Martin E. P. Seligman, psicologo e saggista statunitense, già presidente della American Psychological Association, è stato il fondatore della 'psicologia positiva'. Uno dei suoi libri più famosi, tradotto in italiano, è Imparare l'ottimismo, 1990, Giunti editore, 1998.
Il suo approccio va distinto da certo deteriore 'pensiero positivo' più o meno in stile new age da cui continuiamo ad essere invasi. Eppure, nonostante cerchi di basarsi il più possibile su dati empirici, il 'focus' continuo sulla ricerca del benessere e della felicità, pilotato da un ottimismo di fondo che spinge a vedere il bicchiere sempre più pieno che vuoto, a mio avviso può essere considerato pericoloso: perché diminuisce l'allerta rispetto alle situazioni negative e abbassa di fatto, anche se lo nega, l'utilità di un atteggiamento realistico.
Un esempio, a me pare lampante, è in una recente intervista, di cui qui riporto la strabiliante risposta dello psicologo alla domanda finale, cui peraltro non seguono commenti né richieste di approfondimento da parte dell'intervistatore.
Gli viene domandato se è ottimista riguardo alle recenti elezioni statunitensi, conclusesi con la vittoria di Donald Trump.
Ecco la risposta:
«Non ci ho pensato molto. La mia prima reazione, guardando i risultati con la mia famiglia, è stato un senso di disperazione, ma in realtà la mattina dopo mi sono sentito abbastanza fiducioso. Avevo confuso l'odiosità che mi suscita la personalità di Trump e il fatto che la signora Clinton mi fosse più congeniale - la conosco molto bene - con le differenze tra i loro programmi elettorali. Però, una volta superato il rifiuto per il modo detestabile in cui Trump si presenta, si scopre che tante delle politiche che vorrebbe perseguire sono assolutamente sensate. In particolare, credo che quello su cui puntava la signora Clinton fosse una politica identitaria: neri, ispanici, disabili, donne. E quello su cui punta Trump è una politica umana, una politica democratica. Quindi, fermo restando che Trump non è qualcuno con cui vorrei andare a cena, credo che le politiche che lui vuole perseguire non siano irrazionali.
(Martin E. P. Seligman, intervistato da Luca Mazzucchelli, 'Psicologia contemporanea', marzo-aprile 2017)
Affermare che Trump voglia perseguire 'politiche sensate' e che, a differenza della Clinton che aveva una visione 'identitaria' (neri, ispanici, disabili, donne), miri a realizzare una 'politica umana e democratica' e 'non irrazionale', richiede davvero una incredibile dose di (limitiamoci a questo termine...) 'ottimismo'.
Mi chiedo cosa avrebbe detto Seligman di Hitler e Mussolini, quando i due andarono al potere sull'onda di un grande voto 'democratico', negli anni in cui ancora non erano all'orizzonte i forni crematori, ma già doveva essere chiara la direzione del futuro: il pieno dispiegamento delle gesta violente e squadriste di nazisti e fascisti, coerenti peraltro con una politica di supremazia razzista e bellicista spudoratamente propagandata, non poteva non far presagire, se non tutto, certo molto di quanto dopo sarebbe tragicamente successo. Eppure molti non vollero vedere e troppi non videro: forse anche per quel mix micidiale di imbecillità e ottimismo (beota) che spesso ci impedisce di capire i segnali, peraltro evidenti, provenienti dalla realtà, facendoci intervenire in chiave preventiva.
Non sto paragonando Trump a Hitler o Mussolini: però alcune caratteristiche comuni, di psicologia e di visione del mondo, sono riconoscibili e del resto vengono riconosciute sia dall'interessato (che più volte si è ispirato orgogliosamente a Mussolini) che da molti suoi supporter (tra cui i suprematisti bianchi, anche appartenenti al Ku Klux Klan).
Se le parole hanno ancora un senso, e la voglia di ottimismo non ce le offusca, dire che Trump si sta ispirando a una politica 'umana' e 'democratica' mi pare davvero al di là di ogni senso.
*** Massimo Ferrario, Ottimismo, il pericolo di minimizzare il pericolo, per Mixtura
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