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mercoledì 6 luglio 2016

#MOSQUITO / Copiare a scuola, ma noi siamo italiani (Simona Ravizza)

Negli Stati Uniti l’ultima a lanciare l’allarme sui bambini che copiano a scuola è stata la giornalista del ‘Wall Street Journal’ Sue Shellenbarger in una delle sue rubriche Work & Family dedicate al lavoro e alla famiglia. A ogni età dell’alunno vengono abbinati suggerimenti per spiegargli che imbrogliare tra i banchi è sbagliato. Un vademecum che fa riflettere. 

In Italia, dove i bambini che copiano (in modo abituale o saltuario) arrivano al 34% già alle elementari, l’atteggiamento diffuso è ben più tollerante: «I raggiri scolastici sono delle vere e proprie prove generali d’illegalità, ma vengono rappresentati come gesti sporadici insignificanti o episodi di costume e di folklore - denuncia il sociologo dell’Università di Urbino Marcello Dei, che pubblicherà sull’argomento uno studio sulla rivista ‘Minori Giustizia’ -. Per dirla con una metafora teatrale, in Italia la rappresentazione degli imbrogli tra i banchi di scuola non ha il tono serio e doloroso del dramma, appartiene al genere della commedia leggera, all’italiana, per l’appunto». 

Ma chi esagera? Sono troppo rigidi i genitori all’estero o siamo noi mamme e papà italiani troppo permissivi? Come bisogna comportarsi, insomma, con i bambini che copiano a scuola? Il fenomeno è stato sdoganato da noti imprenditori e scrittori di fama. Luca Cordero di Montezemolo, ai tempi in cui era ai vertici di Confindustria, aveva confessato agli studenti dell’università Luiss di Roma: «A scuola ero campione mondiale di copiatura e questo dimostra che anche chi copia ha speranza». Ancora prima, addirittura nel 1997, Claudio Magris sulle colonne del Corriere aveva fatto L’elogio del copiare: «Copiare (in primo luogo far copiare) è un dovere, un’espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino (poco importa se per un’ora o per una vita) che costituiscono un fondamento dell’etica. (…) Chi, sapendo un po’ di più di informatica o di latino di quanto non ne sappia il suo compagno di banco, non cerca di passargli il tema resterà probabilmente per sempre una piccola carogna». 

E indulgenti spesso lo sono anche i prof che, in occasioni come la maturità, girano la testa per non vedere chi copia. (…) L’appello «Non fate più copiare gli studenti», è il refrain appena (ri)lanciato dal Gruppodifirenze.blogspot che si batte per la scuola del merito e della responsabilità. Quel che emerge, forse, è che finora c’è stata troppa indulgenza. Il sociologo Marcello Dei è categorico: «Tra gli imbrogli scolastici e l’illegalità diffusa nella vita pubblica e privata del Paese sussiste un filo di continuità - ribadisce -. Il rispetto della legalità incomincia fra i banchi di scuola».

Spiegare al bambino come resistere alla tentazione diventa una sfida importante: «Il mio suggerimento è di non colpevolizzarlo mai, soprattutto quando ha 5/6 anni e difficilmente attribuisce al copiare il significato che gli danno gli adulti - spiega Emanuela Confalonieri, psicologa dello sviluppo dell’Università Cattolica -. È meglio fargli capire che ce ne siamo accorti e trovare insieme un modo originale per (ri)fare il compito copiato». Dopotutto uno studio del 2008 di Sara Staats, Julie Hupp ed Heidi Wallace, ricercatrici di psicologia della Ohio State-Newark University, aveva dimostrato che «Chi non copia ha più personalità». 

Ma avere personalità oggi è un vantaggio? Questa, però, è un’altra storia

*** Simona RAVIZZA, giornalista, Copiare a scuola è sbagliato. Come spiegarlo ai figli?, ‘Corriere della Sera’, 25 maggio 2013

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