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giovedì 6 ottobre 2016

#LIBRI PREZIOSI / "Io amo. Piccola filosofia dell'amore", di Vito Mancuso (recensione di M. Ferrario)

Vito MANCUSO, "Io amo. Piccola filosofia dell'amore"
Garzanti, 2014
pagine 211, € 14,90, ebook € 9,99

Quando la spiritualità prevale sulla religione
L'amore. Un tema che ha impegnato, in letteratura e saggistica, migliaia di autori, famosi e non: c'è chi ha provato a descriverne le caratteristiche sfuggenti, illudendosi di fissarle come un entomologo conserva spillate in una teca le farfalle, e c'è chi ha tentato di svelarne il mistero, chiudendone la complessità dentro ricettari rassicuranti, per propiziarne l'apparizione o - come si pretende oggi di fare con ogni cosa, vita compresa - addirittura di 'gestirne' la 'liquidità' incontinente. 
Il fascino inesauribile dell'oggetto sta ovviamente nel fatto che si tratta di un sentimento universale, che ci riguarda tutti: perché ne siamo stati magicamente afferrati, o lo abbiamo ostinatamente inseguito, o ne abbiamo desolatamente sofferto la mancanza. Chi ha avuto la fortuna (qualcuno evocherebbe la 'grazia') di esserne toccato sa di aver sperimentato uno dei sentimenti più 'belli', ma sconvolgenti, capace di portarci fuori di noi, in una zona al confine tra il divino e la follia. 

L'amore è appunto il grande tema trattato da Vito Mancuso in questo bel libro (Io amo. Piccola filosofia dell'amore) che si legge con particolare godimento intellettuale: si comincia a chiosare una riga e il rischio è di trovarsi annotate tutte le pagine, nell'impossibile tentativo di non perdere un paragrafo e di memorizzare pensieri e citazioni. 
Teologo cattolico raffinato, l'autore ci ha abituato da anni, con i suoi tanti testi in cui si è fatto apprezzare per lo sguardo profondo alle cose della vita e al rapporto con la spiritualità, al confronto piacevole con un pensiero eterodosso. Anche quando non si è credenti (è il mio caso), non si può restare indifferenti alle sue riflessioni chiare, pur se dense e complesse, e sempre provocanti: illuminate da uno spirito aperto e comprensivo, che privilegia la calda vitalità del mondo alla fredda fissità delle regole burocraticamente calate sulla realtà. Insomma: quando viene privilegiata la spiritualità rispetto alla religione, pure un ateo può trovarsi a suo agio e farsi sollecitare con interesse.

Accade anche stavolta. Chi eventualmente si aspettasse un manuale, sbaglierebbe testo (e autore). Per fortuna, il volume di Mancuso non prescrive comportamenti: scandaglia il tema, con un approccio filosofico-teologico ampio, un linguaggio scorrevole e mai complicato, uno stile armonioso, piano, anche se appassionato e convinto, ma mai arrogante. Nessuno sfoggio di erudizione, ma tanta cultura, frutto di meditazioni attentamente 'digerite', proposta 'alla pari' con chi legge, con argomentazioni persuasive, spesso appoggiate a citazioni che stimolano a pensare. 
Ne esce una visione intensa e fortemente consapevolizzata dell'amore come forza vitale, colto nei suoi aspetti più genuini e profondi, e che va ben al di là del pur fondamentale fenomeno di coppia: un ideale cui ispirarsi, ma raggiungibile, adatto a esseri umani che calcano la terra, non a esseri angelici che si muovono in cielo.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura


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Alcuni fisici affermano che l’energia oscura è il vuoto e parlano di «vuoto quantistico», il quale va distinto con attenzione dal «nulla» inteso come totale assenza di essere. Il vuoto quantistico non è il nulla. Tuttavia esso non è neppure l’essere, se per essere si intende tutto ciò che consiste di particelle, atomi, molecole, cellule, insomma della materia che forma tutto ciò che possiamo vedere. Nel vuoto non vi è niente che possa essere identificato con la materia (e precisamente per questo si chiama vuoto), ma non per questo il vuoto deve essere identificato con il nulla. Il vuoto è al di là dell’essere e del nulla. 
Ma se nel vuoto non vi è nessuna traccia dell’essere conosciuto, se non vi è neppure la luce costituita dai fotoni, se vi domina solo una muta oscurità, perché non è lecito affermare che esso sia nulla? Perché, rispondono gli scienziati, talora vi si producono delle oscillazioni da cui emergono alcune particelle luminose, e questo sarebbe impossibile se il vuoto fosse nulla perché in questo caso né oscillerebbe né produrrebbe alcunché (ex nihilo nihil fit, «dal nulla non viene nulla», recita l’antico assioma). Scrivono gli esperti che «il vuoto quantistico va immaginato come un’entità dinamica, e non statica, ricca di tutte le particelle che vengono prodotte da fluttuazioni casuali dello stato di vuoto». Il vuoto quindi, per quanto privo di ogni tipo di essere conosciuto, è un’entità che produce essere. C’è da rompersi il capo, ma se Dio esiste è qualcosa del genere: un’entità non materiale, forse anche al di là dell’energia, da cui emergono i semi originari dell’energia e della materia. 
Con le sue oscillazioni il vuoto genera i primi enti conosciuti, che a volte si presentano come particelle e a volte come onde. Dal vuoto nella sua assoluta oscurità sorgono all’improvviso come dei lampi di luce, prime tracce dell’essere. Dicono che il nostro universo ebbe origine da queste oscillazioni del vuoto quantistico, dicono che furono loro a dare inizio al processo di rigonfiamento tecnicamente detto inflazione (dal verbo latino inflare, «soffiare») che portò alla Grande esplosione originaria o Big Bang, con tutto quello che ne è conseguito. 
Tutto questo discorso l’ho fatto per giungere a questa domanda: è ipotizzabile che anche nel vuoto quantistico che interessa le nostre persone si producano ogni tanto delle oscillazioni casuali che producono lampi di luce, fino a generare la grande esplosione dell’innamoramento? 
Quello che è certo è che noi umani siamo un pezzo di universo. Ne siamo un frammento così minuscolo dal punto di vista quantitativo da risultare assolutamente insignificanti, e tuttavia, considerando le cose dal punto di vista qualitativo, quello cioè dell’informazione implicata nell’organizzazione dell’energia e della materia, noi umani risultiamo un elemento molto significativo dell’universo e della sua evoluzione, di certo il prodotto più raffinato del lavoro cosmico all’interno dell’universo conosciuto (se e quanto la preziosità di tale lavoro venga eventualmente sprecata, è tutto un altro discorso). (Vito Mancuso, "Io amo", Garzanti, 2014)

La movenza, la gestualità, l’atteggiarsi, la disposizione, l’andatura, il portamento, l’incedere, lo stile, la luminosità degli occhi, quell’intima eleganza che prescinde completamente da ciò che si indossa, insomma, con una parola sola, la grazia: è questa, a mio avviso, la vera bellezza che compete a un essere umano, dove l’esteriorità si sposa con l’interiorità, dove il corpo è manifestazione dell’anima e l’anima del corpo, e che ha portato Dante, quando volle cantare la bellezza della sua donna, a dichiararne la gentilezza e l’onestà: «Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand’ella altrui saluta». Poco prima il sommo poeta aveva parlato di «una dolcezza onesta e soave» definendo così la vera bellezza che compete a un essere umano, la quale è data dall’insieme armonioso di fisicità, luce dell’intelligenza, pulizia interiore. (Vito Mancuso, "Io amo", Garzanti, 2014)
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