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domenica 26 giugno 2016

#SENZA_TAGLI / Brexit, al Regno Unito conveniva restare (Domenico De Masi)

Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, rielaborati dal Financial Times e dal McKinsey Global Institute, nel quinquennio 1982-1987 la crescita dell’economia mondiale era dovuta per il 29,8% agli Stati Uniti. Tra i primi dieci Paesi che contribuivano alla crescita ve ne erano tre europei: il Regno Unito con il 4.2%; la Germania con il 3.5%; l’Italia con il 2.9%.  Secondo gli stessi dati, nel quinquennio 2012-2017 la crescita sarà dovuta per il 33,6% alla Cina; per il 13,9% agli Stati Uniti. Nessun Paese europeo sarà compreso nei primi dieci. Già oggi, infatti, gli Stati Uniti contribuiscono solo per il 16% al Pil mondiale; i Paesi dell’Eurozona vi contribuiscono per il 12%; la Germania per il 4%; il Regno Unito e la Francia per il 3%; l’Italia per il 2%.

In questa frammentazione dell’economia mondiale, composta dalle economie di 196 Paesi, la decisione inglese di correre da soli è autolesionista. La vittoria del Brexit deriva da un gigantesco “cultural gap” per cui la Gran Bretagna è ormai uno Stato di seconda qualità ma si sente ancora padrona del mondo, in possesso di colonie che vanno dall’India al Canada, dall’Africa all’Australia.

Gli inglesi si sentono mortificati se a Bruxelles si ritrovano alla pari con gli altri europei. Tanto più che si discute in inglese. Questo della lingua è il fattore che più di ogni altro li inganna conferendo loro un super-ego non più giustificato dalla realtà.

E’ già accaduto con Roma nei secoli della sua decadenza, quando tutto il mondo parlava latino e i romani si comportavano ancora come padroni dell’Impero benché ormai non contassero più nulla e le grandi decisioni venissero ormai prese ad Alessandria, a Costanza o a Madrid.

Oggi un cittadino del Regno Unito ha un Pil pro-capite inferiore a quello di un cittadino del Quatar, di Macao, e della Nuova Zelanda. Molte sue ex-colonie hanno un Pil pro-capite superiore a quello degli inglesi. In base all’indice di svilippo umano l’Inghilterra è solo al 14° posto. Per saldo attivo nella bilancia dei pagamenti e per riserve ufficiali l’Inghilterra sta molto peggio dell’Italia.

Il suo debito pubblico è molto maggiore di quello della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia. Il suo indice di democrazia è inferiore a quello di 12 Paesi. Nel Parlamento inglese la percentuale di donne parlamentari è inferiore a quella del Ruanda, del Senegal e del Nicaragua. Il Regno Unito è solo all’undicesimo posto nella graduatoria dell’industria manifatturiera (l’Italia è al settimo posto); è al 24° posto tra i produttori di energia; è al 31° posto per speranza di vita; ha il 14,2% di Neet; è al 25° posto per spesa in ricerca e sviluppo (dopo Taiwan, la Slovenia, la Repubblica Ceca e l’Irlanda); è all’11° posto per produzione automobilistica (dopo l’India, il Brasile e il Messico); nella spesa per l’istruzione è superata dal Ghana, dalla Thailandia e dal Costa Rica; nella spesa per la sanità è superata dalla Sierra Leone, dal Ruanda e dalla Serbia; per il numero di cellulari è oltre il trentesimo posto.

Quando ieri abbiamo visto in televisione che le urne elettorali venivano portate di corsa da un seggio all’altro; quando questa notte abbiamo dovuto attendere l’alba per conoscere i risultati elettorali, ci siamo ricordati che in Brasile si vota col sistema elettronico e i risultati si sarebbero saputi dieci minuti dopo la chiusura dei seggi.

A conti fatti, dunque, restare in Europa avrebbe fatto più bene all’Inghilterra che al resto del continente.

*** Domenico DE MASI, sociologo, Al Regno Unito conveniva restare, 'linkedin.com/pulse', 24 giugno 2016, qui


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