di 8 miliardi negli ultimi anni.
Difficile capire la differenza tra apprendistato ed esperienza formativa. Comunque l’inchiesta dimostra che, nel 40% dei casi, i diritti assicurati agli stagisti non vengono rispettati dalle aziende e che spesso gli stagisti sono impiegati per sostituire i lavoratori che, risultando superflui, vengono licenziati. D’altra parte, la domanda studentesca di alternanza, che fino allo scorso anno scolastico riguardava 600mila studenti, quest’anno è salita a 1,4 milioni. Più o meno il numero degli studenti che hanno manifestato nelle piazze. E ciò dimostra che non viene rifiutata la legge, ma il modo sbilenco in cui viene applicata. C’è poi l’atteggiamento delle famiglie che accompagnano i figli alle scuole elementari e a volte alle medie. Poi, al liceo e all’università, si disinteressano del loro destino.
La querelle sull’alternanza scuola-lavoro è un’ennesima occasione persa per cementare la solidarietà e arricchire la dialettica tra genitori, figli e insegnanti. Ma quale peso deve avere il lavoro nei programmi scolastici? Un giovane di 16 anni ha davanti a sé 70 anni di vita, 613.000 ore. Che farà delle sue ore di vita? Se lavora 2.000 ore all’anno per 40 anni, fanno 80.000 ore. Ne restano 533.000 per dormire, curare se stesso, la famiglia, gli amici e la comunità. Il lavoro rappresenta appena 1/7 della vita che attende quel giovane. Eppure tutte le agenzie di socializzazione – famiglia, scuola, media – non fanno altro che parlargli di lavoro. Non sarà forse questo il motivo per cui l’economia ricomincia a crescere mentre società e politica continuano a collassare?
*** Domenico DE MASI, sociologo, saggista, docente emerito dell'univeristà La Sapienza di Roma, La difficile alternanza scuola-lavoro, 'linkedin.com/pulse, 18 ottobre 2017, qui
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